Gemellaggio AUSF Padova - Firenze: studenti forestali alla scoperta della val di Farma e dell’Altopiano dei Sette Comuni

di Giorgia Ragazzini e Tommaso Moneta - AUSF Firenze
Tra aprile e maggio una quarantina di giovani da tutta Italia, scarponi ai piedi e zaino in spalla, sono partiti con il desiderio di conoscersi e conoscere il mondo forestale da un diverso punto di vista. Sono le ragazze e i ragazzi dell’Associazione Universitaria degli Studenti Forestali (AUSF) di Padova e Firenze, accomunati dall’ambito di studio - il nome del corso di laurea è lo stesso: Scienze Forestali e Ambientali - che però viene sviluppato diversamente nei due Atenei. Questo li ha spinti a trovare un’occasione di confronto: un gemellaggio a due tappe, prima nel Senese e nel Grossetano, poi nel Vicentino.
L’idea: nuovi semenzali si fanno alberi
Il gemellaggio tra AUSF Firenze e AUSF Padova nasce nella foresta di Vallombrosa (FI) dall’incontro tra Giorgia e Margherita, in occasione delle Forestiadi a settembre 2023, durante il quale si sono subito riconosciute per unità d’intenti e spirito di iniziativa. Allora non erano ancora Presidenti delle rispettive associazioni, ma c’era già l’idea di candidarsi e, fra le tante, organizzare un importante momento di scambio tra le due realtà associative.
Dopo le elezioni dei due Direttivi locali, un susseguirsi di chiamate e numerosi spunti, questa idea ha iniziato a prendere forma. Si sarebbe trattato di un vero e proprio gemellaggio, di due tappe differenti alla scoperta di una tematica comune con le relative differenze di gestione tra le due regioni: biodiversità e selvicoltura. Due aspetti molto attuali a cui dedicare maggiore attenzione, studio e di cui si desideravano approfondire lo stato dell’arte, le contingenze, le implicazioni e le prospettive future.
I propositi e gli intenti del “gemellaggio extrazonale” sono tra i più elevati: l’approfondimento dal punto di vista tecnico, l’incontro tra studenti, tra future aspirazioni e professioni, l’interfacciarsi di diverse visioni per la creazione di un confronto costruttivo, la condivisione di passioni che pervadono gli animi dei giovani forestali. Di rilevante interesse i momenti di convivialità che renderanno speciali le giornate in bosco e le cene musicate.
Un’affascinante immersione tra le suggestive peculiarità floristiche e vegetazionali della val di Farma
La Val di Farma nel grossetano, una delle valli tra le più particolari e più rappresentative delle Colline Metallifere, oltre che zona di rilevante interesse naturalistico dal punto di vista vegetazionale e faunistico, è stata scelta come tappa per la meta toscana del gemellaggio, per approfondire la conoscenza della biodiversità della vegetazione forestale, del suo monitoraggio e gestione.
Ci troviamo nel grande bacino idrografico dell’Ombrone, in un mosaico di diversità e di formazioni geologiche tra cui prevalgono le quarziti e le anageniti del Verrucano. Ad accompagnarci il professor Federico Selvi botanico UniFi, la lichenologa Dott.ssa Elisabetta Bianchi, il ricercatore del CNR-IRET Dott. Giovanni Trentanovi e il Col. Giovanni Quilghini del Reparto Carabinieri Biodiversità di Follonica.
Subito ci viene presentato come dal punto di vista biogeografico, si rilevi un contatto tra due biocore, quella centroeuropea e quella mediterranea.
Scorrendo da ovest verso est, la valle presenta due versanti completamente opposti, quello esposto a nord e uno molto più caldo esposto a sud; perciò, una grande differenza in termini di clima nonostante il regime idrico si mantenga comunque elevato. Questo fa sì che in relazione al versante e all’altitudine, in questa valle si alternino e intreccino comunità forestali molto diverse tra loro.
La continuità di esistenza della foresta è lunghissima, queste sono tutte foreste antiche che esistono da tempi remoti, le cosiddette ancient forests, non necessariamente vetuste o foreste di riformazione secondaria.
La concentrazione di elementi importanti di biodiversità è evidenziata da tre livelli di protezione che si sovrappongono, aree integrali in cui sono comunque prevedibili interventi: la riserva statale, la riserva naturale regionale “Farma” e il SIC di Natura 2000.
