Boschi toscani: una scomoda verità. Ambientalismo o populismo?

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di Giammarco Dadà
Sabato 30 novembre è stato proiettato, nella suggestiva cornice della Sala Sibilla Aleramo della Biblioteca delle Oblate di Firenze, il documentario denominato “Boschi toscani: una scomoda verità” realizzato dal Gruppo Foreste del WWF Toscana. L’evento ha suscitato un grande interesse, dimostrato dalla presenza di oltre 100 persone in sala, ed è stata un’occasione di confronto sul tema della gestione forestale, argomento spesso trascurato e su cui oggi è opportuno creare maggiore consapevolezza soprattutto nel pubblico non di settore. Da pochi giorni, inoltre, il documentario è visibile anche online sul profilo Youtube del progetto ForestforLife Toscana (link al termine dell'articolo).
Il documentario
Il documentario ha focalizzato l’attenzione su una forma di governo del bosco, il ceduo, che starebbe provocando la “distruzione” del patrimonio forestale regionale. A sostegno di questa tesi, il documentario propone immagini, interviste, inchieste ed esperienze da parte di numerose figure, professionali e non, coinvolte nel settore forestale, come Dottori Agronomi Forestali, proprietari boschivi, guide escursionistiche ed esponenti di associazioni ambientaliste. Il ceduo, stando a quando riportato, sarebbe in sostanziale contrasto con gli obiettivi di tutela ambientale e conservazione auspicati dalle politiche internazionali, nazionali e dalla collettività stessa. Il filmato mette in luce una serie di casi in cui il taglio ceduo ha compromesso i Servizi Ecosistemici (SE), come la regolazione del ciclo dell’acqua in una località non specificata dei Monti Pisani, la fruibilità di sentieri nella maremma grossetana e, più generalmente, la biodiversità. Il filmato, in particolare, si focalizza sui danni provocati dalle macchine (trattori, escavatori, mezzi specializzati per le utilizzazioni forestali) ma senza corredare documenti di valutazioni tecniche o sentenze ufficiali, dimostrando così il danno sulla base delle percezioni personali degli intervistati. Sono, comunque, evidenziati, riportando articoli di giornale, dati riguardo il numero di sanzioni amministrative e illeciti penali totalizzati in un recente anno. Dati che, secondo gli autori, ben raffigurerebbero lo stato di scarsa professionalità di molte imprese boschive. Il Gruppo Foreste del WWF propone così, nella “pars costruens” del docufilm, una modalità di taglio a loro avviso migliore. Lo fa attraverso l’intervista ad una realtà aziendale, in provincia di Grosseto, che utilizza boschi di cerro governati ad alto fusto per produrre legna da ardere e condurre il pascolo brado di animali. A tal riguardo, però, non vengono mostrate immagini di come si svolgono gli interventi boschivi sulle fustaie di cerro, nessuna immagine degli operatori dotati di motosega, né di ceppaie tagliate, né delle macchine impiegate, necessariamente, per la movimentazione del legname. Le raffigurazioni visive di operatori forestali e tagli boschivi presenti nel documentario, che ben rimangono impresse nella mente di chi guarda, finiscono per associarsi unicamente alla presunta distruzione causata dal ceduo e non vengono mai affiancate all’auspicata gestione della fustaia, la quale si consuma in sole immagini panoramiche di cerrete d’alto fusto.
I boschi naturali toscani
Parallelamente, nel documentario viene fatta un’ampia descrizione dei benefici riscontrabili dai boschi più naturali, quelle aree forestali in cui, proprio grazie all’assenza di utilizzazioni, migliorano, secondo gli Autori, i livelli di biodiversità, gli effetti di mitigazione del clima, la capacità di resilienza degli ecosistemi forestali, specialmente a fronte di un cambiamento climatico che comporta un alto rischio di compromissione delle dinamiche ecosistemiche.
