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S.O.S. Tarout - per la tutela degli ultimi Cipressi millenari del Sahara

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S.O.S. Tarout - per la tutela degli ultimi Cipressi millenari del Sahara
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di Della Rocca G., Abdoun F., Emiliani G., Danti R., Arcidiaco L., Chiapparini M., Garcia Z., Pandini M., Gardin L., Gardumi G., Prada O., Moya J., Moya B., Cherubini P.

Fino ai primi dell’800 in Europa si dubitava dell'esistenza di una foresta mitica e inafferrabile che cresceva nel cuore del deserto del Sahara, e le persone che ne avevano ispirato l'idea venivano aspramente criticate. Mentre in Occidente era considerata immaginaria, fantasiosa o impossibile, per gli abitanti dell'altopiano del Tassili n'Ajjer (sud dell’Algeria) e dei loro predecessori era una realtà antica e palpabile, tanto che ancora oggi alcune residue strutture delle case e delle porte, e alcuni oggetti di uso quotidiano utilizzati dai Tuareg provengono dal legno di un albero che chiamavano “Tarout”, Cupressus dupreziana A. Camus.

Dalla metà del XIX secolo all'inizio del XX secolo, spedizioni di geografi, naturalisti, botanici ed esploratori notarono la presenza di questi patriarchi enormi ed estremamente vetusti “un albero sempreverde, che formava vere e proprie foreste e raggiungeva proporzioni gigantesche”. La botanica francese Aimeé Camus, che diede alla specie il suo nome scientifico nel 1925 in onore al Capitanio Duprez comandante della Compagnie Saharienne de l'Annexe des Ajjers da Fort-Charlet a Djanet, riporta che: “secondo gli indigeni, la foresta di Tarout occupava un tempo tutte le pendici meridionali del Tassili. Se l'uomo può essere stato una causa della scomparsa di questa foresta, un'altra è certamente, secondo M. Lavauden, il cambiamento, da tempi relativamente recenti, del clima sahariano e il suo progressivo inaridimento”.

Nel caso del cipresso del deserto, questa situazione critica di rischio estremo riguarda sia la specie, che la popolazione e gli habitat, oltre che gli individui stessi.

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Il Capitano Duprez ai piedi di un enorme Tarout nel 1924.

 

Ma chi è Cupressus dupreziana? Chi sono questi Cipressi Millenari del Sahara e dove vivono?

Il Cipresso del deserto è uno stretto parente del cipresso comune (C. sempervirens) col quale costituiva un ancestore afro-mediterraneo comune e dal quale si è evolutivamente separato nel Pliocene (circa un milione di anni fa), mentre la differenziazione dal ‘cugino’ del Marocco C. atlantica, è più recente e risale a circa 492.000 anni fa (Pleistocene) (Bagnoli et al., 2020).

 

La specie è autoctona del Tassili n'Ajjer, una vasta catena montuosa (estesa circa 72.000 km2), formata principalmente da altopiani di arenaria, che raggiungono un'altezza di oltre 2.000 m s.l.m., situata nel sud-est dell'Algeria, al confine con la Libia ed il Niger, nel bel mezzo del Sahara centrale. Tra le specie più interessanti della flora vi sono piante relitte di origine mediterranea, che sono sopravvissute ai cambiamenti climatici e all'espansione del deserto come Olea europaea subsp. laperrinei (una varietà selvatica di olivo), Myrtus nivellei (il mirto sahariano) e appunto Cupressus dupreziana.

L'ultima valutazione dello stato di conservazione di questa specie effettuata dalla IUCN, nel 2012, indicava ancora l'esistenza di 233 alberi viventi, dispersi in 700 Km2, con un calo della popolazione dell'8% stimato nel 2002 relativo ai soli 30 anni precedenti (Abdoun & Beddiaf, 2002).

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Areale di distribuzione del Tarout (Cupressus dupreziana) (da Abdoun & Beddiaf, 2002 e Médail, 2019).

