Considerazioni sulla formazione in Scienze Forestali e Ambientali
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A settembre 2024, in occasione del congresso della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale (SISEF), l’Associazione Universitaria degli Studenti Forestali (AUSF) ha organizzato una tavola rotonda sul tema della formazione universitaria, da cui è scaturito anche un articolo pubblicato sul sito web di Sherwood. Si tratta di un tema importante, che non riguarda solo gli studenti, ma tutti noi, poiché la loro formazione è strettamente collegata alla professionalità e all’efficienza dell’intero settore nel prossimo futuro.
Il Sistema Forestale, intendendo con questo l’insieme delle persone e delle istituzioni che a vario titolo si occupano per lavoro di alberi e/o foreste, è ricco e variegato in tema di conoscenze e competenze. Affinché tale Sistema possa funzionare al meglio è necessario che le competenze di base siano comuni a tutti i laureati, non c’è dubbio, e gli studenti AUSF hanno mostrato chiaramente come ad oggi non sia affatto così. Pur dotati dello stesso titolo di studio, potremmo trovarci di fronte a laureati che hanno competenze di base molto diverse. Alcuni potrebbero non aver studiato materie come la Selvicoltura Speciale, altri potrebbero non conoscere la normativa di settore, altri ancora potrebbero avere carenze in tema di Ecologia o di Assestamento Forestale.
Mi associo ad AUSF nel sostenere che servirebbe un sistema di insegnamento universitario più omogeneo e solido per le materie di base. Aggiungo però che, contemporaneamente, servirebbe anche un sistema flessibile per quanto riguarda le tematiche specialistiche che, nel tempo e nello spazio, si differenziano molto più rapidamente di quanto ad oggi riesca ad aggiornarsi il sistema di insegnamento.
Certo è importante che chi si laurea acquisisca un metodo di auto apprendimento e adattamento, ma è anche necessario che oltre al metodo l’Università sia in grado di orientare i propri studenti verso i principali, e variegati, ambiti di occupazione e di servizio richiesti dalla società oggi.
Ad esempio potrebbero esserci indirizzi rivolti alla progettazione selvicolturale, oppure alla gestione degli alberi in città, alla vigilanza in tema di protezione ambientale oppure alla valorizzazione commerciale dei prodotti e dei servizi ecosistemici, all’organizzazione e alla sicurezza nei cantieri forestali o alla progettazione e gestione di rimboschimenti e piantagioni fuori foresta per la produzione di legno, alla prevenzione e lotta agli incendi boschivi e così via per altre specializzazioni che già sono richieste o che potranno essere richieste in futuro.
Ciò farebbe pensare alla necessità di un’organizzazione dei corsi di laurea a due velocità: una stabile e caratterizzata da una solida compagine di docenti per i temi di base e un’altra dinamica e flessibile, capace di coinvolgere all’occorrenza insegnanti per le materie specialistiche e/o innovative. La realtà però è ben diversa e vale la pena interrogarsi su come sia possibile farla evolvere per rispondere meglio alle esigenze di società e studenti.
Oggi, purtroppo, i corsi sono considerati tanto più affidabili quanto più dispongono di professori ordinari e associati. Se ciò da una parte dà garanzie di continuità, dall’altra crea rigidità nell'ampiezza e nella profondità delle materie insegnate. Un professore ordinario può esserlo per 10, 20, 30 o più anni. In quel periodo, se la sua materia non è tra quelle di base, ci saranno Crediti Formativi Universitari (CFU) bloccati sulle sue competenze e quel corso di laurea non potrà adattarsi, se non minimamente, alla realtà che cambia. Non è una questione di persone, poiché ci sono insegnanti di valore, attenti agli studenti e capaci di aggiornarsi, è una questione di sistema e di organizzazione della struttura dei corsi di laurea.
Nonostante lo sforzo di molti professori, infatti, il sistema universitario pare ingessato da regole “uguali per tutti” dettate dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR). Per capire meglio si può prendere ad esempio un tema di studio che non esiste più in molti corsi di laurea e che gli stessi studenti AUSF non hanno considerato tra i temi di base che dovrebbe conoscere un laureato in Scienze Forestali e Ambientali: la meccanizzazione e le utilizzazioni forestali. Si tratta di due temi molto connessi l’uno all’altro, che potrebbero essere accorpati in un unico argomento di insegnamento, ma che il MUR ha collocato in due ambiti differenti. La prima è nell’AGR09, che riguarda la Meccanica Agraria, le seconde nell’AGR06 che riguardano l’area forestale, ma sono associate alla tecnologia del legno. Ciò ha come conseguenza che la Meccanizzazione Forestale non la insegna quasi più nessuno e che le Utilizzazioni Forestali sono spesso un’appendice della tecnologia del legno (entrambe materie che richiederebbero corsi specifici e non condivisi).
Quindi, nonostante non esista un intervento di gestione di alberi e foreste in cui non ci sia l’esigenza di conoscere le macchine più idonee da impiegare e in cui non si debba organizzare un cantiere, tale materia, quando va bene, ha pochi CFU e quando va male non viene neppure insegnata. Il fatto che gli studenti dell’AUSF non le abbiano considerate tra le materie di base dovrebbe essere un segnale forte e chiaro sulla debolezza dell’insegnamento e sulla modesta percezione delle problematiche operative con cui inevitabilmente dovranno misurarsi in qualsiasi attività di gestione dovessero essere impegnati in futuro.
La Meccanizzazione e le Utilizzazioni Forestali sono solo tematiche d’esempio sul fatto che purtroppo l’offerta formativa è parziale e, per certe materie, anacronistica e ingessata. Ce ne sono altre che si trovano nelle stesse condizioni. Uno dei motivi che generano tali carenze formative è l’impossibilità di poter coinvolgere in maniera ampia nella didattica esperti e professionisti di alto livello, così come avveniva nelle prime università, dove si formavano i professionisti del futuro attraverso l’esperienza dei migliori professionisti del momento. Certo possono esserci incarichi a contratto anche oggi, ma si tratta spesso di pochi CFU che avanzano da quelli non coperti dai CFU già utilizzati dai docenti stabilizzati del corso di laurea.
Se vogliamo corsi di laurea che forniscano basi solide e allo stesso tempo competenze tecniche immediatamente spendibili a vantaggio del benessere delle persone e delle richieste della società, è necessario che i corsi di laurea si dotino di una capacità di risposta, flessibile e rapida, alle richieste e alle indicazioni che ricevono non solo dagli studenti AUSF, ma anche dai referenti del mondo del lavoro e dai Gruppi di Auto Valutazione (GAV) con cui si interfacciano e a cui raramente riescono a dare seguito prima che la realtà sia cambiata di nuovo.
Avere un “vivaio di settore” capace di rispondere alle esigenze di benessere delle persone, attraverso la buona gestione di alberi ed ecosistemi forestali, dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni corso di laurea in Scienze Forestali e Ambientali. Guardando dal di fuori ciò che avviene, pare invece che la priorità sia quella di salvaguardare il corpo docenti o di rispettare regole imposte dall’esterno e solo secondariamente quello di offrire un servizio al passo con i tempi. Se le regole del MUR non consentono flessibilità e rappresentano un importante ostacolo per chi organizza corsi di laurea, tutti insieme, docenti, studenti, pubblica amministrazione, professionisti e imprese, si può lavorare per cambiare alcune regole e rendere così i corsi di laurea funzionali al “vivaio di settore” e non viceversa.
La questione di fondo è che tutti siamo a servizio del benessere delle persone. Se cambiano le esigenze devono cambiare anche le conoscenze e le competenze di coloro che le soddisfano.
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