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Pillole forestali dal mondo #08 - Dall’equilibrio tra protezione e produzione alla rete sulla bio-sicurezza

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Pillole forestali dal mondo #08 - Dall’equilibrio tra protezione e produzione alla rete sulla bio-sicurezza

In questa edizione estiva non scriveremo di incendi boschivi...

...poiché di quelli più importanti, come l’evento da circa 17.000 ettari nell’Aude (nel sud della Francia) ne avrete sicuramente sentito parlare, non sarebbe quindi una novità, altri sono in corso o ci saranno. Non ci dimenticheremo degli incendi, ma faremo il punto in autunno.

Qui tratteremo di  gestione sostenibile in Europa con Eustafor che chiede equilibrio tra protezione e produzione nelle foreste pubbliche, mentre sempre in tema di protezione il governo Tahilandese cerca di rispondere alla perdita di foreste con innovazioni fiscali e progetti con le comunità locali. Trattando di innovazioni accenneremo alla grande sfida del progetto SUPERB nel proporre Seed4Forest uno strumento web per scegliere le specie e le mescolanze più adatte. Parleremo anche di alberi in città e della sfida di passare dalla quantità alla qualità. La produzione ci porterà in sud America con i prodotti non legnosi, poiché in Cile alla qualità della produzione di pinoli sembra siano già arrivati, al punto da mandarceli per salvare il pesto alla genovese.  Tratteremo di difesa delle piante in Nuova Zelanda dove è attiva PineNet una rete di sorveglianza sulla biosicurezza e di finanza e gestione sostenibile, prima andando in Kenya, a Nairobi, per sapere come collegare imprese forestali, strumenti finanziari e investitori privati, poi a livello globale Robert Nasi, direttore del CIFOR ICRAF, ci proporrà una rivoluzione nei finanziamenti alla biodiversità.

Benvenuti alla ottava edizione di Pillole Forestali dal Mondo, l’appuntamento mensile per esplorare insieme a noi il mondo forestale fuori dai confini dell’Italia. Conosceremo attori, progetti, buone pratiche e risultati che potranno ispirarci e fornirci elementi utili anche per la gestione di alberi e foreste nel nostro Paese.

Io sono Paolo Mori e qui in Redazione con me a selezionare e a commentare le notizie ci sono Luigi Torreggiani, Andrea Barzagli, Silvia Bruschini, Giammarco Dadà e Luca Musio.

Se potete leggere e ascoltare gratuitamente questa ottava edizione delle Pillole Forestali dal Mondo e vi piace, abbonatevi, affinché si possa fare sempre meglio questo e altri prodotti dell’ecosistema Sherwood. Intanto se non siete abbonati potete ringraziare chi lo è già e, soprattutto, PEFC Italia, che sponsorizza questa edizione e sostiene così la diffusione gratuita dell'informazione forestale.

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Ecco la versione PODCAST (la trovi anche su tutte le piattaforme come Spreaker e Spotify):

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EUSTAFOR: le foreste pubbliche e l’equilibrio tra protezione e produzione

Parliamo di un tema che ci riguarda tutti: la gestione delle foreste pubbliche in Europa. Secondo EUSTAFOR, l’organizzazione che riunisce i gestori forestali pubblici, che si occupano di oltre 55 milioni di ettari, non sono solo aree di svago: proteggono habitat e specie, producono legno in modo sostenibile, creano lavoro e mantengono vive le economie rurali. Basti pensare che, secondo Eustafor, la filiera forestale nel suo complesso genera più di mille miliardi di euro e dà lavoro a 17 milioni e mezzo di persone.

Ma c’è un rischio: destinare le foreste statali esclusivamente alla conservazione, senza attività produttive, può essere un boomerang. La gestione attiva è ciò che ha creato gran parte della biodiversità che vediamo oggi, e fermarla significherebbe indebolire il sistema.

EUSTAFOR individua tre pericoli concreti.

Primo: il collasso della gestione autofinanziata. Senza i ricavi della vendita di legno e altri prodotti, mancano i fondi per curare e proteggere i boschi, che diventano più vulnerabili, soprattutto di fronte al cambiamento climatico.

Secondo: perdite ambientali, economiche e sociali. Tagli alle risorse degli enti gestori significherebbero meno servizi ambientali, meno progetti di tutela, perdita di posti di lavoro e aggravamento dello spopolamento rurale.

Terzo: un doppio onere per i bilanci pubblici. Calano le entrate dalle foreste, aumentano i sussidi necessari e la pressione fiscale finisce per ricadere sui cittadini.