 

La specie C. duprezianaC. dupreziana sensu lato è attualmente classificata ‘Endangered’ nella Lista Rossa IUCN, con un trend di popolazione in continuo declino per quanto riguarda la superficie, l'estensione e la qualità dell'habitat essendo gravemente frammentata.

 

Il “Progetto Tarout”

Da qualche anno un gruppo di ricercatori e professionisti italiani e spagnoli, si è interessato a questo tema ed è nato il “Progetto Tarout” coordinato dall’Istituto per la Protezione delle Piante (IPSP) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) in collaborazione con la professoressa Fatiha Abdoun della Université des Sciences et de la Technologie Houari Boumediene (USTHB) vicino Algeri.

Dopo 13 anni dall'ultima valutazione della specie, nel febbraio 2023, il rilevamento di 5 individui morti negli ultimi due anni (il 20% degli alberi appartenenti al piccolo nucleo di Tamghit) così come le informazioni ottenute dopo gli studi sullo stato di salute effettuati nel novembre 2024, evidenziano il continuo deterioramento e peggioramento della situazione a livello individuale, di popolazione e di habitat, una situazione che continuerà a evolvere verso un’ulteriore perdita di esemplari già in situazione critica. Questi decessi sono estremamente recenti (presumibilmente tra il 2022 ed il 2023) e le motivazioni sono da ricercarsi tra l’azione di congiunta dell’inasprimento dell’aridità (giacché i locali riportano la pressoché assenza di precipitazioni tra il giugno 2019 e l’ottobre 2023), in concomitanza con la persistenza e l'aumento di minacce quali il disturbo antropico e il turismo, il brucamento da selvatici, aspetti genetici e patologici che riguardano le strutture riproduttive, il decadimento fisiologico e la fragilità biomeccanica.

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Foto dei Tarout n. 12 e n. 13 in Oued Tamghit nel 2007 e ormai morti nel marzo 2023.

 

Studio dello stato di salute degli individui e dell’habitat

Proteggere le foreste mature residuali e gli alberi longevi e senescenti è essenziale, ma è altrettanto importante stabilire criteri di conservazione e gestione a diversa scala. La conservazione di individui e popolamenti di alberi maturi deve essere un obiettivo prioritario, pertanto è necessario identificare e caratterizzare il grado di vetustà e stabilire nuove formule di gestione basate su criteri botanici. La gestione della vetustà richiede interventi a livello individuale e di gruppo con approcci basati sulla conservazione delle caratteristiche più significative: la presenza di popolamenti vetusti e di grandi dimensioni, la presenza di legno morto - sia in piedi che a terra, in diversi stadi di decomposizione -, la diversificazione verticale, gli interventi antropici (Moya & Moya, 2013).

I Ricercatori spagnoli, esperti nella tutela e gestione di alberi monumentali e della biodiversità associata, hanno preparato specifiche schede di rilievo di campo per i cipressi e le specie legnose con portamento arboreo, tenendo conto di diversi parametri dendrologici, biometrici, topografici e dell'ambiente fisico, nonché delle pressioni, delle minacce e dei rischi presenti e futuri per gli individui, i popolamenti, l'habitat e per le specie.  Le schede includono molteplici informazioni che sono considerate dalla IUCN per la determinazione e valutazione dei rischi per specie ed habitat. Le schede generate includono lo studio dello stato morfo-fisiologico, la fase di sviluppo, la struttura dello sviluppo, la vitalità, gli aspetti biomeccanici, e fitopatologici dei singoli alberi al fine di fornire un quadro completo del loro stato di salute. Particolare attenzione viene data alla biodiversità dell’intorno, alla presenza di dendro-microhabitat associati e habitat. Ciò faciliterà la definizione e la definizione di proposte e priorità specifiche di gestione e conservazione sia a livello individuale, di popolamento, di habitat, che di specie. Durante la spedizione botanica del novembre 2024 sono stati effettuati studi dendrologici individuali su 19 Cupressus dupreziana, 2 su Olea europaea subsp. laperrinei, 1 su Acacia raddiana e 1 su Myrtus nivellei.