Con grande sorpresa, appunto, non viene citato nessun caso di Area Protetta, che invece in Toscana sono presenti eccome e stanno aumentando. È il caso dei Parchi Nazionali e Regionali, delle Riserve Statali e Regionali (gestite da figure specializzate, tra cui i Reparti di Biodiversità dei Carabinieri) che fino a 50 anni fa non esistevano e oggi assicurano, in aree individuate ufficialmente, la libera evoluzione delle dinamiche naturali. Non è stata citata la costituenda Rete dei Boschi Vetusti, che prevede nel corso dei prossimi anni un’aggiunta di superficie forestale a protezione rigorosa, dove le utilizzazioni forestali saranno categoricamente escluse. Non sono stati citati i documenti di indirizzo internazionale e nazionale (Strategia Forestale Europea, Strategia Europea per la Biodiversità, Strategia Forestale nazionale), né l’entrata in Costituzione della voce “Biodiversità e della Tutela ambientale”, che rappresentano la nascita, solo negli ultimi anni, di una base politica indispensabile per una pianificazione territoriale in linea con gli obiettivi di conservazione. Omettendo tutti questi passi avanti per integrare finalità conservative e produttive, il documentario delinea un’immagine complessiva della gestione forestale che non corrisponde pienamente alla realtà. Se da una parte evidenzia giustamente le evidenti criticità di alcuni aspetti dell’attuale gestione forestale in specifici contesti, dall’altra non racconta tutto il percorso propositivo degli ultimi decenni messo in piedi, non senza aspri dibattiti e difficoltà, anche dal lavoro di esponenti di tutto il settore forestale, toscano e italiano (Regione, Ministeri, Enti di Ricerca, Associazioni di categoria, Professionisti). “Ceduo sì” o “ceduo no” è un dibattito legittimo ma che necessita di essere affrontato con i presupposti adeguati.
Una sola faccia della medaglia
A rafforzare questa immagine parziale vi è l’assenza di ogni riferimento all’importanza del legno come materia prima naturale, rinnovabile e potenzialmente locale (anche ad uso energetico), né a tutti quei casi in cui l’attuale gestione forestale, che comprende anche le molte forme del ceduo mai citate (ceduo a sterzo, composto, intensamente matricinato), è richiesta proprio per poter conservare specifici habitat per specie animali o vegetali, culture tradizionali locali e rispondere a esigenze sociali o emergenze ambientali. Situazioni ben presenti in Toscana, come dimostrano anche numerosi piani e interventi di gestione di Parchi e Riserve Naturali o Siti della Rete Natura 2000.
Di una certa gravità, inoltre, è l’omissione di un altro aspetto fondamentale al fine di generare un dibattito propositivo: l’Italia è uno tra i più grandi importatori di legname (sia ad uso energetico che strutturale). Ruolo che rischia di alimentare attività di gestione forestale non certo ottimale, se non addirittura distruttiva, in aree d’Europa e del Mondo cui il taglio del bosco avviene con molti meno vincoli, regole e restrizioni rispetto al nostro contesto. Ridurre i prelievi in Italia (Paese che ha comunque i tassi di utilizzazione tra i più bassi d’Europa) per favorire l’evoluzione naturale e la conversione di ampie superfici a ceduo in alto fusto, quali impatti sociali e ambientali causerebbe nel resto del Pianeta? Questa era una domanda quantomeno da porre in un documentario targato WWF, associazione da sempre caratterizzata da uno sguardo globale.
Senza queste considerazioni il documentario rischia di aizzare uno schieramento, quello dei “sensibili e lungimiranti che si battono per la tutela dei boschi”, contro quello dei presunti “avidi”, che vedono negli alberi e nei boschi unicamente l’occasione per rimpinguare le proprie tasche. Una polarizzazione che finisce inevitabilmente per alimentare un odio, di cui non abbiamo bisogno in un tempo, quello della transizione ecologica, che impone sinergie tra produzione e conservazione.
