Etica e gestione attiva delle foreste
- editoriale di Sherwood n. 224, gennaio/febbraio 2017 -
di Paolo Mori
Questo editoriale parla di etica, di politica e di come possiamo porci, oggi e in futuro, rispetto al rapporto tra specie umana ed ecosistemi forestali.
Cominciamo con un concetto ormai patrimonio di tutti. Seguendo il proprio codice biologico naturale e sfruttando la capacità di imparare, trasmettere e condividere ciò che ha appreso, la specie umana si è diffusa su tutto il pianeta Terra ed è entrata direttamente o indirettamente a far parte di tutti gli ecosistemi terrestri. Certo, si possono trovare ecosistemi più influenzati dalle “perturbazioni” causate dalla nostra specie e altri meno, ma è forse impossibile trovare cenosi che, anche solo indirettamente, non ne siano influenzate.
Questo modo di agire ha consentito all’umanità di “servirsi” dell’insieme degli ecosistemi del Pianeta in maniera apparentemente illimitata per molti millenni. Abbiamo imparato così bene a fare in ogni ecosistema ciò che altri animali fanno in pochi ecosistemi, che la popolazione umana è cresciuta a dismisura. Considerando che ogni essere umano, per vivere, ha bisogno di grandi quantità di risorse naturali, l’impatto della nostra specie sugli ecosistemi della Terra è aumentato con l’espandersi della popolazione. Negli ultimi decenni però sempre più persone hanno cominciato a capire che le risorse del Pianeta non sono infinite e che il nostro agire poteva distruggere ecosistemi utili alla nostra sopravvivenza. Così un numero sempre maggiore di persone ha preso coscienza che è necessario ridurre l’impiego di risorse esauribili e sviluppare quanto più possibile il ricorso a risorse rinnovabili.
Negli ultimi decenni però sempre più persone hanno cominciato a capire che le risorse del Pianeta non sono infinite e che il nostro agire poteva distruggere ecosistemi utili alla nostra sopravvivenza.
Non solo questo però. Un numero crescente di uomini e donne ha compreso che l’interesse di ciascuno e dell’umanità nel suo insieme, non può risiedere nella protezione integrale di un singolo ecosistema, bensì nella ricerca di un equilibro dinamico tra la specie umana e l’insieme di tutti gli ecosistemi di cui fa parte. Finalmente è divenuto chiaro, almeno ad alcuni, che rinunciare volontariamente ad interagire con uno o più tipi di ecosistema significa aumentare l’impatto sugli altri. È a questo livello che si pone la questione del rapporto etico tra specie umana ed ecosistema bosco, anche in Italia: a livello di “ecosistema Terra” e di umanità nel suo complesso.
Una parte del mondo ambientalista e una parte del mondo forestale, essenzialmente accademico, ritiene che in Italia e per estensione nell’intero Pianeta, si debba usare meno la motosega e si debbano fare meno strade forestali. Dal punto di vista dell’interesse localistico e “di parte” potrebbe essere una scelta condivisibile. Non è però così se si valutano le conseguenze di tale posizione rispetto all’impatto sugli altri ecosistemi del Pianeta (anche forestali) e all’umanità nel suo complesso.
Ci sono aree dove strade e motoseghe sono state usate per far spazio ad altre esigenze sociali (es. aree urbane, infrastrutture e terreni agricoli), ma non è di questo che stiamo parlando. Questa non è gestione forestale, bensì politica territoriale. In tali casi chi decide di eliminare il bosco non sono certo tecnici od operatori del nostro settore, per i quali la permanenza del bosco non è argomento di discussione.
Si tratta invece dell’opportunità di usare la motosega e di fare strade forestali nei boschi italiani, con la coscienza di agire a scala “locale”, ma con un’ottica globale e nel rispetto delle leggi di tutela. A questo proposito è utile ricordare che, sulla gestione delle risorse forestali, Italia e paesi europei da una parte e “paesi in via di sviluppo” dall’altra, non sono sullo stesso piano. Se da una parte le foreste aumentano, dall’altra diminuiscono; se da una parte si importano grandi quantità di legno, dall’altra si esportano. C’è chi per accrescere il proprio benessere o anche solo per sopravvivere impoverisce il proprio patrimonio forestale e chi invece, nell’illusione di tutelare l’ambiente, non vorrebbe toccare quasi nulla a casa propria a danno dei boschi degli altri.
Sulla gestione delle risorse forestali, Italia e paesi europei da una parte e “paesi in via di sviluppo” dall’altra, non sono sullo stesso piano.
Quindi, se usare la motosega significa produrre in maniera sostenibile materia prima rinnovabile da utilizzare al posto del petrolio, del ferro, dell’alluminio e di altre materie prime esauribili; se significa contenere i cambiamenti climatici, con manufatti ed energia dal legno, ora e per sempre e non rimandare i problemi alle generazioni che verranno; semplicemente stoccando la nuova CO2 che emettiamo, allora non si può essere contrari al suo impiego in Italia.
Se fare strade forestali significa poter attuare interventi selvicolturali meno impattanti e poter intervenire più tempestivamente in caso di incendio boschivo, allora, in Italia, queste non vanno demonizzate, purché realizzate dove effettivamente servono, in base alla pianificazione forestale, e con adeguati criteri tecnici di progettazione e realizzazione.
Se usare la conoscenza prodotta dalla ricerca e le norme di tutela ambientale, permette alla specie umana di prendere parte all’ecosistema bosco in maniera sostenibile e quindi duratura, allora siamo contrari all’idea che si debba stare fuori dal bosco ad osservarne l’evoluzione(1).
La conservazione dovrebbe riguardare l’equilibrio dinamico del Pianeta e non limitarsi all’orticello di casa o all’interesse di chi vi abita. La specie umana, che si voglia o no, fa parte di questo Pianeta e ha bisogno di molte risorse. Allo stato attuale delle conoscenze non possiamo permetterci di uscire dal 30% delle terre emerse, coperte da foreste, senza conseguenze su tutti gli altri ecosistemi del Pianeta. Noi, in Italia, possiamo e dobbiamo fare la nostra parte: né di più né di meno.
Quindi, con buona pace degli integralisti dalla vista corta, forse è il caso di non demonizzare motoseghe e strade, ma di alzare lo sguardo e dedicare le proprie energie al servizio non di uno, ma di tutti gli ecosistemi del Pianeta; non degli interessi di un piccolo gruppo, ma dell’umanità nel suo insieme.
L’etica, nella gestione attiva delle foreste, è tutta qui.
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