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Studio dello stato del Tarout millenario “Tin Belelene” n. 80, circonferenza del tronco alla base: 11,15 m. Stato di grande debolezza fisiologica con chioma in fase di regressione.

 

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Gruppo di cipressi del deserto, popolamento di Oued Ingharoane. A destra, giovane individuo, forma fastigiata, modello architettonico Attins. Al centro, esemplare adulto, forma arrotondata, modello architettonico modificato dal trauma, stadio di sviluppo senescente. A sinistra, esemplare deceduto e caduto a terra.

 

I boschi maturi costituiscono l'habitat di un gran numero di specie altamente specializzate che non si trovano nelle fasi giovanili di una foresta e la scarsità di tali popolamenti maturi fa sì che la biodiversità associata alle fasi senescenti della foresta sia fortemente minacciata. Attualmente le informazioni scientifiche sulla presenza, l'estensione, la composizione e lo stato di conservazione, degli habitat e dei gruppi biologici presenti nei popolamenti di Tarout (insetti impollinatori, uccelli, micromammiferi, pipistrelli, flora vascolare, licheni, muschi e funghi) sono molto scarse, incomplete e in molti casi inesistenti.

Una prima valutazione della biodiversità ha messo in evidenza le seguenti specie di flora legnosa associate all'habitat Cupressus dupreziana: Olea europaea subsp. laperrinei, Acacia raddiana, Rhus tripartita, Myrtus nivellei, Nerium oleander, Peripocla angustifolia e Phoenix dactilifera. Tra la flora suffruticosa ed erbacea sono state osservate: Senecio flavus, Rumex vesicarius, Anastatica hierochuntica, Citrilus colcynthis, Androcymbium wyssianum, Aerva javanica, Pulicaria crispa, Globularia alypum mentre numerose altre specie sono in corso di identificazione.

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Biodiversità vegetale intorno ad una guelta nel Oued Ibendaraje dopo alcune piogge (nov. 2024).

 

Nei terreni sabbiosi e sassosi sono stati identificati i corpi fruttiferi di due funghi appartenenti alla famiglia delle Agaricaceae: Podaxis pistilaris, associato ad accumuli di resti organici di materiale fecale animale, e Chlamydopus meyenianus associato alla presenza di materiale vegetale legnoso in decomposizione di Acacia raddiana.

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Carpofori di due specie di macromiceti: Podaxis pistilaris (sx), e Chlamydopus meyenianus (dx).

 

Per quanto riguarda lo studio della biodiversità della fauna, sono state inizialmente rilevate almeno 12 specie di uccelli presenti nell'habitat del Cupressus dupreziana, sia nell'habitat prevalentemente roccioso che negli oued (letti dei torrenti) e nelle guelta localizzate (affioramenti temporanei o permanenti di acqua dolce). Tra queste, alcune a distribuzione prettamente desertica come l'averla cenerina settentrionale (Lanius excubitor) e il piovanello sahariano (Ammomanes deserti), la monachella del deserto (Oenanthe leucopyga) e il corvo del deserto (Corvus ruficollis); e altre specie più generaliste come il gheppio comune (Falco tinnunculus), il colombaccio (Columba livia) e la quaglia (Coturnix coturnix). La rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), osservato mentre caccia insetti alati, è stata la specie più frequente, anche se in densità molto bassa. Le osservazioni ornitologiche effettuate durante la spedizione saranno presto disponibili sulla piattaforma internazionale di citizen science eBird  (https://ebird.org).

Inoltre, sono state osservate direttamente o rilevate tracce, in corso di identificazione, dei seguenti gruppi faunistici: coleotteri, lepidotteri (farfalle diurne, sfingidi, libellule), aracnidi (ragni e scorpioni), anfibi (rane), rettili (lucertole Uromastyx acanthinurus, Uromastyx aegyptia, ramarri e serpenti) e mammiferi (ungulati, chirotteri, roditori, e carnivori).