La proposta è chiara: serve un approccio equilibrato. Non protezione “a tutti i costi”, ma conservazione e produzione che lavorano insieme. Recuperare le aree degradate, basarsi su dati scientifici, garantire rappresentatività degli habitat e sostenibilità economica. Solo così, dice EUSTAFOR, possiamo mantenere vivi i boschi, le comunità che li abitano e il loro inestimabile valore per il futuro.

E qui aggiungo una riflessione personale: non è solo necessario mantenere vive le comunità che abitano le aree forestali, ma anche, e soprattutto, produrre beni e servizi per le persone non addette al settore che possono beneficiarne, nei centri abitati di fondovalle e nelle città.

Le foreste pubbliche appartengono a tutti, anche a chi beneficia dei prodotti e dei servizi creati dalla selvicoltura. Come per quelle private, dove la produzione è regolata da leggi di tutela, anche per le foreste pubbliche serve equilibrio: più attenzione alla conservazione, certo, ma anche spazio per produrre beni e servizi utili a tutta la società, così da ridurre il peso della gestione sulle casse pubbliche e l’impatto sulla crisi climatica.

 Eustafor

Seed4Forest: un nuovo strumento per scegliere le specie forestali del futuro

Il 16 maggio 2025 è stato presentato Seed4Forest, un nuovo strumento interattivo e gratuito pensato per accompagnare il ripristino forestale in Europa. Realizzato nel contesto del progetto europeo Horizon SUPERB, il tool è una piattaforma online che aiuterà a individuare le specie arboree più adatte a un territorio, combinando dati climatici attuali e proiezioni future con esigenze ecologiche di varie specie arboree. L’obiettivo è favorire rimboschimenti e sistemi agroforestali progettati in chiave climate-smart.

Il funzionamento è semplice: si possono selezionare le specie in base a idoneità climatica, produttività e resilienza, sperimentare mescolanze per aumentare la biodiversità e ricevere suggerimenti sulle fonti di seme più adatte. Lo strumento è già accessibile al pubblico, ma va usato con cautela: da qualche prova effettuata pare infatti ancora in fase di implementazione. Ce ne siamo resi conto facendo un test sull’area del comune di Viadana, nel mantovano, dove abbiamo verificato che Seed4Forest non considera specie molto diffuse nelle piantagioni, come il pioppo bianco o i cloni MSA oppure mostra la non idoneità all’intera area dell’ontano nero sin dal 1995, benché proprio da quella data sia stato utilizzato con successo in numerose piantagioni miste di arboricoltura da legno.

Seed4Forest rappresenta dunque un interessante passo avanti, ma è anche di una sfida molto complessa di omogeneizzazione di dati raccolti da soggetti diversi, in tempi differenti e con metodologie non sempre comparabili. Ci si aspetta quindi che lo strumento venga affinato con il passare del tempo, così da poter diventare un aiuto sempre più concreto per chi lo utilizzerà.

 SUPERB

Le città verdi d’Europa tra numeri e sfide reali: quantità o qualità?

Parliamo di alberi in città e ringraziamo Diego Florian, coordinatore di FSC Representative for Adria-Balkan region, per averci segnalato questo interessante contenuto del numero 343 della rivista croata Hrvatske Šume.

Vilnius, Oslo e Madrid guidano le classifiche europee del verde urbano. Vilnius è la capitale verde 2025, con il 61% di copertura e ben 226 metri quadrati di aree verdi per abitante, un record continentale. Oslo primeggia per copertura, il 72,5%, con aria tra le più pulite del pianeta grazie alle rinnovabili e alla diffusione delle auto elettriche. Madrid invece spinge sulla quantità: oltre 200.000 alberi piantati dal 2019, altri 500.000 in arrivo e un “muro verde” lungo 75 km che circonderà la città.

Sono numeri che colpiscono e mostrano una tendenza chiara: il verde urbano cresce e diventa pilastro delle politiche climatiche e della qualità della vita. Ma c’è un punto critico: la quantità non basta. In molte città europee – da Atene a Bruxelles – il verde soffre per inquinamento, siccità, tempeste e nuovi parassiti, e spesso lo spazio per espanderlo è limitato.

La vera sfida è la qualità: scegliere specie adatte, piantarle nei luoghi giusti, garantire manutenzione e potature corrette. Solo così il verde urbano potrà resistere nel tempo e affrontare le nuove pressioni del clima.

In altre parole, piantare è importante, ma curare è indispensabile. Senza qualità, la quantità rischia di trasformarsi in un’illusione.

