La terapia forestale vista con gli occhi di un medico: una pratica integrativa dalle grandi potenzialità
di Luigi Torreggiani e Andrea Barzagli
Questo articolo-intervista è stato realizzato nell’ambito del progetto FOR.SA - Foreste e Salute, coordinato dalla Foresta Modello delle Montagne Fiorentine e finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Toscana, bando GAL Start, misura 19.2.
Ogni intervista realizzata è disponibile sia in versione podcast che in forma scritta.
L'intera serie podcast, in sei puntate, è disponibile gratuitamente su tutte le piattaforme di ascolto.
Negli scorsi articoli abbiamo raccolto le testimonianze di esperti forestali, che ci hanno portato tanti e interessanti spunti su temi diversi: la storia della terapia forestale, le evidenze scientifiche per la salute umana, il tipo di boschi in cui è possibile praticarla e anche le sue ricadute socioeconomiche. Per completare il quadro mancava però il punto di vista medico, così abbiamo coinvolto un professionista che da tempo si interessa proprio di questo tema: Michele Antonelli, laureato in medicina e chirurgia all'Università di Pisa e specializzato in igiene e medicina preventiva all'Università di Parma. Antonelli collabora a vari progetti di ricerca scientifica dedicati a sperimentazioni mediche innovative, tra cui anche l’utilizzo del bosco come luogo di prevenzione e cura attraverso la terapia forestale.
“È importante mettere a fuoco un concetto di base”, premette Antonelli, “cioè che la terapia forestale è - e deve essere - qualcosa di integrativo e non di alternativo, una pratica che si pone quindi a integrazione della medicina tradizionale. Detto questo, essa può essere sicuramente utile per la prevenzione di tutte quelle malattie che sono correlate allo stress, come problemi del tono dell'umore, disturbi d'ansia, ma anche malattie metaboliche: tutte quelle patologie che vedono nello stress una causa o una concausa”.
Ma l’utilità della terapia forestale, ci ha spiegato Antonelli, può spingersi anche oltre. Può risultare efficace, ad esempio, all'interno di programmi di disassuefazione da sostanze d'abuso e può trovare utilità anche per la promozione della salute psicofisica nei soggetti della terza età. “Abbiamo visto da sperimentazioni italiane che ci può essere un'interessante utilità anche in individui che soffrono di malattie respiratorie croniche”, aggiunge Antonelli, “e questo è dovuto alla somma dell’assenza di inquinanti nell'aria dell'ambiente forestale e alla presenza dei terpeni, che hanno un'azione benefica sulla funzionalità respiratoria e bronchiale”.
Durante le interviste con le esperte e gli esperti che abbiamo contattato si è spesso ragionato dell'auspicio di vedere presto ufficializzate le pratiche di terapia forestale all'interno dei protocolli del servizio sanitario nazionale. Ma qual è, in questo ambito così pratico e specifico, il parere di un medico? Lo abbiamo chiesto a Michele Antonelli che ci ha risposto senza dubbi: “Secondo me può essere utile seguire la strada già intrapresa da altri Paesi del mondo che hanno introdotto le cosiddette Green Prescriptions. Questo passaggio è auspicabile anche in Italia, perché un'implementazione della terapia forestale all'interno del servizio sanitario potrebbe innanzitutto trasformarsi in un'opportunità di promozione della salute pubblica, ma non solo. Un riconoscimento ufficiale permetterebbe di regolamentare questo settore e le professioni ad esso connesse, anche attraverso una formazione specifica, in modo che le pratiche siano al tempo stesso scientificamente efficaci e anche sicure per la popolazione che ne fruisce”.
L'implementazione della terapia forestale all'interno del servizio sanitario potrebbe innanzitutto trasformarsi in un'opportunità di promozione della salute pubblica, ma non solo
Antonelli è anche un ricercatore e così gli abbiamo chiesto di condividere con noi i risultati di una recente ricerca che riguarda le caratteristiche demografiche e di stile di vita delle persone che hanno partecipato almeno una volta a sessioni di terapia forestale in Italia, spiegandoci anche come questi studi possono poi tradursi in indicazioni pratiche.
“Si è visto, per esempio, che ad oggi chi pratica terapia forestale in Italia sono prevalentemente donne”, spiega Antonelli, “si tratta di soggetti normalmente adulti, di età compresa tra i 35-40 e i 50-55 anni. All'interno del campione femminile sono stati riscontrati, attraverso test psicometrici, dei livelli di ansia superiori rispetto alla popolazione generale. Nella componente maschile, invece, sono state trovate prevalentemente abitudini di vita non troppo salutari, come ad esempio un’alimentazione scorretta. Un'idea che è nata dallo studio è stata quindi che la terapia forestale potrebbe essere un'occasione per avvicinare questa tipologia di persone proponendo loro degli esercizi o delle raccomandazioni personalizzate: ai fruitori di sesso femminile potrebbero essere consigliati, a seguito delle sessioni in bosco, degli esercizi per il controllo dell'ansia; a quelli di sesso maschile potrebbero invece essere fornite delle indicazioni e raccomandazioni, sfruttando l'occasione della terapia forestale per proporre un percorso di educazione di tipo nutrizionale”.