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Biodiversità animale asociata all’ecosistema di C. dupreziana. Uromastyx aegyptia (a sx) e Oenanthe leucopyga (a dx).

 

Indagini sulla climatologia

Il Sahara è il più grande deserto caldo del mondo, ma in epoche passate come l’Olocene e il Pleistocene,  ha ospitato un ambiente più umido e favorevole alla vita, grazie a periodi di piovosità maggiore. Durante il cosiddetto Periodo Umido Africano (circa 10.000-12.000 anni fa), il Sahara era caratterizzato da savane, laghi e fiumi. Questo ambiente consentiva la presenza di una flora diversificata, comprese specie di origine mediterranea che colonizzarono la regione. Con il successivo inaridimento del Sahara, iniziato circa 5.500 anni fa, molte specie vegetali sono sopravvissute solo in microhabitat favorevoli ed in nicchie ecologiche particolari come le zone montuose del Sahara centrale. Una parte integrante del progetto riguarda l’analisi dell’impatto che i recenti cambiamenti climatici in atto hanno su ecosistemi così fragili e vulnerabili. A tal fine, presso l’Istituto IBE-CNR di Firenze, è stata avviata un’analisi dettagliata delle serie temporali di temperatura e precipitazione dal 1950, che ha lo scopo di caratterizzare dal punto climatologico l’area dove sono presenti i nuclei più numerosi di Cupressus dupreziana. L’area si estende per circa 220 Km2 e comprende oued Tamghit, oued Ghiyeye, oued Ingharoane e la parte nord-ovest del oued Amazar. Alla caratterizzazione climatologica seguirà una seconda fase che prevede la ricostruzione di tre diverse climatologie passate (1951-1980, 1981-2010 e la più recente, 1991-2020) e un’analisi dettagliata e comparativa delle stesse. L’obiettivo di questa analisi è quello di valutare come e quanto le variazioni di temperatura e dei regimi pluviometrici nel tempo hanno impattato sullo stato vegetativo di questi alberi. Inoltre, si prevede di utilizzare anche delle proiezioni per desumere nuovi scenari climatici e analizzarne gli effetti futuri su questi patriarchi.

Questa prima caratterizzazione climatologica è stata effettuata utilizzando i dati climatologici di rianalisi prodotti dal Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a medio raggio (ECMWF) e resi disponibili attraverso il portale Copernicus Climate Change Service (C3S). Nello specifico è stato utilizzati il dataset denominato ERA5 Land, nelle sue componenti di temperatura e precipitazione.

Per la zona di oued Tamghit si è dedotto che la temperatura media annuale (baseline 2000-2020) è di 19,4 °C; la T media delle massime è di 33,1 °C, mentre la temperatura media delle minime è 1,7 °C. Dal 1950 al 2023 gli estremi termici più rilevanti si sono registrati nel febbraio dell’anno 1952 (-8°C) e nell’agosto del 2023 (37,8°C). Mediamente le precipitazioni annue cumulate sul plateau ammontano solamente a circa 25 mm. Da quando è disponibile la serie temporale ERA5 Land (gennaio 1950), l’anno più piovoso, con 81 mm, è stato il 1967. Dall’analisi della serie storica si desume che altri 5 anni hanno avuto precipitazioni superiori a 50 mm annui (2005, 1976, 1972, 1969, 1957) mentre ben 18 anni hanno fatto registrare precipitazioni inferiori ai 10 mm.

Per le variabili di precipitazioni e la temperatura, utilizzando dei modelli appositamente sviluppati, sono state calcolate le anomalie mensili e annuali rispetto alle climatologie storiche. Inoltre, si è provveduto a derivare anche la serie storica dell’indice di aridità SPEI (Standardized Precipitation Evaporation Index), che rispetto al più comune SPI (Standardized Precipitation Index) tiene conto anche dell’andamento termometrico normalizzato.