All’interno di queste fitocenosi si possono scoprire numerosi tipi vegetazionali ed emergenze floristiche come specie endemiche o subendemiche, entità al limite dell’areale o della loro distribuzione in Italia, specie rare o con distribuzione frammentaria. Una valle che si può definire un piccolo scrigno di biodiversità in cui dimorano oltre 35 specie arboree e arbustive (quasi un terzo di tutte le specie che sono state censite in Italia), che ospita una flora di circa 750 specie vascolari (di cui gran parte di tipo nemorale e mesofilo) e ben 7 specie di Quercus: Q. ilex, Q. suber, Q. crenata, Q. cerris, Q. pubescens, Q. robur, Q. petraea.
È in queste cenosi che si possono osservare gli affascinanti processi di migrazione vegetale che hanno connotato un passato climatologicamente recente, quello delle fasi fredde pleistoceniche e oloceniche in cui molte specie sono scese in questa valle e poi vi sono rimaste rifugiate e isolate nelle fasi di riscaldamento climatico. In questo ambiente si possono trovare piante xerofile e igrofile, piante boreali e mediterranee che vivono insieme. Risulta perciò rilevante quanto il ruolo dei fattori storici sia stato importante nel plasmare questa vegetazione che è costituita da relitti extrazonali e da piante che sono nel proprio ambiente zonale. La storia del clima ha portato a contatto queste specie che si sono incontrate, mescolate e che continuano a vivere insieme in un equilibrio particolare.
La peculiare conformazione della vallata dà origine al fenomeno dell’inversione termica che determina particolari condizioni microclimatiche nel fondovalle. Ci si trova dunque ad ammirare biotopi a carattere relittuale di bassa quota, quale la faggeta a Taxus e Ilex di notevole interesse fitogeografico, nonché habitat prioritario in quanto relitto di una vegetazione boschiva sempreverde (colchica) del Terziario, decimata dalle glaciazioni. Da notare come i rifugi del faggio extrazonale, un tempo caldi e piovosi, siano diventati freddi.
Scendendo a 220 m s.l.m., si rimane strabiliati dal rivelarsi di un micro-rifugio in cui dimora uno dei faggi più bassi della valle. Ed è ancora più interessante come non ci sia solo il faggio, ma ci si trovi immersi in frammenti di comunità di faggeta termofila, perciò anche con la presenza delle tipiche specie erbacee fagetali. Si evidenzia però che l’ambiente sempre più caldo e mediterraneo, accentua lo stress che subiscono molte matricine di faggio, contribuendo al loro declino.
Nella valle sono inoltre ospitate numerose stazioni di specie montane di natura relittuale ed eterotopica come Acer pseudoplatanus, Betula pendula, Buxus sempervirens, Ulmus glabra, Tilia cordata, Prunus avium.
Questi sono posti di grande diletto botanico in cui geofite come Allium ursinum e Allium pendulinum si incontrano, in cui si ritrova la vite selvatica, Anemone nemorosa nella lecceta e in cui ci si meraviglia del faggio sotto il corbezzolo, insieme all’erica e al leccio.
Dei 6 habitat di Natura 2000 presenti nella riserva, colpiscono anche le comunità igrofile particolari che si formano nelle zone umide dove l’acqua ristagna, piccoli frammenti di un habitat prioritario che contribuiscono molto alla biodiversità della riserva. Vi troviamo Alnus glutinosa, Osmunda regalis di origine paleotropicale, Frangula alnus, molto rara in area mediterranea e Blechnum spicant, una felce comune nelle peccete, qui in condizioni extrazonali. E assorti, osserviamo il faggio di fianco.
Un’altra attraente fitocenosi è identificabile nell’ “Habitat 9330 Foreste di Quercus suber” così denominato nel Manuale Italiano di interpretazione degli habitat della Direttiva 92/43/CEE. Quercus suber, favorito dal substrato acido, è presente come specie sporadica nelle leccete costituendo potenzialmente sugherete seminaturali.
Questa è anche una delle pochissime aree conosciute dove Lobaria pulmonaria, lichene foglioso tripartito e sensibile alla frammentazione dell’habitat, si trova su Quercus ilex, in virtù del basso disturbo che la foresta ha subito in passato, della presenza di grandi alberi e dell’umidità atmosferica.
