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Che fine ha fatto la leale collaborazione istituzionale?

Che fine ha fatto la leale collaborazione istituzionale?

Editoriale a firma della Redazione e del Consiglio Editoriale di Sherwood

Il 15 Febbraio 2022 il Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari Carabinieri (CUFA) ha prodotto una Direttiva operativa per la tutela dei boschi. La lettura del documento disorienta sia per la procedura adottata sia per i contenuti tecnici. Relativamente alla procedura il motivo è palese: il CUFA, stabilisce di sua iniziativa, con una direttiva interna, ma con importanti ricadute esterne, che i boschi governati a ceduo (tutti, senza distinzione) che hanno superato 0,5 volte il turno minimo debbano essere assimilati ad una fustaia transitoria e, come tali, debbano essere trattati.

A questo punto è utile ricordare che lo Stato italiano è organizzato in tre poteri fondamentali: legislativo, esecutivo e giudiziario. Tre poteri che hanno dei limiti piuttosto chiari l’uno rispetto all’altro. Il primo emana le leggi, il secondo le traduce in pratica controllandone l’applicazione anche attraverso gli organi di polizia e il terzo giudica in caso di contenzioso.

In questo contesto dovrebbe svilupparsi una leale collaborazione tra i tre poteri e un principio di sussidiarietà all’interno di ciascuno di essi. La leale collaborazione si può interpretare come un modo di tendere a scopi comuni senza sovrapposizioni e sconfinamenti di ruolo. Il principio di sussidiarietà invece prevede che gli enti di livello superiore svolgano attività specifiche solo nel caso in cui non possano essere (o non siano) svolte dagli enti di livello inferiore che ne abbiano la competenza.

La gestione del patrimonio forestale italiano è delegata dallo Stato alle Regioni e alle Province Autonome. Il fatto che il CUFA decida autonomamente quale debba essere il turno massimo di tutti i boschi italiani governati a ceduo e che spinga il proprio personale a contestare le “autorizzazioni normalmente rilasciate dagli organi regionali ed enti delegati o comunicazione presentata agli stessi” per boschi che abbiano 2 o 3 volte il turno, si presenta come uno sconfinamento di ruolo dal potere esecutivo a quello legislativo.

La gestione del patrimonio forestale italiano è delegata dallo Stato alle Regioni e alle Province Autonome, l'azione del CUFA si presenta quindi come uno sconfinamento di ruolo dal potere esecutivo a quello legislativo.

Allo sconfinamento di ruolo ci aveva già abituato il Corpo Forestale dello Stato (CFS) negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, quando, sempre in merito al ceduo e sempre con un motu proprio, che non teneva conto né delle norme regionali né delle conoscenze scientifiche in merito, nei fatti impose una matricinatura molto superiore a quella prevista dalle norme e dalle consuetudini, con notevoli danni per la produttività dei cedui, danni dimostrati da autorevoli studi del CREA FL. Al mancato rispetto del principio di sussidiarietà invece non eravamo ancora arrivati, almeno non con una Direttiva che sembra considerare i funzionari regionali propensi ad agevolare autorizzazioni illecite e che invita i Carabinieri a indicare ai suddetti funzionari quali siano le corrette autorizzazioni (benché si tratti di attività di competenza regionale). La Direttiva infatti afferma testualmente che “in presenza di tagli boschivi in boschi cedui dell’età di 2t o 3t (a raso su ampie superfici) sussistono ampiamente i presupposti tecnico-giuridici per la denuncia degli illeciti riscontrati [...]”.

A parte il fatto che i tagli a raso sono vietati per legge dal D.Lgs. 34/2018 (TUFF), la Direttiva non fornisce alcun riferimento su cosa si intenda per “ampie superfici”, lasciando quindi spazio a pericolose interpretazioni della norma. Inoltre se ne può dedurre che i funzionari che autorizzeranno ai sensi della propria legge regionale un taglio ceduo in un bosco che supera di 0,5 volte il turno, potrebbero vedersi denunciati sulla base non di una legge, ma di una Direttiva interna del CUFA. Nella frase finale si invitano poi i Carabinieri a “interfacciarsi con le competenti strutture regionali preposte alle autorizzazioni forestali affinché, nel rispetto del principio di leale collaborazione interistituzionale, vengano adottate già in fase preventiva idonee misure a tutela del bosco, del paesaggio e dell’assetto idrogeologico”. In altre parole è come dire: formalmente riconosco il ruolo delle Regioni, ma sostanzialmente le scavalco, anzi ne controllo gli atti e le competenze e faranno bene a tenere conto del superamento del limite di 0,5 volte il turno minimo, poiché altrimenti posso denunciarle alla Procura!

