Addio al “doppio vincolo” paesaggistico sugli interventi selvicolturali
Approvato l'emendamento che toglie il doppio vincolo ai boschi che ricadono in aree di interesse...
di Gaia Turolla, Paolo Calcaterra e Gabriella Zanetel con il contributo di Matteo Varotto, Margherita Longo e Matilde D’Eramo - AUSF Padova
Asiago, in provincia di Vicenza, è la località prescelta per ospitare la tappa veneta del gemellaggio tra AUSF Firenze e AUSF Padova (qui la prima parte) e approfondire una tematica che la formazione forestale, in alcuni casi, tocca solo di sfuggita: l’Alpicoltura. L’Altopiano dei Sette Comuni, infatti, è tra i luoghi più vocati della regione Veneto alle attività di malga che, gestendo in modo coordinato prati, pascoli e animali, custodiscono il prezioso patrimonio di biodiversità e paesaggi locali.
Le attività delle due giornate venete sono iniziate presso la sede dell’Unione Montana Spettabile Reggenza dei Sette Comuni (ad Asiago) dai dottori Forestali Gianni Rigoni Stern e Laura Veronese, precedente e attuale responsabile dell’Ufficio Malghe, con una panoramica sul patrimonio malghivo e la relativa gestione. Particolare interesse ha suscitato la novità in corso di introduzione sull’Altopiano: la Certificazione Biologica di Gruppo dei Pascoli Montani - primo caso in Europa - che riconosce il tipo di gestione sostenibile dei pascoli, di fatto qui applicato da sempre, con la prospettiva di integrare le reti locali e valorizzare il territorio.
La successiva visita dei locali interni di Malga Verde, gestita dalla famiglia Cortese nel comune di Lusiana Conco, ha permesso di apprezzare le fasi di lavorazione del latte fino alla produzione di formaggi come l’Asiago DOP, che segue rigidi protocolli ed è esportato in tutto il mondo grazie al marchio CE.
La panoramica è proseguita con un’escursione sui pascoli di alta quota della parte settentrionale dell’Altopiano, incontrando abeti rossi (Picea abies che a questa altitudine crescono a gruppi), pino mugo (Pinus mugo), ginepro (Juniperus communis) e Rododendro-vaccinieti (Rhododendron ferrugineum e Vaccinium myrtillus), tra i quali nella giusta stagione è frequente sentire il canto del gallo forcello (Tetrao tetrix), fino ai lariceti affacciati sulla Valsugana.
Camminando, è bastato poco per accorgersi che il mosaico di arbusti incontrati rappresenta in realtà una forma di degrado del pascolo, problema sempre più diffuso in Veneto soprattutto nelle aree montane marginali. Ciò avviene spesso a causa della modifica della modalità di pascolamento avvenuta negli ultimi decenni. Per ridurre i costi di gestione, dal pascolamento condotto (presenza quotidiana di un pastore che conduce gli animali al pascolo) si è passati al pascolamento libero (gli animali pascolano liberamente di solito selezionando solo certe aree). Spesso anche la monticazione di un carico inferiore a quello consigliato per il pascolo è una causa importante di degrado dovuto al sottopascolamento. Come conseguenza, le specie infestanti e gli arbusti locali possono insediarsi facilmente e, se non vengono rimossi come da prescrizioni, condurranno in un tempo relativamente breve alla ricostituzione del bosco. Questo significa ridurre (e potenzialmente perdere del tutto) la superficie di pregiate praterie permanenti, spesso così ricche di biodiversità da essere protette in modo prioritario ai sensi della Direttiva Habitat (92/43/CEE).
A tal proposito, è stato curioso scoprire l’esistenza di un conflitto interno alla Direttiva, che tutela allo stesso tempo anche le mughete: naturali e autoctone, importanti non solo per la protezione dal rischio idrogeologico, ma anche come rifugio per varie specie animali, tendenti a colonizzare le superfici che corrisponderebbero alla loro nicchia ecologica. Per questo motivo esiste una deroga regionale che consente il taglio del pino mugo che vada a sottrarre spazio ai pascoli, oltre all’eliminazione di branche che chiudono sentieri forestali e naturalistici ai fini della manutenzione. Si è deciso, però, di non rendere fine a sé stessa la rimozione di questo arbusto, che ricordiamo essere locale; infatti, si sta lavorando per avviare una filiera legata proprio al mugo che ne valorizzi tutte le parti: dall’estrazione degli olii essenziali, alla produzione di distillati come grappe e liquori, sino alla produzione di “Mugolio”, fatto a partire da strobili e gemme e al potenziale utilizzo del legno del fusto.