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Ripensare l’insegnamento della selvicoltura in Canada: sfide attuali e visioni per il futuro

L’articolo “Challenges in teaching silviculture in Canada: the path forward” affronta le difficoltà e le prospettive future dell’insegnamento della selvicoltura in Canada. In un contesto di cambiamenti globali senza precedenti, si sottolinea l’urgenza di aggiornare i programmi formativi per preparare i futuri professionisti forestali a gestire ecosistemi complessi, in modo adattivo e multidisciplinare. L’articolo propone una visione educativa rinnovata che integra conoscenze fondamentali con concetti evolutivi come i servizi ecosistemici, le tecnologie geospaziali, l’incertezza e la complessità.

Cinque sfide principali vengono analizzate:

  1. calo delle iscrizioni ai corsi di selvicoltura
  2. insegnamento troppo settoriale
  3. difficoltà nell’apprendimento esperienziale
  4. gestione dell’incertezza
  5. rigidità curricolari dovute agli accreditamenti.

Come risposta, si propone l’uso di tecnologie innovative (GIS, droni, modelli di crescita), l’apprendimento attivo e sul campo, il coinvolgimento delle comunità indigene, e l’adozione di metodi pedagogici esperienziali per stimolare un apprendimento critico e interdisciplinare.

Il percorso formativo suggerito punta a sviluppare competenze tecniche, analitiche e sociali in grado di rispondere alla crescente complessità della gestione forestale moderna, formando una nuova generazione di selvicoltori in grado di progettare interventi resilienti e sostenibili

Canada

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Dal pesto ligure al Cile: il viaggio globale del pino domestico e dei suoi pinoli

Immaginate di iniziare un viaggio partendo da un mortaio, basilico fresco, olio d’oliva… e naturalmente pinoli. È così che si apre il nuovo video di InFor, l’Istituto Forestale del Cile: con la ricetta del pesto ligure, celebrando la bontà di questo ingrediente prezioso e l’interesse che suscita nel pubblico. Ma presto il racconto si allarga e ci porta lontano, verso il quadro internazionale della ricerca e della coltivazione del Pinus pinea, il pino domestico.

In nove minuti, il documentario ci guida lungo il filo che lega la tradizione gastronomica alla scienza e all’economia. Scopriamo come nel mondo si studia e si coltiva questa specie mediterranea, per poi atterrare in Cile, dove circa 5.000 ettari di nuove piantagioni sono pronti a entrare sul mercato globale.

Le voci dei protagonisti – ricercatori come Veronica Loewe Muñoz, autrice di studi pubblicati anche su Sherwood, produttori locali e commercianti – raccontano l’intera filiera: dalla selezione genetica alla gestione degli impianti, dalla raccolta alla vendita. E le prospettive sono entusiasmanti: la produzione di pinoli cilena potrebbe generare circa 40 milioni di dollari in pochi anni, portando nuove opportunità economiche alle aree rurali e posizionando il Cile tra i protagonisti di un mercato mondiale sempre più esigente.

E allora viene spontaneo chiedersi: in Italia, dove abbiamo vaste superfici di pino domestico, soprattutto lungo i litorali laziali e toscani, perché non produciamo quasi più pinoli… È un insormontabile problema di avversità biotiche a cui dobbiamo arrenderci oppure possiamo fare qualcosa?

 Pino domestico Cile

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Finanza per il restauro: imprenditori e investitori a confronto in Kenya

Il 29 e 30 maggio 2025, più di sessanta partecipanti si sono incontrati a Nairobi, la capitale del Kenya. Obiettivo: capire come finanziare gli imprenditori che ogni giorno lavorano per ripristinare i paesaggi del Paese.

L’incontro è stato co-organizzato da FAO ed E4Impact, una fondazione nata in Italia per supportare l’imprenditorialità sostenibile in Africa, nell’ambito dell’iniziativa AFR100, il grande programma panafricano che punta a restaurare cento milioni di ettari di terre degradate entro il 2030. Scopo dell’incontro è stato quello di colmare il divario tra le imprese che lavorano a stretto contatto con la natura e l’accesso ai capitali necessari per crescere.

Le start-up più giovani hanno presentato i propri progetti a banche e investitori, mentre le imprese in crescita hanno partecipato a veri e propri confronti diretti nelle “deal room”, aree riservate con istituzioni come la Family Bank, ABSA (un grande gruppo bancario panafricano) e MESPT SACCO, organizzazione che sostiene le piccole e medie imprese e le cooperative di credito.