Conclusioni
Tengo a sottolineare con nettezza che molte delle richieste presentate dal documentario nelle sue conclusioni, sono condivisibili e coincidono con ciò che buona parte del settore forestale si sta già proponendo (maggiore professionalità delle ditte, Direzione dei lavori in selvicoltura obbligatoria, rivalutazione degli incentivi finanziari per le biomasse, ecc.). Ciò che qui si vuole evidenziare è la modalità di comunicazione utilizzata per sollevare queste legittime problematiche, soprattutto quando ci si rivolge ad un pubblico non di settore. Il documentario, come presentato, finisce per suscitare un forte sdegno emotivo verso il governo a ceduo semplificando concetti molto delicati e indispensabili per una corretta divulgazione. Si arriva così ad alimentare un rigetto a prescindere rispetto a questa forma di governo, rischiando anche di generalizzare su ogni taglio boschivo, senza educare il pubblico alla complessità, alla comprensione dell’intervento selvicolturale che potrebbe trovarsi di fronte e a riferimenti tecnico-scientifici che potrebbero rilevare l’eventuale infrazione di regole o tranquillizzare il cittadino preoccupato.
Se viene riconosciuto il valore della gestione forestale, come mai il documentario bistratta la sola forma del governo ceduo e non la gestione eseguita male? I casi di taglio del bosco svolto in modo irregolare, in Toscana, ci sono, forse in numero maggiore di quelli che passano ai fatti di cronaca, rappresentando una “scomoda verità” per molti. Non è, però, la forma di governo del bosco a fustaia a risolvere i possibili danni causati dal taglio ma la professionalità di chi si occupa dell’intervento. Ecco che sarebbe stato auspicabile dare spazio nel documentario proprio alla figura centrale dell’argomento, l’operatore forestale, riportando anche i casi di buona gestione in collaborazione con quelle imprese che lavorano correttamente sul territorio e condannano, a loro volta, le attività irregolari. Certamente ne sarebbe uscito un documentario meno sconcertante ma sicuramente più convincente e critico verso un’attualissima problematica. Ma quali sono le finalità dell’ambientalismo, fare audience o intraprendere percorsi per tutelare l’ambiente?
I responsabili del WWF, a seguito del mio personale intervento durante la serata, si sono resi disponibili, con molta apertura, ad un confronto sinergico; fatto che ha lasciato un indubbio senso di fiducia in chi scrive. Vedremo se, oltre alle parole, i buoni propositi si tramuteranno in collaborazioni propedeutiche ad una gestione forestale che sappia combinare produzione e conservazione nell’interesse dell’intera collettività e della natura.
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Complimenti per l'articolo. Uno sguardo schietto e sincero rispetto ad una modalità di comunicazione che non porta a nulla, se non ad alimentare schieramenti.
Da un po' le sezioni locali di organizzazioni che stimavo (leggasi WWF, ma anche altre) lasciano un po' di amarezza nelle loro scelte... hanno perso forse lo sguardo tecnico e oggettivo, o forse emplicemente si sono affidate a persone non competenti e faziose?
Grazie per il commento Fabio. Penso che le perone associate al WWF siano sensibili ai temi ambientali, ma nella grande maggioranza dei casi non siano addette ai lavori. Perciò sanno poco di foreste e meno ancora di gestione dei boschi. Quello che pare, osservando il video commentato da Giammarco Dadà, è che i membri del WWF toscano si siano affidati correttamente a persone che avevano un ruolo istituzionale o competenze attestate da una Laurea in Scienze Forestali. Come avviene nelle “echo-chamber” dei social network, hanno però scelto di consultarsi solo con chi gli dava ragione, confermando e rafforzando il loro timore di cattiva gestione dei boschi. Purtroppo questo modo di procedere ha un solo nome: disinformazione.
Come ha sottolineato Giammarco dadà, le proposte invece sono quasi tutte condivisibili da un gran numero di tecnici forestali ed è un peccato che invece di collaborare per andare nella stessa direzione si rischi invece di andare allo scontro.