Una storia della vegetazione che si fonde con la vita delle persone in questa valle. Il castagno, già parte della vegetazione di latifoglie miste della zona durante i periodi interglaciali, il cui frutto è stato una risorsa fondamentale per numerosi secoli e una delle principali attività lavorative, è stato introdotto e coltivato in forma di selva castanile, di cui testimoniano oggi enormi ceppaie e polloni, metati e mulattiere.
I castagneti, che in fase di deperimento hanno subito una trasformazione in ceduo, sono in via di ricolonizzazione da parte di molte latifoglie spontanee e di piante sempreverdi della macchia mediterranea. Un processo di rinaturalizzazione coadiuvato da una gestione attiva, reintroducendo anche latifoglie pregiate con sottopiantagioni di rovere, ciavardello, ciliegio selvatico e contrastando l’espansione di Pinus pinaster che altera le condizioni ecologiche.
Alla conclusione del viaggio si comprende come la storia della vegetazione sia affascinante e come è necessario conoscerla per mettere in relazione la diversità del bosco con la gestione forestale in quanto la struttura forestale e la gestione del bosco possono avere effetti differenziati, paralleli o complementari rispetto ai diversi taxa. Quando l’uomo utilizza il bosco, il ruolo del Forestale assume dunque un grande valore per garantire equilibrio, stabilità e qualità del sistema foresta, considerando anche il punto di vista ecologico e sindinamico. Il monitoraggio della biodiversità forestale si avvale perciò della biodiversità multitassonomica tramite lo studio di più gruppi tassonomici verso la conservazione di una bellezza ecologica e la gestione forestale sostenibile.
Dibattiti selvicolturali in cedui di castagno della montagnola senese
Domenica 14 aprile, ultimo giorno della prima tappa del gemellaggio: l’organizzazione propone ai partecipanti un’attività che possa ben concludere la permanenza toscana. Obiettivo della giornata è riuscire a creare un vivo dibattito selvicolturale tra studenti, valutando se esistono delle differenze tra atenei di provenienza. L’attività scelta per la mattinata è un gioco selvicolturale a squadre. Assieme a noi c’è Giammarco Dadà di Compagnia delle Foreste e socio AUSF Firenze: il suo contributo alla buona riuscita dell’attività sarà essenziale.
Il bosco candidato per la gara è un ceduo nei pressi della località La Cetina, sulla Montagnola Senese. L’area è stata scelta semplicemente osservando al computer una recente ortofoto, senza svolgere un sopralluogo; dalle immagini appare evidente un taglio recente, e la viabilità visibile sembra consentire un facile accesso.
I partecipanti sono divisi in quattro squadre, ognuna accuratamente composta da studenti di età e provenienze differenti. Tramite un breve questionario somministrato la sera precedente si valutano anche attitudini e preferenze forestali personali: un elemento in più utilizzato per formare le squadre.
Arrivati sul posto, il bosco scelto si rivela un fitto ceduo di castagno alto 4-5 metri, con abbondanti matricine che alte si elevano sopra i polloni. Nonostante sia metà aprile, fa caldo e il sole batte forte, i giovanissimi getti del castagno, specie sempre piuttosto tardiva nell’emissione delle foglie in primavera, non sono sufficienti per offrire un po’ di ombra agli studenti. Presto le squadre si mettono all’opera: qualche rilievo dendrometrico, una stima dell’età dei polloni, qualche valutazione sul contesto economico e sociale nel quale il bosco è inserito. E poi, in piedi o seduti in cerchio, ciascun gruppo si immerge in lunghi dibattiti: la domanda che a tutti è posta è la seguente: Quali prospettive per questo ceduo di castagno? E quindi, di conseguenza, quali interventi si prevede di realizzare? Quando? E con quale finalità?
Dai gruppi al lavoro si sente proporre idee differenti: dalla produzione di paleria alla conversione in castagneto da frutto, da una gestione che possa permettere la produzione di miele con il posizionamento di alcune arnie, ad interventi di rinaturalizzazione, favorendo le latifoglie sporadiche. Alcune piccole scoperte come la presenza di alcuni semenzali di cerro indica quale potrebbe essere la vegetazione potenziale per quell’area, e l’abbondante robinia al margine, fa riflettere su possibili ingressi di specie alloctone.
