Pubblicato il nuovo report IPCC: Impatti, Adattamento e Vulnerabilità
di Andrea Barzagli
Pochi giorni fa è uscito il nuovo rapporto IPCC (Intergovernal Panel on Climate Change) intitolato “Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability”, un documento di oltre 3000 pagine che tira le fila di tutti i più recenti studi sulla valutazione degli impatti del cambiamento climatico, esaminando gli ecosistemi, la biodiversità e le comunità umane a livello globale e regionale. Allo stesso tempo il report valuta anche la vulnerabilità del mondo naturale e delle società umane sotto vari scenari futuri e la loro capacità di adattarsi al clima che cambia.
Ovviamente si parla anche di foreste, sottolineando in più parti la duplice natura di questi ecosistemi che hanno allo stesso tempo un grosso potenziale nel mitigare gli effetti della crisi climatica ma anche equilibri più o meno delicati e legati proprio al clima per la loro sopravvivenza.
“Our climate is our future”, il nostro clima è il nostro futuro: il report evidenzia le complesse interazioni tra il cambiamento climatico, i rischi per la natura e le persone adesso e nel futuro e le possibili opzioni per agire e adattarsi. Come rispondono le varie specie e gli ecosistemi a questi cambiamenti? Quali sono le possibili conseguenze di un loro mancato adattamento? Gli effetti sull’approvvigionamento di cibo, acqua e altri servizi ecosistemici? Queste sono solo alcune delle domande a cui il documento cerca di dare una risposta, prendendo in considerazione le sfide riguardanti la vita nelle città e quelle delle aree rurali.
Quella pubblicata pochi giorni fa è in realtà la seconda parte del sesto rapporto prodotto dall’IPCC. La prima, dedicata alle basi e alle evidenze scientifiche, è uscita lo scorso 9 Agosto, mentre la terza si concentrerà sulla mitigazione ed è attesa per Aprile 2022.
I documenti messi a disposizione sono tre: il report completo con oltre 3000 pagine, un Technical Summary e il Summary for Policymakers, tutti disponibili per il download sul sito dell’IPCC. Proprio nel report completo è contenuto un capitolo dedicato a “Cibo, fibre e altri prodotti degli ecosistemi”, all’interno del quale troviamo una sezione sui sistemi forestali in cui si analizzano gli impatti già registrati, le proiezioni e le possibili azioni di adattamento.
Una rapida analisi dei principali impatti che potremmo avere nell’area mediterranea, considerando i diversi scenari di aumento della temperatura ce l’ha fornita Giorgio Vacchiano, ricercatore e professore associato all’Università Statale di Milano, mettendo in evidenza come, stando ai dati del report, i fattori di rischio principali per la nostra area sono legati all’effetto del calore su persone ed ecosistemi, alla mancanza di acqua e all’innalzamento del livello del mare. La siccità è infatti diventata un problema più frequente, soprattutto nei paesi del nord del Mediterraneo, con il livello delle precipitazioni che potrebbe ridursi ancora dal 4 (scenario ad 1,5° di aumento della temperatura) al 22% (3° di aumento della temperatura), uno scenario che potrebbe mettere a rischio il 64% del rendimento delle colture ad alto fabbisogno di acqua. Allo stesso modo sono in atto variazioni sul numero di giornate con picchi di calore (+30/40% nei peggiori scenari) e nell’intensità dei singoli eventi piovosi che potrebbe aumentare del 10% negli scenari a più alte emissioni. Gli effetti di queste variazioni, oltre che sulla salute umana andrebbero ad impattare anche sugli habitat di piante, insetti e mammiferi: “Se riusciremo a ridurre rapidamente le emissioni globali di gas serra, in Italia quasi tutto il territorio manterrebbe condizioni climatiche ideali per le specie vegetali attualmente presenti. In caso contrario, l'area padana e la parte centrale del Paese vedrebbe ridursi gli habitat per le piante dal 40 all'80%”, sottolinea ancora Giorgio Vacchiano. Non da meno il problema dell’innalzamento del livello del mare, con effetti devastanti sugli ecosistemi costieri e sulla vita e la storia delle persone che li abitano. Si parla di un aumento che, nel migliore dei casi, vedrà ad esempio l’acqua di Venezia alzarsi di almeno 50 cm entro il 2100.
Nel parlare delle possibili azioni per l’adattamento, il capitolo 5 del report, nella sezione dedicata agli ecosistemi forestali gestiti, mette in evidenza l’importanza della Gestione Forestale Sostenibile e del suo ruolo nella creazione di foreste più resilienti. Ad esempio agire sulla composizione specifica, favorendo specie più adatte al clima futuro e meno soggette a disturbi; favorirne l’insediamento in habitat adatti e incrementarne la diversità; incoraggiare anche la diversità strutturale, sia a scala di popolamento che a scala di paesaggio; realizzare diradamenti per diminuire gli stress idrici e prediligere forme di gestione a copertura continua per regolare il microclima. La parola chiave è quindi Selvicoltura, come sottolinea Luigi Torreggiani in un suo intervento sui social network a commento del Report, “un termine quasi del tutto assente nel dibattito tecnico-scientifico e politico di oggi. La Selvicoltura, quella con la S maiuscola, cioè il “braccio operativo” della Gestione Forestale Sostenibile, ci può aiutare a tenere insieme forme di adattamento, biodiversità, produzione di servizi e materia prima rinnovabile, “ma non si improvvisa, deve essere fatta bene, meglio che in passato, da professionisti formati e specializzati, guidati da una visione comune. Il problema è che non stiamo davvero investendo sui selvicoltori di oggi e di domani”. Non a caso il report IPCC identifica tra i fattori chiave per la riuscita di queste azioni di adattamento delle foreste la necessità di partenariati solidi tra tutte le parti interessate: dai ricercatori ai tecnici e gestori forestali, coinvolgendo ovviamente anche gli attori locali.
Il report mette in evidenza l’importanza della Gestione Forestale Sostenibile e del suo ruolo nella creazione di foreste più resilienti.
Interessante per il dibattito del mondo forestale anche il concetto introdotto dal report di maladaptation, un termine che identifica quelle azioni messe in atto come risposta ai cambiamenti climatici ma che possono avere effetti negativi sugli ecosistemi e sulla loro resilienza, innescando un circolo vizioso con conseguenze anche sulle persone che li abitano. Tra le azioni prese come esempio ci sono anche i progetti di piantagione di alberi, diventati negli ultimi tempi un ottimo “paravento verde” che fa comodo a molti ma che, come sottolineato dal report, devono essere ben progettati e posizionati, per non rischiare un potenziale impatto negativo sull’ecosistema in cui vengono realizzati e sugli equilibri delle popolazioni che da quegli ecosistemi dipendono per il loro sostentamento.
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