A complicare ulteriormente la situazione dei pascoli dell’Altopiano sono i cinghiali, la cui attività di scavo e rivoltamento delle zolle danneggia visibilmente le superfici pascolive rendendo necessari interventi di recupero.
L’interazione della fauna selvatica con le attività locali, non solo in riferimento al cinghiale, ma anche al recentissimo ritorno del lupo, è una questione sentita e controversa a cui è stato dedicato un approfondimento con Massimo Paganin, guardiacaccia da trent’anni attivo nella gestione della fauna selvatica dei Sette Comuni.
Dalla chiacchierata è emerso come le informazioni sul lupo siano spesso mistificate e che talvolta si dia credito a narrazioni inesatte. Uno dei luoghi comuni che si è analizzato riguarda la territorialità dei branchi: tendenzialmente si pensa che i lupi non permettano l'ingresso di esemplari estranei al branco nel loro territorio d'appartenenza. Invece, tramite monitoraggio e geolocalizzazione è stato osservato come, di fatto, alcuni lupi solitari siano passati indisturbati su territori di altri branchi, anche più volte.
Una delle maggiori problematiche dell’Altopiano riguardanti il lupo è il suo impatto sugli animali in alpeggio: sono avvenuti casi di predazione, in particolare su specie di piccola taglia come ovini e caprini, mentre sui bovini il fenomeno è limitato a qualche esemplare giovane. Un altro aspetto curioso sugli attacchi del lupo è la situazione osservata per alcune specifiche malghe e allevatori, che i lupi tendono ad attaccare in maniera reiterata a parità di condizioni di controllo, come se i branchi, dotati di memoria storica, avessero delle vittime predilette. La predazione del bestiame interessa particolarmente quest'ultimo periodo storico, in cui la modalità di gestione degli animali è tendenzialmente il pascolamento libero: gli allevatori presidiano meno il bestiame, esponendolo ad attacchi molto più frequenti che in passato, quando il pastore era sempre presente sul pascolo.
È scaturito un interessante confronto con l'esperto sulle possibilità di difesa delle mandrie, che la situazione attuale rende necessaria, come ad esempio l'utilizzo di recinzioni, segnali acustici e cani guardiania; questi ultimi in particolare sono efficaci, ma da gestire oculatamente soprattutto perché potrebbero risultare aggressivi nei confronti dei turisti, costituendo un pericolo.
Infine, dall'incontro è emerso come talvolta l’opinione pubblica tenda a percepire il problema del lupo in maniera distorta, su convinzioni spesso infondate; quello che è certo è la consapevolezza di aver ancora molto da conoscere su questo intelligente animale e la necessità di trovare una via di coesistenza equilibrata con le attività locali.
Nel pomeriggio, si è passati a considerare la parte boschiva e selvicolturale dell’Altopiano, visitando un ceduo a sterzo di faggio e una pecceta con il Dott. For. Marco Pellegrini.
Il ceduo a sterzo è una forma di governo utilizzata per garantire una provvigione costante di legname ai cittadini dei 7 Comuni, i quali hanno diritto di uso civico e ogni uno/due anni possono richiedere al Comune un assortimento di legna da ardere a prezzi ammortizzati. In questi popolamenti gli interventi vengono eseguiti all’incirca ogni 15 anni e consistono nell’asportazione dei polloni con età pari al turno e nel diradamento proporzionale di quelli di età inferiore. Da questo trattamento, rispetto al ceduo semplice, si ricava meno materiale, ma più frequentemente, ed è meno visivamente impattante sul paesaggio forestale, che rimane sempre coperto in una certa misura; a tal riguardo, Mannozzi-Torini (1950) affermava che il taglio «a sterzo», «[…] costituisce uno dei trattamenti più perfetti della nostra selvicoltura».
Per quanto riguarda i popolamenti di Picea abies, la maggior parte di essi ha origine artificiale successiva alla Prima Guerra Mondiale, durante la quale lo sfruttamento intensivo dei boschi determinò il denudamento di enormi superfici. Poi, si presentò il bisogno di rimboschire e la scelta ricadde sull’abete rosso, specie da cui ricavare buon legname da opera.