Anche le matricine creano dibattito tra i gruppi: quelle rilasciate dall’ultimo taglio, svolto circa 5-6 anni fa secondo le stime degli studenti, sembrano numerosissime. Con una rotella metrica viene misurata la distanza tra matricina e matricina, e si compie una stima del numero ad ettaro: qualche squadra propone 150, chi 160. Addirittura, qualcuno riporta 200 matricine ad ettaro. Ciò che pare evidente a tutti è la densità troppo elevata; non si comprende la funzione di tutte queste matricine, che altissime svettano sopra i polloni, spesso con la parte superiore della chioma disseccata.
Dopo il dibattito interno alle squadre, è arrivato il momento del confronto: ad una ad una, vengono esposte le prospettive per il futuro del ceduo di castagno. Tutti prevedono di mantenere la stessa forma di governo e trattamento, e di rilasciare nel prossimo taglio di utilizzazione un numero inferiore di matricine di quelle attualmente presenti. Secondo il Regolamento delle Regione Toscana il numero minimo di matricine da rilasciare nel ceduo di castagno è trenta, ma prove sperimentali indicano che non ci sarebbero controindicazioni al trattamento a ceduo semplice per il castagno e anzi, la crescita dei polloni risulterebbe avvantaggiata. (Manetti et al., 2022)
Vengono inoltre condivise idee interessanti che potrebbero accrescere il valore del castagneto: oltre alla sola paleria, qualcuno ha previsto la produzione di biochar dalla ramaglia di risulta dei diradamenti e del taglio di utilizzazione, chi invece ha previsto l’utilizzo dei giovani getti per la produzione di cesti in vimini, attività che potrebbe interessare i molti agriturismi della zona. Una squadra propone di creare delle aree apposite per delle arnie, per la produzione di miele di castagno e robinia. Insomma, nascono tante idee interessanti per un semplicissimo ceduo di castagno!
In breve, è già tempo di ripartire. Ma lungo la via del ritorno un incontro particolare accende di nuovo il dibattito. Un proprietario della zona, incuriosito dal folto gruppo di giovani, ci viene incontro e scambia con noi qualche parola. Gli spieghiamo il motivo per cui siamo stati nel ceduo di castagno, la nostra attività, e presentiamo la nostra associazione. Lui rimane piacevolmente sorpreso, e alla richiesta di una spiegazione del perché di tutte quelle piante lasciate nel taglio di sei anni fa, lui risponde: «Matricine? Intendete le Mamme! A parer mio sono troppo poche».
Restiamo tutti colpiti dalla risposta. Perché mai dovrebbe ritenere che sono state rilasciate così poche matricine? Veniamo colti tutti dallo stesso pensiero: finché rimaniamo relegati al nostro contesto universitario nel quale ci stiamo formando, le idee, la visione della selvicoltura e delle scienze forestali in generale, sono grossomodo sempre comuni a tutti, e ugualmente anche il lessico è comune a tutti. Ma fuori dalle nostre aule universitarie, ognuno ha la propria visione, le proprie idee, e addirittura il proprio linguaggio.
Ecco: il forestale nella sua professione deve sapersi calare anche in questo mondo ben lontano dalle aule universitarie, deve saper comunicare a questi proprietari, come a tutti gli altri attori del bosco. Questo l’ultimo spunto di riflessione che il ceduo della Montagnola Senese ci offre.
Carichi di entusiasmo per i primi due giorni di gemellaggio, così ricchi di meraviglie botaniche e nuove idee costruite insieme, non si aspetta altro che scoprire cosa riserveranno i giorni “padovani”. Il filo della narrazione proseguirà nell'articolo in uscita la prossima settimana, attraverso i pascoli e i boschi dell’Altopiano di Asiago (VI), tra gli ululati dei lupi e il ricordo della nostra storia, che ancora oggi permane.
Autori:
Giorgia Ragazzini, Tommaso Moneta (AUSF FIRENZE).
Manetti M.C., Conedera M., Pelleri F., Montini P., Maltoni A., Mariotti B., Pividori M., Marcolin E. 2022. Optimizing quality wood production in chestnut (Castanea sativa Mill.) coppices. Forest Ecology and Management 523 (2022) 120490. https://doi.org/10.1016/j.foreco.2022.120490
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