Breve lettera sul ceduo e sul caso del taglio a Castelvecchio (San Gimignano, SI)
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di Federico Selvi
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali, Laboratori di Botanica Ambientale-PlantDiveLab, Università di Firenze.
NBFC, National Biodiversity Future Center, Palermo.
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Sono tornato di recente nel bosco di Castelvecchio presso San Gimignano, riserva naturale della provincia di Siena di particolare pregio naturalistico e storico. Non molti la conoscono, nonostante il fascino dei suoi ambienti. Lì vivono nuclei relitti di faggio abissale, tassi secolari ed altre piante di interesse fitogeografico, distribuite in un mosaico unico di comunità vegetali che vanno dalla macchia termoxerofila con ginepro ossicedro, alla lecceta, fino alla cerreta mesofila con carpino bianco. Il “botro” della Libaia (da “Libo”, antico nome del tasso), non distante dal villaggio medioevale, era uno degli angoli più suggestivi ed integri della riserva, trovandovisi una foresta mesofila con cerro, faggio, carpino bianco, tasso, aceri ed altre specie, in particolare lungo il fosso e sul versante idrografico destro, esposto a nord. Un vero e proprio microrifugio per specie nemorali di querceti e faggete, diverse delle quali in condizione extrazonale. La foresta era un ceduo molto “invecchiato”, non utilizzato dall’immediato dopoguerra, con copertura e densità elevate, struttura complessa e pluristratificata, in cui le ex matricine di cerro avevano assunto dimensioni e struttura di alberi ad alto fusto con altezze spesso superiori ai 20 m.
Eravamo con l’amico Luigi Hermanin ed alcuni studenti nell’aprile 2019, quando scoprimmo che la parte di questo bosco nella proprietà privata (Fattoria di Castelvecchio), sul versante esposto a nord fino al confine con la riserva lungo il fosso, era in corso di “utilizzazione” su diversi ettari, con taglio ceduo matricinato. Taglio autorizzato nonostante l’invecchiamento. In assenza di controlli, furono abbattuti cerri di 20 m e fino a 50 cm di diametro fino sull’alveo del fosso, senza alcun rispetto delle fasce prescritte dalla normativa forestale regionale, raggiungendo quindi l’esatta linea di confine con la riserva. Cadendo, gli alberi avevano stroncato altre piante più piccole e diverse crollarono nel fosso, ostruendolo in buona parte. (Foto 1-3). Buona parte di questo legname fu abbandonato in loco per la difficoltà di esbosco. Al taglio vennero rilasciate matricine di cerro filate, di diametro esiguo.
Foto 1-3: Castelvecchio, Botro della Libaia, 4 Aprile 2019. Taglio in corso.
Oggi, a distanza di 5 anni, si può valutare alcune delle prime conseguenze di questo intervento “selvicolturale”. Per avere un’idea della sofferenza degli alberi rilasciati è utile osservare le foto 4-6. Nonostante la relativa fertilità della stazione e il microclima fresco, alcune sono morte, mentre quelle vive hanno chiome trasparenti, ristrette e con numerosi rami secchi. I loro fusti sono coperti da rami epicormici di sostituzione, ed il fusto è avvolto alla base da polloni. In alcuni casi gli alberi presentano i segni della presenza del fungo patogeno opportunista Biscogniauxia mediterranea, sempre più diffuso nei nostri boschi, che ne accelererà il declino. Questi alberi, che secondo i principi del ceduo matricinato dovrebbero produrre il seme per sostituire le ceppaie “esaurite”, molto difficilmente potranno farlo. Certamente non ostacoleranno la crescita dei polloni a causa dell’ombreggiamento. I fusti dei faggi lungo il fosso, improvvisamente isolati ed esposti alla luce diretta, si sono coperti anch’essi di rami epicormici per compensare la riduzione della chioma dovuta alla morte dei rami alti (Foto). Alberi che tendono a diventare cespugli per reagire al trauma e sopravvivere.
Foto 4-5: Castelvecchio, Botro della Libaia, 25 Giugno 2024 - faggio.
Nel piano arbustivo, i tassi che vivevano nell’ombra del bosco denso, sono ora in piena luce e con fronde ingiallite, che a fatica emergono dal groviglio impenetrabile dei polloni, dei rovi, vitalbe ed altre lianose. Stadi dinamici di rigenerazione del bosco, certo. In essi però è comparso l’ailanto (foto), arrivato velocemente, come suo solito, ad occupare nuovi spazi da noi resigli disponibili, probabilmente da seme di nuclei vicini. Con ogni probabilità da questi primi individui da seme partirà la colonizzazione del suolo nell’area tagliata, attraverso polloni radicali. Nessuno potrà fermare questo processo irreversibile di espansione di una specie che di fatto rappresenta una delle più serie minacce alla flora e alla vegetazione autoctona a scala mondiale.
