Piantare alberi contro il cambiamento climatico. È davvero la soluzione?
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di Filippo Bussotti e Martina Pollastrini
Piantare alberi è considerata una strategia fondamentale per la mitigazione dei cambiamenti climatici; tuttavia, una scelta non corretta delle specie e dei siti di impianto può portare ad un effetto opposto rispetto alle aspettative. Obbiettivi prioritari sono migliorare, attraverso una gestione attiva, i boschi naturali e proteggere le foreste vetuste ad alto grado di naturalità.
La proposta di piantare miliardi di alberi nei prossimi anni come misura di mitigazione del cambiamento climatico occupa una parte importante del dibattito pubblico, e costituisce una strategia europea (EU Biodiversity Strategy for 2030). Piantare alberi deve essere sempre considerata un’azione positiva, tuttavia, passando dagli slogan all’analisi dei problemi concreti, la letteratura forestale internazionale evidenzia una serie di caveat (limitazioni) e di trade-off che devono essere tenuti in considerazione. Nel presente intervento vengono discusse alcune delle più rilevanti questioni che si devono affrontare per rendere massimi i benefici ambientali delle nuove forestazioni.
Gli alberi svolgono sempre un’azione positiva sul clima?
L’importanza degli alberi consiste soprattutto nella trasformazione del carbonio atmosferico in carbonio organico tramite la fotosintesi e il suo accumulo nei tessuti vegetali e nel suolo. Esistono però anche altri meccanismi, tra i quali la traspirazione dell’acqua che è un processo che assorbe calore e quindi riduce la temperatura dell’aria. Fotosintesi e traspirazione, tuttavia, sono limitati in siti con scarsa disponibilità delle risorse ambientali (acqua e nutrienti) che ne riducono l’efficienza. Altri meccanismi hanno l’effetto opposto. Gli alberi con fogliame scuro (conifere e sempreverdi mediterranee) hanno un minore potere di riflessione della luce (albedo) e assorbono più energia (e calore) rispetto al terreno nudo con un effetto di riscaldamento. È stato stimato che, globalmente, l’albedo riduce del 20% l’efficacia degli alberi sul clima (Hasler et al. 2024). Infine, molte specie producono Volatile Organic Compounds (VOCs) che, nella chimica atmosferica, contribuiscono alla formazione di gas serra.
Piantare alberi è una strategia efficace contro il riscaldamento globale?
Attraverso la creazione di nuovi boschi e la difesa di quelli esistenti si può rimuovere e immagazzinare solo una parte della CO2 in eccesso (Holl e Brancalion 2020). Piantare alberi su potenziali 900 milioni di ettari (Bastin et al. 2019) può portare a immagazzinare 205 Gt di carbonio in un periodo di 100 anni. Questo valore rappresenta circa un terzo delle emissioni di carbonio avvenute fino all’attualità. Secondo Veldman (2019) le stime riportate sono troppo ottimistiche e propone una valutazione più conservativa, prevedendo una rimozione da 40 a 100 Gt di carbonio fino a maturità degli alberi su 900 milioni di ettari. Questa quantità, pure rilevante, rappresenterebbe solo il valore di 10 anni di emissioni alla velocità attuale. Le stime presentate, tuttavia, non sempre tengono conto dei limiti fisici ed ecologici che impediscono o sconsigliano l’impianto di nuove foreste, e rallentano la crescita degli alberi per cui il potenziale stoccaggio del carbonio è spesso sovrastimato (Green et al. 2022).
Ci sono specie più efficienti di altre nel sequestro del carbonio?
Le specie a rapida crescita, come i pioppi, assicurano una maggiore velocità nel sequestro del carbonio almeno nelle prime fasi di crescita. Tuttavia, questo non è il solo fattore da tenere in considerazione perché la persistenza per lunghi periodi del carbonio organicato è altrettanto importante. Il carbonio può essere trattenuto sotto forma di prodotti forestali (delle piantagioni e dai boschi produttivi) o nelle diverse componenti dell’ecosistema (nei boschi naturali e foreste vetuste). Per assicurare la persistenza per lunghi periodi dello stock del carbonio è necessaria la piena compatibilità del bosco con le caratteristiche ecologiche del sito in cui si trova, non solo al presente ma anche nei decenni a venire, quando si troverà a fronteggiare i cambiamenti previsti dalle proiezioni climatiche (Wessely et al. 2024).
