Emilia-Romagna, consumo di suolo e rischio idraulico: cosa sta cambiando?
di Pietro Malena, Stefano Minervini - AUSF Bologna
Come neolaureati e come giovani cittadini, sappiamo che una delle problematiche più complesse che ci troveremo ad affrontare sia dal punto di vista professionale, sia nella vita comune di tutti i giorni, è il costante consumo di suolo che i ritmi di sviluppo sociale ed economico impongono. Spinti da questa consapevolezza, stiamo provando in questi mesi ad approfondire questa tematica, cercare dati, formarci sulle problematiche che stanno sorgendo e sulle possibili soluzioni da applicare in futuro.
Introduzione
Ausf Bologna è la più giovane tra le varie Associazioni Universitarie degli Studenti Forestali ed è nata in un contesto accademico dove, oltre alle classiche materie di indirizzo forestale, si pone molta attenzione allo studio del suolo. Fra noi giovani studenti, ma in generale in tutte le fasce di popolazione, sta crescendo la preoccupazione per il modo e la velocità in cui il mondo sta cambiando a causa della crisi climatica e di molte altre pressioni ambientali. Alcuni eventi poi accendono i riflettori su delle problematiche di origine antropica che magari talvolta tendiamo a sottovalutare.
È quello che è successo con l’alluvione che ha colpito la Romagna, parte dell’Emilia e parte delle Marche nel maggio del 2023 (immagine di copertina) e poi nuovamente, anche se in misura minore, a settembre e ad ottobre 2024. Il territorio ha reagito e sta reagendo a questi eventi, ma il disastro generato ha sollevato numerosi interrogativi: come si possono attuare concretamente delle politiche di prevenzione dai disastri naturali? Come si può parlare, per esempio, di contenimento del rischio idrogeologico se la superficie cementificata è in costante aumento?
Sono domande complesse, per le quali non esiste una singola origine né tanto meno una risposta univoca. In questo breve articolo ci siamo quindi posti l’obiettivo di approfondire la tematica del consumo di suolo e il suo coinvolgimento nei disastri alluvionali a cui stiamo assistendo con una frequenza sempre maggiore ultimamente. Per fare ciò abbiamo consultato i report dell’Ispra sul consumo di suolo e siamo andati alla ricerca di informazioni più dettagliate sui cambiamenti di uso del suolo in Emilia-Romagna, in modo da poter avere un’idea un po’ più chiara su ciò che sta avvenendo. È comunque doveroso sottolineare che questa del consumo di suolo è solo una delle molte cause del dissesto idrogeologico, e che per affrontare il problema andrebbero analizzate ed affrontate tutte con una visione olistica del territorio.
Consumo di suolo e rischio idraulico
Secondo la definizione data dall’Ispra, il consumo di suolo è un processo associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, limitata e non rinnovabile, dovuta all’occupazione di una superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale con una copertura artificiale. Il consumo di suolo è, quindi, definito come la variazione da una copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato).
A questo concetto è strettamente legato quello di impermeabilizzazione del suolo, ovvero la copertura permanente di parte del terreno e del relativo suolo con materiali artificiali (quali asfalto o calcestruzzo) per la costruzione, ad esempio, di edifici e strade. L’impermeabilizzazione può avvenire sia su aree non consumate, sia su aree già consumate ma non ancora impermeabilizzate (ad esempio il suolo di un cantiere è consumato ma non ancora impermeabilizzato).
L'interesse così alto nei confronti del monitoraggio annuale sul consumo di suolo nasce dalla consapevolezza che il suolo è una risorsa fondamentale, non solo in quanto supporto funzionale alle attività umane, ma come protagonista attivo dei processi naturali che determinano, per esempio, il sequestro di carbonio e il bilancio dei nutrienti, ma anche la filtrazione delle acque meteoriche e la fondamentale funzione di riserva di biodiversità, in quanto ospita una quantità elevatissime di organismi.
Ma la funzione che in questa sede ci interessa di più è quella di regolazione dell’assorbimento di acqua: quando piove il suolo è in grado di assorbire acqua per farla ritornare nella falda acquifera, limitando lo scorrimento verso valle. La funzione di regolazione è assolutamente peculiare del suolo ed è insostituibile: va da sé che i suoli impermeabilizzati non possono far nulla di tutto ciò, e ne consegue quindi che l’acqua invece di infiltrarsi continuerà a scorrere, oppure a stagnare.
Ad aggravare questa dinamica si aggiunge il fatto che le aree in cui si è verificato la gran parte del consumo di suolo si trovano nella zona in cui i fiumi passano da avere un alveo confinato dalle valli appenniniche ad avere un alveo non confinato perché si immettono nella pianura, dove naturalmente andrebbero ad espandersi. Come se non bastasse questo consumo, e quindi la costruzione di edifici, è avvenuta spesso anche in prossimità dei fiumi o dei canali.
È noto che gli argini della maggior parte dei fiumi della pianura padana sono pensili, cioè sopraelevati rispetto al piano di campagna. Quindi, quando piene straordinarie si sono trovate ad attraversare argini artificiali geometrici e stretti, la rottura di questi è stata la diretta conseguenza. L’acqua esondata, poi, si è trovata in molti casi ad investire immediatamente le case su un suolo che non consentiva la percolazione.
Per esempio, nell’immagine 1 si riconosce il corso del fiume Lamone e si percepisce chiaramente la ridottissima distanza tra l’argine pensile, che si è rotto proprio in quel punto, e le case dell’abitato di Traversara (RA).