Il secondo giorno la prospettiva si è allargata al quadro finanziario globale, con la partecipazione di attori come la World Bank, la Banca Europea per gli Investimenti, Finnfund (fondo di sviluppo finlandese che investe in progetti sostenibili), WRI/Terrafund (programma del World Resources Institute che finanzia progetti di ripristino in Africa) e altri ancora. Dal dibattito sono emersi quattro messaggi chiave:

  1. il ripristino deve connettersi a filiere capaci di generare reddito e lavoro;
  2. la finanza blended, che combina sovvenzioni e capitali privati, è fondamentale per attrarre investitori;
  3. è necessario rafforzare la capacità delle istituzioni finanziarie locali;
  4. gli incubatori si confermano ponti essenziali tra imprese e investitori.

Questa di Nairobi non è solo una notizia che ci aggiorna sull’Africa, ma anche un’esperienza che può ispirarci. Da questa iniziativa nasce infatti una riflessione personale: pensiamo alle nostre aree interne. Quanto potrebbe cambiare se le imprese che vogliono crescere avessero l’occasione di sedersi allo stesso tavolo con istituzioni, banche, soggetti privati interessati a compensare il proprio impatto ambientale, e incubatori pronti ad accompagnarle passo dopo passo fino a diventare davvero sostenibili?

Kenya

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Thailandia: foreste sotto pressione, innovazioni fiscali per proteggerle

Ci spostiamo in Thailandia, dove ci sono oltre 20 milioni di ettari di foreste a rischio. Solo nel 2021 il Paese ha perso più di 860 mila ettari di copertura forestale per far spazio soprattutto alle produzioni agricole, come palma da olio, gomma naturale e colture alimentari a cui si aggiunge circa il 2% di deforestazione dovuta all’urbanizzazione.

Per reagire, il governo ha scelto una strada interessante: unire ripristino forestale, partecipazione delle comunità locali e innovazioni fiscali. Significa che le foreste vengono protette non solo con le leggi, ma anche premiando economicamente chi le conserva. Attraverso strumenti come la tassazione ambientale e i trasferimenti ecologici, i governi locali, se dimostrano di proteggere boschi ed ecosistemi, ricevono fondi extra.

In parallelo, le comunità sono coinvolte con progetti di ecoturismo e attività economiche innovative, in modo da integrare il reddito con entrate alternative e scoraggiare la deforestazione per acquisire nuove superfici agricole.

Tutto questo si inserisce nel quadro del Thailand Biodiversity Finance Plan 2023-2027, che punta a rendere la protezione della biodiversità non solo un dovere, ma anche un investimento concreto.

E qui la riflessione, che, come in precedenza, vi propongo solo come stimolo alla formazione di una vostra idea su questo tema: ancora una volta scopriamo che oltre il 98% della deforestazione è legata alla fame di nuovi terreni agricoli. Se vogliamo davvero fermare la deforestazione, dobbiamo guardare al nostro modello di consumo, al delicato equilibrio tra ciò che scegliamo di mangiare e al controllo della crescita demografica globale, che, inevitabilmente, determina un incremento di spazi abitativi e lavorativi per le persone e produttivi e infrastrutturali per chi offre loro beni e servizi. Spazi che spesso non sono sottratti all’agricoltura, ai deserti o alle superfici rocciose, ma alle foreste.

 

Tailandia

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Nuova Zelanda: una rete di competenze per la biosicurezza delle piantagioni di pino

Concludiamo il nostro viaggio tra i gestori forestali del pianeta in Nuova Zelanda dove segnalo l’esistenza di PineNet è una rete creata per rafforzare la biosicurezza delle foreste.

In pratica PineNet nasce con un obiettivo chiaro: avere un sistema di contatti e competenze pronti a intervenire nel caso di emergenze legate a parassiti o malattie forestali.

La rete si appoggia ai Wood Council presenti nelle varie regioni, e dove questi non ci sono, entra in gioco la FOA, la Forest Owners Association, cioè l’associazione dei proprietari forestali della Nuova Zelanda, che coinvolge anche le principali aziende del settore.

Gli obiettivi sono tre:

  • avere una rete di persone e risorse subito attivabili in caso di emergenza,
  • mantenere canali di comunicazione costanti per diffondere aggiornamenti e materiali di sensibilizzazione,
  • contare su personale formato — anche solo in maniera informale — capace di riconoscere sintomi anomali o organismi sospetti e segnalarli tempestivamente.

