Il Regolamento EUDR: da problema ad opportunità per le imprese italiane?

di Davide Pettenella
Dopo il rinvio deciso dal Parlamento Europeo dell’applicazione del Regolamento 2023/1115 dell'Unione Europea (UE) sui prodotti a zero deforestazione (European Union on Deforestation-free products Regulation - EUDR) in queste ultime settimane si assiste ad un vivace dibattito in sede europea, ma anche nazionale, in merito alla semplificazione e ulteriore rinvio dell’applicazione del Regolamento.
L’approvazione programmata a fine febbraio del Regolamento Omnibus che dovrebbe semplificare l’applicazione di alcune importanti norme in campo ambientale (la Tassonomia dell’UE, la Direttiva sul Corporate Sustainability Reporting e quella sulla Corporate Sustainability Due Diligence) viene colta per introdurre norme semplificanti l’attuazione dell’EUDR, come l’abbassamento dei requisiti di documentazione quando il legno viene da paesi senza problemi di deforestazione o la semplificazione dei requisiti di georeferenziazione.
Nel dibattito su questo tema emerge un atteggiamento che si ritrova abbastanza di frequente nell’Italia di oggi: la preoccupazione per il futuro, la percezione di essere attaccati e colpiti nei propri interessi dalle nuove iniziative normative in campo ambientale, la valutazione critica verso l’Unione Europea, come se questa fosse una istituzione esterna, nella quale l’Italia non gioca un ruolo significativo. Questa attitudine porta al “remare contro” i nuovi provvedimenti, al piangersi addosso, alla rinuncia al ragionare in positivo, alla mancata individuazione e valorizzazione delle opportunità che l’applicazione delle nuove norme crea alle imprese del “sistema Italia”.
Diversi operatori evidenziano ad esempio la scarsa conoscenza delle sette filiere interessate dal Regolamento [1], del numero delle imprese di ogni settore, delle condizioni di rischio per ogni paese. Queste sono carenze informative che potevano essere reali problemi 20 anni or sono. Diverse banche dati sulle imprese (come la BD ORBIS, che è il corrispettivo a livello mondale della BD AIDA per l’Italia) presentano dati su 550 milioni di imprese per fatturato, profitti, dipendenti, area merceologica di azione, localizzazione degli impianti. Per ogni settore merceologico sono disponibili analisi congiunturali che descrivono l’organizzazione e l’andamento dei mercati. È vero che l’accesso a queste informazioni è oneroso, ma questo non è un problema per istituzioni e organizzazioni di categoria. Il livello di rischiosità, corruzione, illegalità di ogni paese è da alcuni decenni monitorato dalla Banca Mondiale e da diverse altre istituzioni finanziarie, pubbliche e private. Gli operatori italiani hanno facilmente la possibilità di accedere a queste informazioni, in proprio o tramite le organizzazioni di servizio al commercio estero. La posizione di primato dell’economia italiana nell’attività commerciale è cresciuta anche grazie al ricorso a questi strumenti.
Vengono sottolineate dagli operatori italiani le difficoltà ad avere sistemi di tracciabilità. Tendiamo a dimenticare che l’Italia è seconda solo alla Cina per certificazioni della catena di custodia nelle diverse filiere del legno. Forse dimentichiamo che la tracciabilità è già un requisito per la certificazione di centinaia di prodotti con marchio d’origine, un segmento di mercato in cui l’Italia si vanta di avere un primato a livello mondiale. Lo stesso vale per i prodotti biologici, di cui l’Italia è il primo esportatore europeo. I prodotti biologici, segmento di eccellenza della produzione agroalimentare italiana, sono oggetto di certificazione non solo secondo le ordinarie procedure di controllo da parte degli enti di certificazione, ma anche grazie al controllo dello Stato coordinato con quello della Commissione Europea. Lo Stato ha affidato ad un organismo specifico del Ministero della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF) il controllo delle certificazioni dei prodotti agricoli, l’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e della Repressione Frodi dei Prodotti Agroalimentari, l’unico Dipartimento del Ministero che ha una struttura decentrata basata su 17 uffici regionali che si avvalgono della cooperazione di uno specifico Comando dell’Arma dei Carabinieri la quale, grazie ad una rete capillare di presenza su tutto il territorio italiano, esercita funzioni di controllo ampie e diversificate. In questo contesto, ricordando anche il ruolo delle altre forze di polizia e la presenza di una Banca Dati informatizzata (e ovviamente georeferenziata) della proprietà agricola (SIAN-AGEA), possiamo forse affermare che non siamo preparati ad implementare un sistema di tracciabilità dei prodotti agricoli in Italia? È probabile che ci sia un problema di informazione e coordinamento degli operatori pubblici, soprattutto per quelli “nuovi al mestiere” come le Dogane, ma non che ci manchino i mezzi, l’esperienza e il personale.