I dati ISPRA
Secondo gli ultimi dati Ispra sul consumo di suolo in Emilia-Romagna, all’anno 2022 è stata consumata una superficie pari all’8,89 % della superficie regionale (Figura 2). Un dato piuttosto alto (quarta regione d’Italia per consumo di suolo) rispetto alla media nazionale (7,14%), ma che non rende bene l’idea del livello di urbanizzazione di alcune aree di pianura perché tiene conto ovviamente anche di tutta la superficie collinare e montana, molto scarsamente abitata. Se si osservano i dati a livello comunale infatti emerge un’immagine molto più preoccupante per i centri abitati di pianura, soprattutto per quelli che si trovano a ridosso della via Emilia con valori spesso al di sopra del 15%. Per fare esempi pratici, nel comune di Parma il consumo di suolo raggiunge un valore di 21,46%, nel comune di Modena di 25,23%, nel comune di Piacenza di 25,27%, nel comune di Rimini di 27,30% e nel comune di Bologna addirittura di 33,88%.
Senza andare troppo nel tecnico è possibile fare due semplici conti per capire perché il consumo di suolo è tanto importante quando si parla di rischio idrogeologico. Se infatti su una superficie di 1 ha cadono 10 mm di pioggia, su quell’ettaro di suolo saranno caduti 100.000 litri di acqua (10.000 m2 x 10 litri/m²). Nel caso in cui il 30% di quella superficie sia impermeabilizzata avremo 7000 m² su cui si riversano gli stessi 100.000 litri, che è come se piovessero 142.857 litri (14,3 mm) su un ettaro non impermeabilizzato, il 43% in più. Va da sé che quando si verificano eventi piovosi multipli in cui nell’arco di 48 ore cadono ben più di 100 mm, come nel caso del maggio 2023 in Emilia-Romagna, anche il consumo di suolo gioca un ruolo importante a determinare la catastrofe, senza dimenticare la responsabilità degli effetti del riscaldamento globale e di una gestione miope dei corsi d’acqua a cui è stato tolto lo spazio necessario per sfogare i fenomeni di piena.
Ma cos’è che consuma suolo?
A questo punto sorge spontanea la domanda su quali siano le ragioni per il consumo di suolo, e per poter comprendere meglio la situazione abbiamo realizzato una breve analisi tramite GIS lavorando sui i dati di uso del suolo pubblicati dalla regione Emilia-Romagna. Abbiamo considerato, vista la disponibilità di dati, le variazioni di uso del suolo disponibili per il periodo compreso tra il 2003 e il 2020, tralasciando quelle precedenti. Questa scelta di concentrarci solo su questo periodo più recente è stata motivata dal fatto che la seconda metà del XX secolo, come sappiamo, hanno visto dei cambiamenti ancora più radicali, con l’espansione sia delle città a causa del boom economico e di quello demografico, sia delle superfici forestali, a causa dello spopolamento delle montagne e dell’abbandono dei campi. Questi trend tuttora non si sono arrestati, ma persistono in forma più attenuata rispetto al periodo 1950-2000.
Oggi il trainante principale dei cambiamenti di uso del suolo, secondo la nostra analisi GIS, non è solo l’emigrazione dalle zone rurali verso le città: a determinare le mutazioni più incisive sono le nuove esigenze tecnologiche e gestionali, le necessità di grandi spazi di stoccaggio per le merci e di infrastrutture sempre più capillari. Nelle figure 3 e 4 vi è il raffronto di un’area della pianura bolognese nel 2003 (Figura 3) e nel 2020 (Figura 4) interessata dalla costruzione di infrastrutture logistiche strategiche, con l’evidente consumo di suolo correlato.
Considerando tutto il territorio della regione Emilia-Romagna, nel periodo 2003-2020, la cementificazione ha mostrato una crescita costante e significativa. Le aree urbanizzate, che includono residenze, infrastrutture commerciali e industriali e tutto ciò che viene classificato dalla Corine Land Cover Classification (CLC) con il codice 1, ha subito un incremento complessivo del 10,4 % (+25.984,2 ha).
Gli incrementi più significativi si sono registrati in alcune classi specifiche quali:
- Impianti di smistamento merci (+126,4 %)
- Discariche e depositi di cave, miniere e industrie (+69,6 %)
- Reti per la distribuzione e produzione di energia (+44,9 %)
- Reti ferroviarie (+25,7 %)
Una luce in fondo al tunnel
Vi sono anche dei segnali che fanno ben sperare: alla fine del 2023, a cinque anni dall’entrata in vigore della legge regionale n. 24/2017, “Disciplina sulla tutela e l’uso del territorio”, la regione Emilia-Romagna ha deciso di tagliare oltre 15.274 ha di consumo di suolo sui 21.922 previsti nel Piano regolatore generale (Prg) e nei Piani strutturali comunali (Psc) previgenti, decaduti alla fine del 2022: il 70% in meno. Sicuramente un segnale positivo dal mondo della politica, anche se sarà necessario imparare a prevenire queste tragedie con una corretta pianificazione del territorio, anziché rincorrerle. Da parte nostra, come AUSF Bologna, continueremo a confrontarci e aggiornarci sull’argomento, certi che solo un serio impegno professionale possa consentirci di far fronte alle grandi difficoltà con le quali dovremo misurarci.
Questo articolo è pubblicato nell’ambito del protocollo di intesa firmato da AUSF Italia e Compagnia delle Foreste. Per scoprire di più sulla storia dell’Associazione Universitaria degli Studenti Forestali, sul nostro sito è disponibile un articolo firmato da Solaria Anzilotti; oppure è possibile visitare la pagina Facebook, il profilo Instagram o scrivere una mail a
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