COP27 e foreste, intervista a Ferdinando Cotugno

di Luigi Torreggiani e Andrea Barzagli
Da pochi giorni si è conclusa la ventisettesima Conferenza delle Parti sul Clima promossa dalle Nazioni Unite, la COP27, che si è svolta a Sharm el Sheik in Egitto. Una COP molto controversa, sia per i risultati ottenuti che per le numerose problematiche sociali e ambientali legate al paese ospitante.
Per avere un breve resoconto su questa conferenza così importante per il futuro delle politiche climatiche globali e che, ovviamente, impattano anche su foreste e settore forestale, abbiamo fatto alcune domande a Ferdinando Cotugno, giornalista co-autore e co-conduttore anche del nostro podcast Ecotoni, che era presente alla COP27 e che l’ha raccontata giorno dopo giorno sul quotidiano Domani e sulla newsletter Areale.
L’intervista integrale è qui disponibile in formato podcast. Sotto invece trovate un estratto scritto delle sue risposte.
Com'è andata la COP27? Cosa abbiamo portato a casa di positivo e cosa di negativo? Qual è il bilancio finale, dal tuo punto di vista?
È molto complesso fare un bilancio finale, perché le COP sono eventi complessi dove tutto il lungo negoziato delle due settimane si aggrega in una decisione finale fatta di tanti strati, difficili da unire in una sola narrativa. Possiamo però sintetizzare i risultati con due riflessioni principali.
La prima, positiva, è che alla COP27 abbiamo assistito alla vittoria dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi vulnerabili, che hanno imposto una narrativa molto chiara: nel 1992, quando è stata creata la Convenzione quadro dell'ONU contro i cambiamenti climatici, questi erano un problema futuro da prevenire, mentre oggi sono una crisi presente da navigare. Il principale risultato di questo cambio di narrativa è stata la creazione del fondo “danni e perdite” (Loss and Damage), che è il risultato più visibile è l'unico definibile come “storico” di questa COP27. Sostanzialmente, si è deciso di creare un fondo per aiutare i Paesi in via di sviluppo e i Paesi più vulnerabili - che spesso sono anche quelli che non hanno causato la crisi climatica - per risarcire i danni che vengono causati da eventi estremi o anche da fenomeni ad andamento lento come la desertificazione o l'innalzamento del livello del mare. Questo è indubbiamente un risultato importante, anche se è solo l'inizio di un percorso, perché il fondo è stato creato e l'idea è che diventi operativo dal 2024, ma ora andranno prese decisioni non da poco: quali saranno i Paesi donatori? Chi avrà diritto a ricevere questi fondi? Come verranno trovati questi soldi? Tutto è ancora da definire.
Il principale risultato è stata la creazione del fondo “danni e perdite” (Loss and Damage), l'unico definibile come “storico” di questa COP27.
La seconda riflessione, purtroppo negativa, è che a fronte di questo risultato storico, quella che è mancata in Egitto è la visione del futuro. Sul tema della mitigazione, infatti, la COP27 si può definire come un anno perso, perché è stato confermato l'obiettivo di contenere l'aumento delle temperature a 1.5 gradi, ma non sono stati messi in campo strumenti concreti per arrivare a questo risultato. Non ci sono novità sulla riduzione di tutti i combustibili fossili e non si è deciso, come molti Paesi chiedevano, di raggiungere un picco nell’uso dei combustibili fossili al 2015. Diciamo che in Egitto è stata unicamente difesa la “trincea” definita alla COP26 di Glasgow, quindi la decisione di ridurre il carbone, ma sugli altri combustibili fossili non sono stati fatti passi avanti: troppo poco in un processo troppo lento per l'urgenza del problema.
Come si è posizionata l'Italia in questa Conferenza? Abbiamo letto di un Ministro un po’ fuori luogo e di un ruolo molto marginale del nostro Paese…
Per rispondere a questa domanda occorre distinguere due differenti livelli: quello tecnico e quello politico. I tecnici italiani hanno una grandissima esperienza e sono fondamentali nel processo globale. Abbiamo un enorme accumulo di competenze nelle decine di tecnici che come Italia mandiamo alle COP sul clima, esperti che sono stimati in tutto il mondo. Il problema è che poi deve entrare in gioco la politica, perché sono i governi che alla fine prendono le decisioni.
Il Governo italiano è entrato in carica da poche settimane, è vero, però ha dimostrato di essere completamente disinteressato a quello che succedeva a Sharm el-Sheikh e questo è molto grave, perché alle COP si decide la forma futura del mondo. Ad esempio, se la questione dei risarcimenti climatici diventerà davvero operativa nel 2024, significa che nel 2025 bisognerà fare una manovra finanziaria per questo: sono decisioni importanti, che coinvolgono direttamente anche i cittadini. A fronte dell’importanza di questa Conferenza, abbiamo assistito ad un passaggio molto breve e del tutto inadeguato del Ministro Pichetto Fratin, che sostanzialmente è andato via quando il vero negoziato è cominciato. Un passaggio inadeguato non solo per la difficoltà di confrontarsi in lingua inglese, aspetto che ha suscitato molte polemiche, ma soprattutto per la non conoscenza dei temi e dei dossier presenti sui vari tavoli.
Se la questione dei risarcimenti climatici diventerà davvero operativa nel 2024, significa che nel 2025 bisognerà fare una manovra finanziaria per questo.