Spesso nella discussione sull’EUDR si richiama il problema della delocalizzazione a seguito di presunte difficoltà che avrebbero le imprese italiane nell’applicare il Regolamento. Ma non potrebbe essere vero il contrario (prodotti che importiamo per i quali diventa più conveniente la produzione e trasformazione in Italia)? Siamo coscienti che ci sono state proteste di operatori olandesi, in particolare della loro organizzazione di rappresentanza NATA, che si sono lamentati del fatto che l’applicazione dell’EUTR ha fatto divergere l’import di legname tropicale da Rotterdam ai porti italiani? E’ difficile pensare che ci possano essere problemi di delocalizzazione per le imprese italiane che già nel 2021, come segnala l’Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile, per il 95% utilizzavano olio di palma certificato e tracciato per l’origine da gestione responsabile con lo standard del Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), un organismo che ha adattato lo standard per includere anche i requisiti dell’EUDR. Lo stesso hanno fatto o stanno facendo altri schemi di certificazione di origine responsabile e della tracciabilità, come il Forest Stewardship Council (FSC) e il Programme for the Endorsement of Forest Certification (PEFC) per il legname e la gomma, il Round Table on Responsible Soy (RTRS) per la soia, il Global Coffee Platform (GCP) e il 4C per il caffè. Si noti che questi sono schemi di certificazione non solo relativi al rispetto della normativa legata alla deforestazione e alla tracciabilità, ma contemplano anche il rispetto di requisiti volontari di gestione ambientale, sociale ed economica responsabile.
Per tutti i prodotti oggetto dell’EUDR sono stati peraltro già da tempo sviluppati standard e sistemi di certificazione della sola legalità dell’origine e della relativa catena di controllo; ad esempio, per il legno, gli standard OLB (Origine et Legalité des Bois), TLV (Timber Legality Verified) o Legal Source. I rappresentanti del settore conciario italiano, che sono tra i più attivi nel contestare l’EUDR, forse dimenticano che il problema di operare in un settore critico (l’Italia è primo importatore – dopo la Cina – di pelli dal Brasile, dove l’allevamento bovino è ritenuto da tutti gli osservatori internazionali, in primis dalla FAO, la prima causa di deforestazione) è ampiamente conosciuto dai propri associati, tanto che, come risulta dal DB delle aziende italiane delle pelli con certificazione d’origine, sono un centinaio le aziende italiane già certificate in base a norme sulla tracciabilità. Grazie a questi certificati sono già perfettamente in grado di comunicare a Mercedes o a Gucci da dove vengono le pelli brasiliane che hanno lavorato.
E’ molto limitata la discussione sull’effetto di spiazzamento di alcuni paesi produttori rispetto ad altri e quindi sui nuovi pattern del commercio internazionale, che probabilmente avvantaggeranno i produttori dell’UE rispetto a quelli del global South, creando vantaggi competitivi per le imprese che si integreranno verticalmente, un problema che certamente l’EUDR pone ai piccoli produttori (ma quelli del commercio equo e solidale, ad esempio, si stanno attrezzando con atteggiamento positivo e costruttivo per l’applicazione dell’EUDR).
Infine non sembra ci sia ampia conoscenza degli strumenti messi a disposizione dalla Commissione Europea per facilitare il rispetto dei requisiti dell'EUDR: il "Forest Observatory” e soprattutto l'"Information System on EUDR", che ha attivato linee-guida, video e corsi di formazione sull’applicazione del Regolamento, testimonianza che la Commissione è impegnata direttamente, ma anche indirettamente finanziando attività di formazione e divulgazione, nel venire incontro alle esigenze degli operatori con un’azione molto più efficace di quanto abbia fatto nell’avvio dell'EUTR.
In sintesi, l’applicazione dell’EUDR certamente non è priva di problemi, soprattutto per i piccoli operatori, ma l’Italia è in posizione favorevole per affrontarli e risolverli. Abbiamo istituzioni pubbliche e imprese, anche di piccole dimensioni, con competenze, esperienza e capacità operativa nel settore. Soprattutto abbiamo una volontà politica (che può essere facilmente trasferita alle autorità di controllo) che è ben cosciente della necessità di non infierire nelle funzioni sanzionatorie, mentre è in grado di supportare un atteggiamento di collaborazione con le imprese nella fase di avvio dell’attuazione del Regolamento, dando concretezza all’idea di un “sistema paese” che coopera per promuovere una economia su basi responsabili. Vittimismo, commiserazione e atteggiamenti oppositori non aiutano il Made in Italy. L’immagine della qualità italiana può molto avvantaggiarsi dall’arricchire gli attributi tradizionali dei propri prodotti (qualità tecnologica, valore nutrizionale, salubrità, origine tradizionale, …) con altri attributi che possono rappresentare vantaggi competitivi, tra cui la provenienza da territori non soggetti a deforestazione è sicuramente uno di quelli più apprezzati dai consumatori in tutte le economie avanzate. È un bene per il paese, e non solo per le sue imprese, trasformare l’EUDR da problema a opportunità.
Splendido intervento prof. Pettenella! Controcorrente e demistificatorio.
Se l'informazione è conpleta e corretta nessuno può distorcerla. Cavalchiamo l'EUDR per il made in Italy e le imprese italiane. Grazie!