Queste analisi hanno evidenziato come gli ultimi cinque anni (2019-2023), sono stati caratterizzati da un progressivo aumento delle temperature medie annue (anomalie di circa +2°C) ed una quasi assenza di precipitazioni. Questi fattori indubbiamente hanno inciso profondamente sullo stato di salute delle piante e appare evidente che in ambienti estremi, in questo caso iperaridi, l’effetto dei cambiamenti climatici influenza con modalità ancora più significative l’equilibrio ecologico, tanto che in ambienti così fragili le conseguenze possono rivelarsi estremamente negative e irreversibili. Ciò porta a pensare che è in atto anche un significativo cambiamento del regime pluviometrico. Tale cambiamento è confermato dal fatto che le già scarse precipitazioni si presentano in periodi di tempo sempre più concentrati e radi. Dall'analisi delle serie storiche dei dati di precipitazione (periodo 1950-2023) è inoltre emerso che non esiste una significativa ciclicità del regime pluviometrico; né su base mensile; né su base annuale e che non esiste una stagionalità pluviometrica.

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Anomalie climatiche: precipitazioni (in alto) e temperature (in basso), per la zona ti oued Tamghit calcolate rispetto alla climatologia 1981-2010.

 

Dendrocronologia

Nel novembre 2024, dal tronco di 26 alberi sono stati eseguiti micro-carotaggi con trivella di Pressler, per poter esaminare campioni di legno estratti dalle parti interne ed associare gli accrescimenti rilevabili ai dati cimatici di rianalisi dell’area compresa tra Tamghit e Ingharoane. Nella zona di Ingharoane sono stati prelevati campioni di legno per l’ispezione degli accrescimenti anche da Acacia radiana e O. europea subsp. lapperini per il cross-dating e la validazione dei risultati. I campioni verranno presto analizzati in collaborazione con WSL svizzero di Zurigo.

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Carotina di cipresso prelevata con succhiello di Pressler dal tronco di un Tarout.

 

Indagini in remote sensing

Lo studio proposto dal gruppo di ricercatori si basa sulla possibilità di poter identificare le piante di cipresso utilizzando tecniche di remote sensing e image processing applicate a serie temporali di immagini acquisite da piattaforma satellitare. Una volta identificate le piante, l’auspicio è quello di valutarne lo stato di salute e monitorarlo nel tempo. Inoltre, un aspetto non secondario dello studio riguarda la possibile identificazione di esemplari sopravvissuti e non censiti in altre aree remote dell’altopiano di difficile accesso. L’idea progettuale ha riscosso l’interesse dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA Earth Observation User Services) che a dicembre 2023 ha finanziato il CNR con un Grant; “Project Proposal PP0094234 - Looking at the last thousand-year-old cypresses in the Sahara: protecting the biodiversity of an endangered species”. Questo finanziamento dà la possibilità di accedere a delle serie temporali di immagini acquisite da due satelliti commerciali, RapidEye e Wordview, che interessano l’area del Tassili n’Ajjer. Le tecniche di identificazione che si stanno sviluppando si basano su algoritmi di Intelligenza Artificiale che mirano a identificare le piante in base alla forma delle chiome, alla risposta spettrale e al valore assunto da alcuni indici vegetazionali (NDVI, EVI, SAVI, ecc.) in corrispondenza del pixel “occupato” dalla pianta. A tal fine, in due precedenti campagne di rilievo a terra, si è provveduto a rilevare la posizione assoluta di alcune piante con strumentazione GNSS. Questi punti andranno ad alimentare il modello di riconoscimento basato su reti neurali e rappresentano le verità a terra “Ground True” su cui si baserà la fase di allenamento dell’algoritmo.

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Indice NDVI calcolato per la zona dei cipressi di oued Tamghit. In rosso la vegetazione presente.