Nel piano erbaceo della tagliata è aumentata la ricchezza specifica, in linea con quanto viene sostenuto da coloro che per vari motivi caldeggiano il governo a ceduo del bosco. L’aumento della biodiversità. Lo possiamo dire, perché in quel bosco avevamo fatto, con gli studenti forestali, dei rilevamenti della vegetazione per diversi anni, durante esercitazioni. Peccato che questo aumento sia dato da piante ruderali, sinantropiche, spesso alloctone (come Ailanthus) e di scarsissimo valore ecologico, di cui non serve fare qui il nome. Nate da semi già presenti nel suolo, o più probabilmente da semi arrivati dalle vicine aree agricole, queste alte erbe occupano in modo massiccio anche il fondo della vallecola, prima nell’ombra della foresta, oggi invece ben illuminato. Hanno preso il posto di anemoni, viole, scille, ellebori, cardamini ed altre nemorali ad ecologia ristretta, che hanno perso questo microrifugio. Non sappiano se lì riusciranno a persistere oppure no. Sta di fatto che le nuove arrivate sono molto competitive, in gran parte annuali capaci di produrre ad ogni ciclo grandi quantità di seme che rimarrà vitale nel suolo del bosco per un numero sconosciuto di anni, certo molti. Nostri esperimenti in corso sulla banca del seme nei suoli forestali dimostrano la presenza di un numero incredibilmente alto di semi di questo tipo di piante erbacee nei boschi cedui, pronti a germinare non appena si verifichino disturbi che “aprono” il bosco e causano l’illuminazione del suolo. Un vero e proprio processo di ruderalizzazione a lungo termine della flora del bosco, anch’esso difficilmente reversibile.
Il caso qui raccontato è uno dei tanti che si verificano ogni anno in Toscana, una regione, come altre, dove negli ultimi anni il governo a ceduo del bosco di latifoglie è tornato in maniera molto importante soprattutto per l’interesse economico dei proprietari privati. Si tagliano tanti boschi di latifoglie, soprattutto cerro e roverella, più o meno invecchiati, anche alberi di grandi dimensioni che poi fanno spesso fatica a emettere polloni dalla ceppaia e quindi a portare avanti il ciclo di ricostituzione del bosco. Grazie alle macchine oggi disponibili, questi alberi vengono squartati per andare in catasta, poi nei forni a legna e nei camini di tutta Italia e anche all’estero. Un mercato che da una parte genera lavoro e dall’altra ci restituisce rapidamente tutta la CO2 che gli alberi avevano sequestrato in vita, oltre a quella emessa dai mezzi di trasporto della legna su gomma, spingendo ad una sofferenza sempre maggiore i nostri boschi.
Foto 6: Matricine di cerro.
Per chi vuole osservare, è facile vedere in tutta la regione in quali condizioni sono spesso gli alberi (vari specie) più o meno isolati che vengono lasciati nelle tagliate a ceduo, colpiti da estremi climatici, onde di calore, siccità, tempeste di vento, e parassiti. Le chiome sono spesso trasparenti, con molti rami secchi, i polloni e la rinnovazione sono spesso ulteriormente colpiti dagli ungulati, altra causa di sofferenza per le nostre foreste. Meno visibili a occhi non esperti, ma ugualmente importanti dal punto di vista ecologico, sono gli effetti sul sottobosco e la sua flora, del tipo di quelli sopra descritti.
Se davvero vogliamo conservare ed utilizzare in modo intelligente le nostre foreste senza intaccarne la capacità di resistenza e resilienza a fronte degli attuali cambiamenti climatici e ambientali, dovrebbe esserci una vera riflessione alla luce delle evidenze scientifiche sulla reale sostenibilità di una forma di governo, il ceduo, che per molti aspetti appare sempre più anacronistica.
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Considerazioni della Redazione di Sherwood
Il ceduo e i tre pilastri della sostenibilità
La lettera del Prof. Federico Selvi tocca un tema complesso e lo fa riferendosi alla sua esperienza. Trattandosi di un caso concreto portato da un ricercatore, penso possa avere un suo valore nel dibattito che in questi anni ha spesso infiammato la discussione, soprattutto sui “social”. A Sherwood sappiamo bene che si tratta di un argomento divisivo, su cui la partigianeria molto spesso impedisce non solo di comprendere, ma anche solo di ascoltare le ragioni della parte opposta. Circa 5 anni fa abbiamo provato a spiegare con un video cos’è il ceduo sul piano tecnico e se ne sono giovate oltre 20.000 persone. Di queste pochissime hanno contestato i contenuti del video, soprattutto perché il problema non è comprendere l’efficacia del governo a ceduo o del tipo di trattamento. Il problema è mettersi d’accordo su dove mantenere il governo a ceduo, come e se cambiare tipo di trattamento o in che misura trovare un corretto equilibrio nel soppesare i tre pilastri della sostenibilità.
A proposito della lettera del Prof. Selvi, vorrei quindi aggiungere che la ricerca della sostenibilità, per definizione, consiste proprio nella volontà di trovare un equilibrio tra i 3 pilastri che la sostengono, attraverso scelte quanto più possibile multifunzionali. Ciò significa che talvolta possiamo accettare un impatto ambientale un po’ più forte (purché reversibile), come avviene in certi cedui, a vantaggio del pilastro sociale, di quello economico o di altri benefici, anche ambientali in senso lato, di livello nazionale, europeo o globale. Tutto ovviamente dipende dal contesto ambientale, sociale ed economico da considerare e tutto va deciso caso per caso, lasciando da parte le scelte da fare a priori per tutti i boschi italiani. La varietà di combinazioni tra ambiente, società ed economia è così ampia che le soluzioni uniche si dimostrano esatte come lo è un orologio rotto: solo due volte al giorno.
Paolo Mori - Redazione di Sherwood
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