In proposito va detto che in giudizio, quando una direttiva si scontra con una legge dovrebbe essere quest’ultima a prevalere: ci sono pochi dubbi in merito. Tuttavia sarà stata data la possibilità a “guastatori di parte”, sempre pronti a cavalcare una dilagante moda da ambientalismo demagogico, di bloccare cantieri grazie a questa iniziativa estemporanea. Saranno così avviati lunghi iter giudiziari con notevole dispendio di tempo e di soldi per i privati, per le Amministrazioni regionali e per il potere giudiziario.

Una Direttiva del genere manifesta un’autoreferenzialità che nell’Italia degli ultimi anni, alla luce della partecipazione e della condivisione tra i vari attori istituzionali, associativi, pubblici e privati del settore forestale, a cui ci ha abituato la DiFor del Mipaaf, appare ingiustificabile e soprattutto fuori dai tempi e dai modi di scelte potenzialmente così impattanti.

foreste private low

La parte tecnica poi lascia interdetti per l’approccio da social network alle motivazioni che giustificano la Direttiva e al numero consistente di errori che contiene. Innanzitutto colpisce il fatto che non si distingue tra specie diverse, che hanno notoriamente differenti capacità pollonifere. Giusto per fare un esempio, in Toscana il turno minimo per i cedui di castagno per la produzione di paleria da vigna, ma anche per staccionate, è 8 anni. Ciò significa che un ceduo costituito da una specie come il castagno, che ha una vigorosa capacità pollonifera che va ben oltre i 100 anni, a 13 anni dovrebbe essere già considerato un ceduo invecchiato da avviare ormai all’alto fusto (pratica ben difficile da attuare, come sanno molti selvicoltori). Si giustifica la scelta di imporre un turno 0,5 volte superiore a quello minimo confondendo la definizione di bosco abbandonato presente nel TUFF, con quella di bosco non più in grado di rigenerarsi per polloni. Si dichiara che “le biomasse legnose rappresentano il 65% dell’energia rinnovabile consumata”, mentre questa percentuale riguarda solo quella termica.

La parte tecnica poi lascia interdetti per l’approccio da social network alle motivazioni che giustificano la Direttiva e al numero consistente di errori che contiene.

Senza entrare in nessuna delle altre numerose carenze del documento, vale la pena ricordare che in Italia abbiamo un esteso sistema di ricerca CREA e CNR in campo forestale e 13 corsi di laurea in Scienze Forestali e Ambientali. In nessuno di essi si insegna che il ceduo, senza distinzione di specie, debba essere considerato invecchiato se supera 0,5 volte il turno. Come mai nella Direttiva non si tiene conto dei numerosi studi che il mondo scientifico italiano ha fatto in merito al governo e ai vari trattamenti del ceduo?

Le questioni su cui eccepire sarebbero molte di più, ma qui ci fermiamo perché il duplice scopo di questo editoriale è piuttosto invitare da una parte le Regioni e le Province Autonome a chiedere il ritiro della Direttiva che le esautora dal ruolo legislativo che spetta loro, dall’altra chiedere al Mipaaf e al MiTE di chiarire, finalmente, di chi siano le competenze sulle norme di gestione forestale e come possano essere armonizzate con quelle paesaggistiche e ambientali, senza creare ogni volta una dannosa contrapposizione tra interessi di differenti gruppi di cittadini e sterili, ma costosi sconfinamenti di ruolo tra enti e istituzioni. L’auspicio è che tutto ciò possa svolgersi nel pieno rispetto della leale collaborazione istituzionale e del principio di sussidiarietà che guidano il buon funzionamento del nostro Stato... magari tenendo conto anche delle solide e autorevoli conoscenze tecnico-scientifiche di cui disponiamo.

Questo editoriale è tratto dal numero 258 di Sherwood | Foreste e Alberi oggi: se vuoi ricevere a casa la tua copia cartacea e non perderti l’anteprima su questo e altri contenuti esclusivi, visita la sezione dedicata agli abbonamenti cliccando qui. Abbonandoti contribuirai a sostenere tutto il lavoro della redazione di Sherwood.

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