 

Microbioma del Tarout

Batteri e funghi endofiti ed epifiti, intimamente legati alle specie vegetali, possono influenzare positivamente la crescita e la salute delle piante, facilitando l’acquisizione di nutrienti, modulando i livelli di fitormoni e inducendo resistenza sistemica nel loro ospite. Il microbiota, ossia l’insieme di tutti i microrganismi che convivono con un organismo, può quindi migliorare la resistenza e la resilienza delle piante contro condizioni ambientali sfavorevoli, quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante per le specie che si trovano a vegetare in ambienti estremi. Recentemente, la disponibilità di tecniche di sequenziamento ad alto rendimento (High Throughput Next Generation Sequencing HT-NGS) ha rivoluzionato l’approccio di caratterizzazione del microbiota, consentendo la descrizione di tutte le specie associate alla matrice biologica di studio. Da 17 campioni di rametti e foglie appartenenti ad altrettanti alberi (12 dal oued Tamghit, 2 da Ghiyeye, 1 da Djabaren e 1 da Amassadjou), appartenenti a piante in diverso stato di vigoria (ottima, modesta e scarsa) sono stati processati nei laboratori IPSP-CNR: dopo l’estrazione del DNA dalle matrici sono state amplificate le regioni del gene rRNA 16S utilizzando i primer V3–V4 (341F e 785R) e quella di ITS2 con la coppia di primer degenerati ITS9f/ITS4r. L’applicazione di tecniche NGS sta consentendo il “barcoding” (identificazione) anche dei microrganismi meno abbondanti. I dati saranno a breve analizzati con approcci bioinformatici ed i primi risultati riguardo composizione e la struttura del microbioma associato al cipresso del deserto nonché circa le funzioni che esso esplica, saranno presto disponibili.

 

Suolo: analisi chimico-fisiche e microbioma

Campioni di suolo sono stati prelevati nella zona di Tamghit sotto le chiome di alcuni grandi cipressi nel letto del oued dove essi vivono, di questi è stato fatto un bulk e sottoposti ad analisi-fisico chimica da parte di un ente accreditato Accredia. I suoli desertici della zona sono molto sottili, sabbiosi e ricchi in scheletro. Essi si sono originati dall’alterazione della roccia madre, un’arenaria formata da grandi depositi sedimentari derivanti dall'erosione parziale delle montagne cristalline del Paleozoico e depositati dagli oceani del Mesozoico. L’alterazione della roccia madre è accelerata dalle forti escursioni termiche giornaliere, ed è smantellata dall’erosione sia di tipo eolico che idrico, particolarmente forti per l’assenza di vegetazione e seppur siano estremamente rari, oggi, gli eventi piovosi. I suoli dominanti nella zona, in accordo con WRB e Soil Altas of Africa, appartengono ai Leptosols ovvero suoli sottili con strato di roccia dura entro 25 cm dalla superficie. Negli impluvi sono presenti suoli di maggiore spessore originatisi da depositi alluvionali; essi consentono una leggermente maggiore riserva idrica che, localmente, consente la sopravvivenza della assai sparsa vegetazione. Con il supporto di analisi condotte in laboratorio su campioni prelevati in campo, i suoli risultano sabbioso grossolani (sabbia 97%; argilla 2%), privi di frammenti di roccia e con alta permeabilità, (l'acqua piovana, seppur rara, si infiltra rapidamente, lasciando il terreno secco). La fertilità di questi suoli è assai scarsa: la quantità di materia organica è molto bassa (<0,1%) così come i contenuti di azoto e fosforo; del resto, la mancanza di vegetazione e l'assenza di decomposizione organica riducono la disponibilità dei nutrienti essenziali per le piante. La reazione del suolo è fortemente alcalina (pH 8,85) seppur non siano stati rilevati nel suolo né carbonati totali (<0,5%), né altri tipi di sali (bassa conducibilità elettrica). Anche i cationi del complesso di scambio non presentano contenuti significativi. I suoli degli impluvi possono appartenere agli Arenosols (in accordo con WRB). Ulteriori 5 campioni prelevati sotto la proiezione delle chiome di cipressi nelle località di oued Tamghit e oued Ghiyeye sono stati destinati alla caratterizzazione della componente microbiologica (batterica e fungina) vivente del suolo con gli stessi approcci visti sopra.