In sostanza, PineNet e FOA rappresentano una sorta di sistema immunitario della foresta neozelandese: una rete di sorveglianza e intervento rapido per difendere il patrimonio boschivo nazionale da rischi bio-sanitari sempre più concreti. Nel sito web si trovano numerose linee guida e strumenti tecnico-informativi utili al contrasto alle principali avversità

E allora, perché non immaginare qualcosa di simile anche qui in Italia? Una rete di proprietari forestali, arboricoltori, patologi ed esperti che lavori come “sentinella” del territorio. Un sistema capace di connettere chi gestisce le foreste con chi può supportarle dal punto di vista tecnico e scientifico. Non sarebbe solo un presidio contro i rischi, ma anche un modo per rafforzare il legame tra ricerca, gestione e società. Non abbiamo una rete di proprietari privati? Iniziamo almeno da quelli pubblici associati ad ANARF!

Nuova Zelanda

Fonte: Forest Education Foundation

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Riconvertire i sussidi dannosi per il finanziamento della biodiversità

Concludiamo con una riflessione pubblicata sul sito Forest news da Robert Nasi, direttore di CIFOR-ICRAF, l’ente di ricerca internazionale con sede in Indonesia.

Secondo Nasi, Oggi si stima che oltre un milione di specie vegetali e animali siano sull’orlo dell’estinzione. Si stima pure che la rete di vita che sostiene il nostro pianeta si stia sgretolando a una velocità mai vista: da 100 a 1.000 volte più rapida dei ritmi naturali. Qui mi intrometto nel ragionamento di Nasi considerando che Al di là dell’approssimazione di queste cifre e del fatto che il mondo della ricerca ha imparato ad esagerare per stimolare l’attenzione della politica molto “distratta”, il fenomeno c’è ed è preoccupante.

Continuo con la sintesi del lungo articolo di Nasi in cui si rinforza il concetto evidenziando che Dall’Amazzonia al Bacino del Congo, fino al Sud-est asiatico, stiamo perdendo ecosistemi vitali per colpa di attività umane insostenibili, riprende Nasi.

Eppure, almeno in teoria, un impegno globale c’è già. Nel 2022, i governi del mondo hanno firmato il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, promettendo di proteggere il 30% delle terre e dei mari e di ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030. Un bello slogan, ma senza soldi, anche le promesse più nobili restano vuote. Il divario di finanziamento è enorme: 700 miliardi di dollari l’anno.

E qui arriva la parte sorprendente. Secondo Robert Nasi, direttore del CIFOR-ICRAF (organizzazione internazionale di ricerca con sede in Indonesia e Kenya), i soldi, in realtà, li abbiamo già. Solo che li stiamo spendendo per alimentare la crisi che vogliamo fermare. Nasi si riferisce a incentivi che ogni anno, per oltre 2600 miliardi di dollari, in pratica l’intero Prodotto Interno Lordo dell’Italia)  finanziano pratiche agricole, pesca e combustibili fossili che distruggono la Natura.

Nel suo editoriale del giungo 2025 Nasi sostiene che se solo una parte di queste risorse fosse usata per proteggere le foreste, restaurare terreni degradati, alimentare pratiche agricole sostenibili, avremmo il più grande piano di salvataggio per la biodiversità mai visto. Non servono miracoli, serve una scelta politica: fermare il flusso di denaro verso ciò che ci danneggia e investirlo in ciò che ci fa vivere.

E qui la mia riflessione personale: si può essere d’accordo con quanto propone Robert Nasi, ma dobbiamo essere consapevoli che questo passaggio non sarebbe indolore e troverebbe migliaia di fortissimi oppositori, di grande peso politico. Milioni di posti di lavoro dovrebbero essere riconvertiti, e ci troveremo a dover garantire bisogni primari come cibo, energia e trasporti a quasi 9 miliardi di persone entro il prossimo decennio. Quella che Nasi propone è una “conversione” complessa, e, realisticamente, lenta da attuare. Ma il momento di agire è adesso. Perché la vera domanda non è se possiamo permettercelo… è se possiamo permetterci di non farlo.

vista della foresta pluviale fertile verde costa rica

Per questa edizione di Pillole Forestali dal Mondo è tutto!

Vi ricordo che oltre a questa rubrica Sherwood propone anche le Pillole Forestali dall'Italia realizzate da Luigi Torreggiani, che da settembre saranno a cadenza mensile.
Come le Pillole Forestali dal Mondo anche quelle dell'Italia sono gratuite e si possono sia leggere sul sito web di Sherwood che ascoltare in versione podcast.

Infine vi rammento che anche voi potete contribuire a questa rubrica inviando notizie forestali dal Mondo all'indirizzo  .

 

Alla prossima edizione!

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