Nei boschi di Asiago sono ancora presenti i segni della guerra: residui bellici, trincee, ospedali civili e cimiteri commemorativi per i caduti, come il Cimitero Britannico di Barenthal, considerato territorio britannico e premurosamente curato dalla Commonwealth War Graves Commission. Anni dopo questi disastrosi avvenimenti, un'altra minaccia si è abbattuta sui boschi del nord-est Italia: la tempesta Vaia del 2018, le cui conseguenze persistono ancora oggi e portano il nome di Ips typographus - il bostrico. Anche Asiago non fa eccezione: in queste peccete pure, coetanee e talvolta mature, si possono vedere alcuni esemplari o intere porzioni di bosco colpite dall'insetto. Al momento, la linea di gestione è sospendere gli interventi selvicolturali di diradamento delle peccete secondarie: l’utilizzazione, infatti, indebolirebbe gli alberi rimanenti rendendoli vulnerabili all’attacco del parassita, che troverebbe nuovi punti di ingresso e di espansione.
In conclusione, è necessario fare un richiamo al vero cuore di questo gemellaggio, che è in comune con il senso stesso delle Associazioni Universitarie di Studenti Forestali: fare rete.
Fare rete significa “mettere il naso” fuori dalla propria realtà, piccola o grande, con la curiosità di imparare un po’ di più, oltre a quello che leggiamo con interesse nei libri. Rifacendoci all’ecosistema bosco, fare rete equivale a sviluppare un solido apparato radicale: che sia profondo e ampio, e che raggiunga gli studenti dei vari atenei italiani.
Con le parole dei partecipanti, fare rete in questo gemellaggio è stato…
“ Una quarantina di studenti che attraversano ecosistemi, dalla macchia ai larici, stupendosi di particolari associazioni vegetali, habitat di tetraonidi, licheni, vipere degli orsini.”
“ Giocare insieme la sera.”
“Fare foraging, imparando a riconoscere erbe spontanee per poi cucinarle e mangiarle insieme.”
“Dibattere di selvicoltura: l’attività nel castagneto è stata un ottimo, stimolante esercizio sul campo, ricchissimo di spunti per individuare tecniche e soluzioni diverse allo stesso problema, mettendole a confronto.”
“Pensare che ad Asiago siamo stati nelle stesse praterie dove generazioni prima di noi si sono dissanguate per il nostro presente... conoscere il territorio anche in quest’ottica non è stato indifferente.”
“Animarsi di coraggio e consapevolezza: il gemellaggio mi ha fatto riflettere su cosa sono stati da giovani gli attuali forestali e cosa possiamo diventare noi...siamo i futuri gestori dei boschi italiani e, attraverso la conoscenza del territorio plasmato dai nostri predecessori e delle culture locali, facciamo passi in avanti verso l'acquisizione di questo titolo. Conoscere già da adesso quelli che saranno i nostri colleghi e creare reti di idee e collaborazione non può che renderci più forti come settore … e poi sole, cuore e amore.”
Ed è così che in questo doppio gemellaggio, tra la cecina e i canederli, dalla macchia mediterranea ai lariceti, AUSF ha contribuito a far conoscere luoghi di regioni differenti, specialità culinarie tipiche, paesaggi assai diversi. Ma soprattutto ha messo in contatto studenti tra loro e con numerose figure del mondo forestale: dottori forestali, ricercatori, professori, carabinieri forestali, responsabili di uffici ed enti pubblici, giornalisti forestali, guardiacaccia, proprietari forestali e produttori locali.
Un’occasione unica che fa riflettere sulla natura e le fondamenta su cui cresce e si sviluppa l’Associazione Universitaria degli Studenti Forestali. Coltivando la profonda conoscenza del nostro territorio, abbiamo l’opportunità e la potenzialità di migliorare il settore forestale con lo studio, la competenza, l’efficace comunicazione del nostro lavoro ai non addetti, con l’intento di rafforzare l’interazione con le altre figure professionali che contribuiscono alla tutela dei sistemi naturali e ambientali e con cui il forestale collabora.
Siamo, tutti insieme, studenti dediti a costruire il futuro delle nostre foreste.
Autori:
Gaia Turolla, Paolo Calcaterra e Gabriella Zanetel con il contributo di Matteo Varotto, Margherita Longo e Matilde D’Eramo (AUSF Padova).
Questo articolo è pubblicato nell’ambito del protocollo di intesa firmato da AUSF Italia e Compagnia delle Foreste. Per scoprire di più sulla storia dell’Associazione Universitaria degli Studenti Forestali, sul nostro sito è disponibile un articolo firmato da Solaria Anzilotti; oppure è possibile visitare la https://www.facebook.com/ausfitalia, il profilo Instagram o scrivere una mail a .
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