 

Datazione al C-14

Alcuni di questi patriarchi hanno dimensioni maestose, fino oltre 12 m di circonferenza del tronco, altezze di quasi 20 metri ed età stimate di migliaia di anni. Per incrementare le conoscenze sull’argomento da 5 piante vive parzialmente sradicate e poggiate su un fianco, nel 2024 è stato possibile prelevare piccole porzioni di legno dal centro dell’albero in zona basale per determinare col metodo di datazione radiometrica di materiale organico e con un’approssimazione di 50 anni, l’età di quel legno formato all’inizio della vita degli alberi e perciò la loro stessa età. Per la medesima finalità anche da 6 tronchi di alberi morti sradicati sono stati prelevati analoghi campioni. Il materiale verrà analizzato in collaborazione col WSL di Zurigo.

 

Conservazione del germoplasma

La conservazione della biodiversità e la lotta all'emergenza climatica attraverso la salvaguardia e il ripristino degli ecosistemi terrestri, degli habitat naturali, della fauna selvatica e dei processi ecologici fanno parte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile promossi dall'ONU. Lo stato di salute delle foreste mondiali, secondo l'ultimo rapporto FAO (2022), è peggiorato relativamente alla conservazione degli habitat e della biodiversità. In Europa 1.677 specie sono a rischio di estinzione e tra queste il 58% sono alberi endemici (IUCN Red List 2024). Alberi e foreste maturi, diversificati e resilienti sono un fattore essenziale per la salvaguardia della biodiversità e il ripristino degli ecosistemi. Gli alberi maturi sono estremamente scarsi sul pianeta, quindi la perdita o la diminuzione di ciascuno di essi implica un impatto diretto e grave sulla diversità e sulla capacità di resilienza propria e associata, costituendo fattori decisivi e limitanti per la conservazione della biodiversità e il ripristino degli ecosistemi (Moya & Moya, 2013).

Nel marzo 2023 e 2024 presso le strutture sperimentali del IPSP-CNR di Firenze sono state realizzate due campagne di piantagione di circa 5.000 semi provenienti da 22 piante madri, 11 campionate nel 2023 e 11 nel 2024, provenienti da sei oued (Tamghit, Alagh n’ doument, Ghiyeye, Tessouanet, Amassadjou e Djabaren). A maggio 2024 è stato possibile ottenere 80 semenzali di 13 piante madri (progenie da 1 a 24 plantule per pm). La scarsissima germinabilità del seme, compresa tra 0,5-2% è dovuta probabilmente anche a fattori intrinseci quali l’apomissia paterna (il polline è diploide e l’ovario agisce esclusivamente da incubatrice senza partecipare al corredo genetico della progenie, caso unico tra le specie arboree forestali) ma anche a fattori estrinseci come la maturità del seme al momento della raccolta e la conservazione dei semi in pianta o al suolo in tale ambiente estremo. La collezione di germoplasma da seme presente oggi presso IPSP-CNR, che comprende anche i figli di piante millenarie appena morte, rappresenta forse il più prezioso e numeroso baluardo (pool) di biodiversità esistente della specie. 

I semenzali emergono tra 40-60 giorni dalla semina. Il tasso di accrescimento dei semenzali è sorprendentemente sostenuto (1,1-1,4 cm/mese), e dopo due stagioni vegetative (semina marzo 2023 – rilievo ottobre 2024) hanno raggiunto un’altezza media di 19 cm, mentre quelli nati ad aprile 2024 variano da 6 a 9 cm. Dopo circa 18 mesi le prime piante cominciano a differenziare le foglie squamiformi in sostituzioni delle foglie primarie aciculari.

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Semina, plantule e semenzali di Cupressus dupreziana presso IPSP-CNR.
Si nota una plantula appena germinata coi soli due cotiledoni; semenzali alla fine della prima stagione vegetativa con foglie aciculari e un semenzale di 18 mesi di età con le prime foglie squamiformi.

