Boschi idonei alla terapia forestale: come riconoscerli, descriverli e validarli

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di Luigi Torreggiani e Andrea Barzagli
Questo articolo-intervista è stato realizzato nell’ambito del progetto FOR.SA - Foreste e Salute, coordinato dalla Foresta Modello delle Montagne Fiorentine e finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale della Regione Toscana, bando GAL Start, misura 19.2.
Ogni intervista realizzata è disponibile sia in versione podcast che in forma scritta.
L'intera serie podcast, in sei puntate, è disponibile gratuitamente su tutte le piattaforme di ascolto.
Le iniziative legate al benessere in foresta si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta Italia, sia legate a specifici protocolli, come quello CAI-CNR-CERFIT che ha adottato il progetto FOR.SA, sia attraverso iniziative spontanee e meno standardizzabili. Nonostante questo grande interesse, nel nostro Paese non esiste ancora un riferimento normativo, nazionale o regionale, su queste pratiche, né tantomeno dei criteri univoci per individuare l’idoneità di specifiche foreste ad ospitarle, collegato ad un sistema ufficiale di validazione. Per approfondire questo argomento abbiamo intervistato Rosa Rivieccio, tecnologa del CREA - Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia, che insieme ad altri colleghi ha proposto un possibile metodo per valutare l’idoneità di boschi e percorsi ad ospitare pratiche di terapia forestale.
“Questa mancanza legislativa fa sì che oggi le attività e i siti in cui si svolgono le pratiche sono totalmente autoregolamentati e autogestiti”, spiega Rosa Rivieccio, “in alcuni casi, come quello delle Stazioni di Terapia forestale CAI-CNR, si è scelto di dotarsi di regole comuni; in altri, invece, gli approcci sono i più variegati e possono sconfinare verso qualcosa di ben diverso da attività terapeutiche in senso stretto, svolte in ambienti idonei a tale scopo”. È questo il motivo per cui il CREA, con il team dell’Osservatorio Foreste, ha deciso di affrontare il problema, ponendosi l’obiettivo di valutare la sicurezza, l’idoneità e l’efficacia terapeutica dei boschi in cui si svolgono, o si vorrebbero svolgere, le attività di terapia forestale.
“Un esempio che può far comprendere meglio ciò a cui auspichiamo è quello della terapia termale”, sottolinea Rivieccio. “Nel 1978 la normativa italiana ha pubblicato una legge con la definizione scientifica di quali devono essere le caratteristiche dell’acqua termale e, contemporaneamente, ha riconosciuto l’erogazione delle cure termali come servizio del sistema sanitario nazionale. Similmente a quanto fatto per le terme si potrebbe fare per la terapia forestale, promuovendola in luoghi sicuri per diverse tipologie di utenti e in boschi con caratteristiche ben precise, che la rendono davvero efficace”.
Similmente a quanto fatto per le terme si potrebbe fare per la terapia forestale, promuovendola in luoghi sicuri per diverse tipologie di utenti e in boschi con caratteristiche ben precise, che la rendono davvero efficace.
Dal punto di vista pratico l’idea del CREA è stata quella di realizzare delle schede, suddivise per macro tematiche, che i proponenti di un’area boschiva dovrebbero compilare per richiedere la validazione della stessa a diventare un vero e proprio “luogo di cura” in cui è possibile svolgere attività di terapia forestale. Le Schede (presentate nel volume “Terapia forestale 2” nel quarto capitolo) sono in tutto quattro e sono così denominate: “Anagrafe identificativa”, “Gestione”, “Accessibilità e fruizione” e “Vincolistica”. La prima scheda è una raccolta di tutti i dati relativi alla proprietà del bosco e alla sua collocazione geografica. Qui, ad esempio, viene suddiviso l’ambiente urbano (alcune pratiche di terapia forestale possono essere svolte anche in grandi parchi urbani) da quello extraurbano e viene fatta una distinzione tra “sito” e “percorso”. Un sito è un luogo ben preciso caratterizzato da percorsi solitamente ad anello. Un percorso è invece caratterizzato da un inizio e una fine distinti. Le altre schede raccolgono tutte le caratteristiche geomorfologiche, paesaggistiche, ecologiche e vegetazionali dell’area, andando ad identificare (aspetto essenziale per le pratiche di terapia forestale) quelli che sono i possibili disturbi dati dalla presenza, nelle immediate vicinanze, di strade, gruppi di case, cave, linee ferroviarie o altro.
“Attraverso la compilazione di queste schede”, spiega Rosa Rivieccio, “emergono tutte quelle caratteristiche, positive o negative, che possono influire sulle pratiche terapeutiche in bosco: gli elementi naturali e quelli antropici, cosa è visibile o udibile nelle vicinanze, l’accidentalità e la pendenza del sentiero, l’accessibilità del luogo e la presenza, nelle vicinanze, di punti di accoglienza e ristoro, la vincolistica e i rischi naturali”.
Ma come dovrebbe svolgersi l’iter di riconoscimento di un bosco idoneo alla terapia forestale? “Il proprietario forestale, pubblico o privato, dovrebbe innanzitutto compilare le schede, meglio se con l’aiuto di un consulente tecnico, Agronomo o Forestale”, premette Rosa Rivieccio, “Poi le schede dovrebbero essere inviate, assieme a una richiesta formale, ad un Ente designato, che potrebbe essere in questo caso l’amministrazione regionale. L’Ente, a questo punto, dovrebbe fare una prima valutazione basata unicamente sulle schede: se totalmente positiva si passa al sopralluogo in campo e, infine, all’idoneità; se invece risultasse in parte negativa andrebbero richiesti, ove possibili, degli adeguamenti. Con il CNR stiamo tuttavia pensando anche di completare il protocollo prevedendo, una volta raggiunta la piena idoneità, la misura dei COV, i Composti Organici Volatili, che sono un elemento molto importante per l’efficacia delle pratiche”.
Il CNR sta valutando di completare il protocollo di riconoscimento delle aree idonee prevedendo la misura dei COV, i Composti Organici Volatili, che sono un elemento molto importante per l’efficacia delle pratiche.
Abbiamo concluso l’intervista chiedendole di descriverci quali caratteristiche dovrebbe avere un “bosco tipo” idoneo alle pratiche di terapia forestale. “Innanzitutto è sempre preferibile un ambiente extraurbano, il più naturaliforme possibile”, ci ha tenuto a premettere Rosa Rivieccio, “un’altra caratteristica importante è che siti e percorsi siano ben fruibili da tutte le tipologie gli utenti, anche con difficoltà motorie. Molto apprezzata è anche la presenza di corpi d’acqua come torrenti, cascatelle e sorgenti, oltre a una struttura forestale che permetta un’ampia visibilità tra le piante. Non esiste però il bosco perfetto: aree forestali anche molto diverse tra loro, in base alla presenza dei composti volatili e alle loro peculiari caratteristiche stazionali, possono risultare comunque idonee alle pratiche di terapia forestale”.
Non esiste, insomma, un “bosco tipo”. Proprio per questo è così importante creare schemi, tabelle e protocolli, anche se può sembrare un appesantimento burocratico. Quando le pratiche di terapia forestale saranno prescritte dai medici, passaggio a cui tutti auspichiamo, sarà necessario poter garantire l’idoneità dei luoghi di terapia. Soltanto così boschi diversissimi tra loro, dalle Alpi alle Isole passando per l’Appennino, potranno trasformarsi in veri e propri “reparti ospedalieri a cielo aperto”.
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