Tutte le aree sono adatte al rimboschimento?
Recenti stime individuano a livello globale da 9 a 23 M Km2 di aree potenzialmente forestabili (Bastin et al. 2019). La maggior parte di queste aree si trovano nella fascia intertropicale ed erano precedentemente occupate da foreste. Da 141 a 322 M ha è localizzato in prossimità di insediamenti urbani (Francini et al. 2014). Nelle regioni temperate, fra cui l’Italia, il bosco è in espansione spontanea. Esistono vaste porzioni di territorio occupate da ecosistemi non forestali come arbusteti, praterie, tundre, brughiere, garighe ecc., che hanno valori intrinsechi legati alla biodiversità che ospitano e al carbonio immobilizzato nel suolo. L’impianto di alberi in queste situazioni, oltre a compromettere la biodiversità e i servizi ecosistemici che già forniscono, determina la liberazione del carbonio attraverso i lavori di dissodamento del suolo. Inoltre, gli alberi, essendo molto più esigenti delle piante erbacee ed arbustive, possono alterare i cicli dell'acqua e dei nutrienti. È raccomandabile, pertanto, evitare di piantare alberi nelle condizioni sfavorevoli e puntare piuttosto ad aumentare lo stock del carbonio nelle foreste esistenti (Mo et al. 2024), nonché recuperare le foreste degradate o distrutte dai disturbi indotti dallo stesso cambiamento climatico sono azioni più efficaci e urgenti che realizzare nuove piantagioni.
Qual è il contributo dei boschi naturali e delle foreste vetuste?
Le foreste di origine naturale, che persistono nel tempo, possono conservare il carbonio per lunghi periodi, e svolgono numerosi altri servizi ecosistemici legati alla biodiversità. Grazie ai tessuti meristematici gli alberi hanno una crescita continua ed indefinita, e ogni anno ricostituiscono strutture giovanili rinnovando gli organi vegetativi (Pasques e Munné-Bosch 2023). Anche ad un’età estremamente avanzata essi mantengono la capacità di crescere ed accumulare carbonio (Gilhen-Baker et al. 2022). In questo contesto, le foreste vetuste, che ospitano una grande biodiversità e conservano importanti stock di carbonio nelle componenti biotiche e abiotiche, possono svolgere un ruolo molto importante per la mitigazione dei cambiamenti climatici (Curtis e Gough 2018).
Quale gestione forestale?
Conciliare un’attiva gestione forestale con l’esigenza di mantenere e migliorare gli attuali stock di carbonio è un problema di complessa soluzione. Le variabili da prendere in considerazione per un bilancio dell’efficienza complessiva degli interventi sono molteplici: gli incrementi stimolati dai diradamenti (Zhang et al. 2024), i prelievi nel corso dei tagli intercalari, il carbonio immagazzinato nei prodotti legnosi, la respirazione del suolo indotta dalla riduzione della copertura delle chiome, il combustibile fossile utilizzato per gli interventi, e così via. Gli effetti della gestione sono pertanto sito-specifici e difficilmente quantificabili.
Considerazioni conclusive
Piantare milioni e miliardi di alberi, piantarli dovunque, sono slogan facili e suggestivi ma se applicati alla lettera possono provocare più danni (aumentare il riscaldamento, ridurre la biodiversità e i servizi ecosistemici) rispetto a loro ipotetici benefici, e soprattutto gli impianti non possono sostituire le politiche di riduzione delle emissioni e di decarbonizzazione.
Gli interventi devono essere accuratamente programmati ed eseguiti tenendo conto di quelle che Di Sacco et al. (2021) definiscono “le 10 regole d’oro” (Golden rules):
- proteggere e migliorare le foreste esistenti;
- coinvolgere le comunità locali nella gestione e conservazione del bosco;
- massimizzare la biodiversità nei boschi naturali per conseguire obbiettivi multipli e differenziati;
- selezionare le aree appropriate per ciascun intervento;
- usare la rinnovazione naturale ovunque possibile;
- selezionare per i rimboschimenti specie adatte a supportare alta diversità;
- usare materiale vegetale resiliente, con appropriata diversità genetica e provenienze locali;
- pianificare adeguate infrastrutture per l’approvvigionamento del seme e la coltivazione delle piantine;
- imparare facendo (tenere conto delle esperienze maturate);
- assicurare la sostenibilità economica del progetto.