 

La Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità, nota anche come Summit sulla Biodiversità (COP 16), che si è tenuta dal 21 ottobre al 1 novembre 2024 a Cali, in Colombia, ha lanciato la prima valutazione globale degli alberi della Lista Rossa IUCN. Il ruolo che la Lista Rossa IUCN ha svolto nella conservazione della biodiversità del pianeta è stato fondamentale, fornendo uno strumento unico e una guida all'azione per invertire il declino della natura e il ripristino degli ecosistemi. I dati dell'IUCN hanno rivelato che il 38% delle specie arboree del mondo è minacciato. Si tratta di un dato allarmante, poiché gli alberi in pericolo rappresentano attualmente più del doppio del numero totale di tutte le specie di uccelli, mammiferi, rettili e anfibi. Un quadro globale che deve portare a decisioni informate e ad azioni concrete per proteggere le specie, gli alberi e le foreste dove maggiore è la necessita.

Per questo appare necessario lanciare un S.O.S. sui Cipressi millenari del Sahara e fondamentale attuare iniziative di conservazione dirette volte alla salvaguardia delle popolazioni, dell'habitat e di ciascuno degli individui di questa meravigliosa specie.

Le azioni, gli studi che il ‘Progetto Tarout’ si propone, nei confronti dei pochi individui maturi superstiti in stato di senescenza che continuano a diminuire, sono da considerarsi indispensabili per affrontare le reali minacce e scongiurare l'estinzione di questa specie di cipressi millenari, gli ultimi testimoni viventi di una foresta, della sua biodiversità e della sua cultura.

Autori:
Della Rocca Gianni
, Fiso-Patologo forestle IPSP-CNR, Firenze. E-mail: 
Abdoun Fatiha, Ecologa USTHB, Algeri. E-mail: 
Emiliani Giovanni, Microbiologo IPSP-CNR, Firenze. E-mail: 
Danti Roberto, Patologo IPSP-CNR, Firenze. E-mail: 
Arcidiaco Lorenzo, Climatologo IBE-CNR, Firenze. E-mail: 
Chiapparini Mario, Arboricoltore Arbotech, Brescia. E-mail: 
Garcìa Zuleica, Tecnico biologo, Zamora. E-mail: 
Pandini MarcoIngegnere Ambientale Studio Pandini, Milano. E-mail: 
Gardin Lorenzo, Pedologo IBE-CNR, Firenze. E-mail: 
Gardumi Graziano, Arboricoltore, Brescia. E-mail: 
Prada Oscar, Ornitologo GL SEO Castro, SEO/BirdLife. E-mail: 
Moya JoséAgronomo, Ingegnere ambientale, Valencia. E-mail: 
Moya Bernabé, Botanico, Valencia. E-mail: 
Paolo Cherubini, Dendrocronologo del WSL di Birmensdorf (Svizzera). E-mail:

Abdoun, F., & Beddiaf, M. (2002). Cupressus dupreziana A. Camus: répartition, dépérissement et régénération au Tassili n’Ajjer, Sahara central. Comptes rendus. Biologies, 325(5), 617-627.

Abdoun, F., Jull, A. J. T., Guibal, F., & Thinon, M. (2005). Radial growth of the Sahara’s oldest trees: Cupressus dupreziana A. Camus. Trees, 19, 661-670.

Bagnoli, F., Della Rocca, G., Spanu, I., Fineschi, S. and Vendramin, G.G. (2020). The origin of the Afro-Mediterranean cypresses: Evidence from genetic analysis. Perspectives in Plant Ecology, Evolution and Systematics, 46, p.125564.

Barry, J. P., Belin, B., Celles, J. C., Dubost, D., Faurel, L., & Hethener, P. (1973). Monograph on Cupressus dupreziana, the Cypress endemic to the Tassili N'Ajjer (Central Sahara). Travaux du Laboratoire Forestier de Toulouse, 1973, No. Tome 1, Vol. 9, art. 2, 84 pp.

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