Un altro aspetto molto interessante uscito dallo studio è relativo al livello di consapevolezza ambientale di chi pratica la terapia forestale in Italia, che è risultato mediamente molto alto. “Questo indica che utilizzare la terapia forestale per creare sensibilità ai temi ambientali può essere efficace solo se si comincia ad estendere le pratiche al di là degli attuali fruitori”, spiega però Antonelli, “rivolgendosi ad esempio a fasce di popolazione che, per ragioni socio-culturali, hanno normalmente meno sensibilità su questi temi”. Secondo il medico sarebbe molto interessante anche capire come poter avvicinare a queste pratiche gli individui della terza età, per svolgere degli specifici programmi di promozione della loro salute. In questo caso, secondo il medico, un aspetto su cui bisognerebbe riflettere è l’individuazione di siti forestali che abbiano un'accessibilità tale da consentire anche a coloro che hanno problemi di salute e di deambulazione di poter godere di questo tipo d’esperienza.
Utilizzare la terapia forestale per creare sensibilità ai temi ambientali può essere efficace solo se si comincia ad estendere le pratiche al di là degli attuali fruitori, rivolgendosi a fasce di popolazione che, per ragioni socio-culturali, hanno normalmente meno sensibilità su questi temi
Abbiamo concluso la chiacchierata con Michele Antonelli con una domanda in prospettiva: quali sono i campi di applicazione della terapia forestale che oggi non sono ancora stati studiati a sufficienza ma che invece potrebbero rivelarsi potenzialmente interessanti per il prossimo futuro?
“Indubbiamente la maggior parte delle evidenze esistenti si concentrano su problemi di tipo psicologico e un po’ meno su malattie di tipo organico come patologie fisiche”, spiega Antonelli, “e soprattutto, gli studi esistenti sono rivolti a soggetti con elevati livelli di stress, individui con disturbo d'ansia, soggetti con calo del tono dell'umore o con magari forme depressive lievi. Le ricerche si sono concentrate meno, invece, tra gli individui con patologie organiche”. Un aspetto utile potrebbe quindi essere, secondo il medico, quello di insistere con la ricerca per comprendere in maniera più approfondita gli effetti a lungo termine della terapia forestale, di tipo psicologico ovviamente, ma anche e soprattutto di tipo fisico, rispetto ad esempio a problemi di tipo respiratorio e malattie cardiovascolari. “Poi, secondo me, un altro campo di applicazione potenzialmente interessate sarebbe quello della disassuefazione da sostanze d'abuso”, sottolinea Antonelli, “su questo c'è già un piccolo studio che riguarda soggetti che cercano di disassuefarsi dall'alcolismo e che utilizzano la terapia forestale per migliorare il tono dell'umore e ridurre un la sintomatologia. Un aspetto ulteriore che si potrebbe indagare, ad esempio, è se questo tipo di beneficio può essere replicato aiutando i giovani, attraverso un'esposizione controllata all’ambiente forestale con esercizi di meditazione e di respirazione, per disassuefarsi dall'abuso di dispositivi tecnologici, che è uno dei mali del nostro secolo”.
Secondo Antonelli un altro campo di ricerca interessante, che travalica la terapia forestale in senso stretto, è quello di comprendere meglio come i singoli e significativi benefici dell’esposizione agli ambienti boschivi possano essere replicati, magari all'interno dei cosiddetti “giardini terapeutici”. Queste infrastrutture verdi potrebbero essere molto utili, ad esempio, come ausilio per la promozione della salute nella terza età, per soggetti che vivono nelle case di riposo e che quindi non possono fisicamente raggiungere le foreste.
“Un ultimo filone di ricerca importante”, chiosa Antonelli, “è quello che tenta di tirare le fila di tutte le conoscenze raccolte finora per creare protocolli replicabili su come si conduce un gruppo, oppure su come si sceglie un sito, per sistematizzare insomma lo stato dell’arte e creare anche percorsi formativi riconosciuti a livello nazionale”.
Insomma, questa disciplina che deriva dall'estremo Oriente a cui noi, come occidentali, ci siamo affacciati relativamente di recente, ha ancora tantissime potenzialità da esprimere, per favorire la salute pubblica e garantire altresì la valorizzazione degli ambienti forestali. La terapia forestale rappresenta già una realtà interessante, ma siamo solo all’inizio di quello che sembra prospettarsi come un lungo cammino.
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