Quando si è cominciato davvero a discutere e a negoziare, per le sale della COP27 si potevano osservare i Ministri europei più importanti su questo tema, la Germania ad esempio ne ha addirittura mandati tre. C'erano i Ministri di ogni Paese importante ed erano direttamente seduti ai tavoli, a studiare e discutere i singoli dossier. In questo quadro l’Italia è risultata completamente assente e questo è abbastanza deludente, perché siamo un grande Paese europeo, tra l’altro direttamente colpito in modo pesante dalle conseguenze della crisi climatica. Invece, mentre l’Europa portava avanti la sua missione sulla mitigazione, quindi provava a convincere tutti gli altri Paesi a ridurre le emissioni, l’Italia si è mostrata ai margini avendo tra l’altro appena autorizzato nuove trivellazioni: non proprio una bella presentazione a livello europeo e internazionale sui temi climatici.
Lo scorso anno alla COP26 di Glasgow il tema delle foreste era stato uno dei temi caldi, uno di quegli ambiti in cui sembrava si fossero fatti grandi passi avanti, per prima cosa sulla deforestazione. Qual è il “bilancio forestale” di COP27?
È necessario innanzitutto fare un passo indietro. L’accordo annunciato nel primo giorno della COP26 a Glasgow, sottoscritto da 145 paesi con l’impegno ad azzerare la deforestazione entro il 2030, era stato accolto con entusiasmo ma a distanza di un anno, a COP27, ci è resi conto che quell'accordo era un guscio vuoto che non ha portato risultati. Era sostanzialmente un “pledge” e quando diciamo pledge intendiamo un impegno volontario, molto debole, senza sistemi di monitoraggio che permettano di verificarlo. La Forests and Climate Leaders’ Partnership (FCLP) promossa dal Regno Unito a COP27, nasce proprio come una “supplenza” all’accordo precedente che essenzialmente non è servito a niente. LA FCLP sembra più promettente, leggermente più vincolante, ma ha al suo interno molti meno paesi. Le foreste si stanno dimostrando uno di quei fronti in cui è facile prendere impegni ma poi è molto difficile tradurli in azioni concrete.
Allo stesso tempo però, l’arrivo di Lula a COP27 ci insegna quanto siano politicamente importanti le foreste. Il presidente eletto del Brasile è stato accolto come un “liberatore” e questo ci fa capire quanto il mondo e la società civile globale fossero giustamente in pensiero per il destino dell'amazzonia. Lula peraltro avrà un lavoro difficilissimo perché dovrà invertire in poco tempo una rotta che è estremamente complicata, ma fanno ben sperare i grossi accordi di partnership tra Brasile e paesi come Norvegia e Germania, con flussi di miliardi di dollari che erano stati sospesi con la presidenza Bolsonaro. La ripresa di queste partnership mette a disposizione del Brasile strumenti finanziari nuovi, o comunque rinnovati, per affrontare il problema della deforestazione.
Le foreste si stanno dimostrando uno di quei fronti in cui è facile prendere impegni ma poi è molto difficile tradurli in azioni concrete.
Riguardo alle foreste, a Dicembre, è in programma un appuntamento molto importante, la COP15 della Convenzione sulla Biodiversità, che si terrà a Montreal, in Canada. L’obiettivo di questa COP sarà quello di dare vita ad un accordo sulla conservazione della natura e della biodiversità (e quindi anche sulle foreste!) che sia paragonabile, per importanza e per scala, a quello preso per il clima nel 2015 a Parigi. Sarà un punto di svolta per capire quanto siamo in grado di proteggere gli ecosistemi, soprattutto tropicali, che sono poi quelli più in difficoltà e anche i più importanti dal punto di vista climatico.
Ultima nota un'idea che arriva dal G20, che si è svolto a Bali in parallelo alla COP27, quella di creare un’OPEC delle foreste tropicali, un cartello di grandi paesi forestali, sostanzialmente Brasile, Indonesia e la Repubblica Democratica del Congo, che da soli hanno più della metà delle foreste primarie che rimangono nel mondo, per portare avanti in modo compatto gli interessi e coordinare gli sforzi contro la deforestazione. Un modo per far si che le foreste tropicali abbiano più valore da protette che deforestate. Difficile al momento prevedere cosa produrrà concretamente questa iniziativa, come anche per la discussione relativa all’aggiornamento del sistema dei crediti di carbonio. In tema foreste si stanno muovendo molte cose che però spesso fanno fatica ad essere assemblate assieme.
Collegandosi anche al tuo nuovo libro “Primavera ambientale”, dedicato all’attivismo, ai movimenti dei giovani che si battono per il clima, qual’è stato il ruolo della società civile in questa COP27?
Non c'è stata nessuna grande manifestazione da 100.000 persone a Sharm el Sheikh, come invece ci fu a Glasgow nel 2021, perché sarebbe stata impossibile, illegale, in uno stato di polizia come l’Egitto, dove il dissenso è criminalizzato. Le limitazioni alla partecipazione della società civile, uno degli ingredienti più importanti delle COP, erano preoccupanti perché rischiavano di ridurre la pressione che attivisti e manifestanti riescono ad imprimere al processo, spingendo verse scelte più ambiziose.
Non si può combattere per un ambiente sano e per un clima stabile senza combattere anche per i diritti umani.
Nonostante questo COP27 è risultata fondamentale perché ha visto nascere l'alleanza fra il movimento per i diritti umani in Egitto e il movimento ambientalista globale, con quest’ultimo cha ha fatto sua la battaglia per la liberazione dei 60.000 prigionieri politici egiziani, tra cui il blogger Alaa Abd El-Fattah. Il messaggio è stato quello che non si può combattere per un ambiente sano e per un clima stabile senza combattere anche per i diritti umani, un messaggio di coraggio e coerenza. Il movimento per il clima ha dimostrato di essere la piattaforma politica per tutta una serie di rivendicazioni non legate soltanto al clima ma, più in generale, alla giustizia.
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