Possiamo quindi concludere, con Brancalion e Holl (2020), che piantare alberi, insieme ad altre strategie per aumentare la copertura forestale in luoghi e contesti appropriati, può dare un contributo prezioso per garantire il benessere ecologico e sociale del nostro Pianeta nei prossimi decenni, ma solo se questi sforzi sono considerati come una componente di un’azione multiforme di soluzioni a problemi ambientali complessi e se sono attentamente pianificati, implementati e monitorati su una scala temporale sufficientemente lunga con il coinvolgimento delle parti interessate e una più ampia considerazione delle complessità socio-ecologiche.
Bastin J.-F., Finegold Y., Garcia C., Mollicone D., Rezende M., et al., 2019 - The global tree restoration potential. Science 365: 76-79. DOI: 10.1126/science.aax0848
Brancalion P.H.S., Hol K.D., 2020 - Guidance for successful tree planting initiatives. Journal Applied Ecology 57: 2349–2361. DOI: 10.1111/1365-2664.13725
Curtis P.S., Gough C.M., 2018 - Forest aging, disturbance and the carbon cycle. New Phytologist 219: 1188-1193. DOI: 10.1111/nph.15227
Di Sacco A., Hardwick K.A., Blakesley D., Brancalion P.H.S., Breman E., et al., 2021 - Ten golden rules for reforestation to optimize carbon sequestration, biodiversity recovery and livelihood benefits. Global Change Biology 27: 1328–1348. DOI: 10.1111/gcb.15498
Francini S., Chirici G., Chiesi L., Costa P., Caldarelli G., et al., 2024 - Global spatial assessment of potential for new peri-urban forests to combat climate change. Nature Cities 1: 286–294. DOI: 10.1038/s44284-024-00049-1
Gilhen-Baker M., Roviello V., Beresford-Kroeger D., Roviello G.N., 2022 - Old growth forests and large old trees as critical organisms connecting ecosystems and human health. A review. Environmental Chemistry Letter 20: 1529–1538. DOI: 10.1007/s10311-021-01372-y
Green J.K., Keenan T.F., 2022 - The limits of forest carbon sequestration. Science 376: 692-693. DOI:10.1126/science.abo6547
Hasler N., Williams C.A., Denney V.C., Ellis P.W, Shrestha S., et al., 2024 - Accounting for albedo change to identify climate-positive tree cover restoration. Nature Communication 15: 2275. DOI: 10.1038/s41467-024-46577-1
Holl K.D., Brancalion P.H.S., 2020 - Tree planting is not a simple solution. Science 368: 580-581. DOI: 10.1126/science.aba8232
Mo L., Zohner C.M., Reich P.B., Liang J., de Miguel S., et al., 2023 - Integrated global assessment of the natural forest carbon potential. Nature 624: 92–101. DOI: 10.1038/s41586-023-06723-z
Pasques O., Munné-Bosch S., 2023 - Physiological mechanisms underlying extreme longevity in mountain pine trees. Plant Physiology 191: 974–985. DOI: 10.1093/plphys/kiac540
Veldman J.D., Aleman J.C., Alvarado S.T., Anderson T.M., Archibald S, et al., 2019 - Comment on “The global tree restoration potential”. Science 366: eaay7976. DOI: 10.1126/science.aay7976
Wessely J., Essl F., Fiedler K., Gattringer A., Hülber B., et al., 2024 -. A climate-induced tree species bottleneck for forest management in Europe. Nature Ecology and Evolution. DOI: 10.1038/s41559-024-02406-8
Zhang H., Liu S., Yu J., Li J., Shangguan Z., et al., 2024 - Thinning increases forest ecosystem carbon stocks, Forest Ecology and Management 555: 121702. DOI: 10.1016/j.foreco.2024.121702.
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