di Paolo Mori
La Regione Toscana ha approvato la l.r. 20 agosto 2025, n. 49, che modifica la l.r. 21 marzo 2000, n. 39 (Legge forestale della Toscana), la l.r. 19 marzo 2015, n. 30 (Norme per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturalistico-ambientale regionale) e la l.r. 11 agosto 1997, n. 65 (Istituzione dell’Ente per la gestione del Parco Regionale delle Alpi Apuane). Tale aggiornamento si è reso necessario non solo per esigenze di adattamento alle condizioni ambientali, sociali ed economiche che sono gradualmente mutante, ma anche per aggiornare la legge forestale toscana alle indicazioni del Testo Unico in materia di Foreste e filiere forestali, conosciuto anche come TUFF (D.lgs 34/2018) e alla Strategia Forestale Nazionale del 2022.
L’aggiornamento della legge forestale toscana si inserisce in un processo di revisione periodica della normativa, necessario per adattare le regole alle esigenze mutevoli del territorio e agli obiettivi di una gestione forestale sostenibile. Quelli descritti in questo contributo sono i principali aggiornamenti, ma ogni articolo meriterebbe una riflessione approfondita, sia per gli elementi di novità sia per le prospettive che determina ciò che è cambiato.
Uno degli elementi di maggiore rilievo è l’attenzione alla professionalità degli operatori: l’introduzione della formazione e dell’aggiornamento obbligatori rappresenta una svolta culturale e organizzativa, che consentirà di innalzare progressivamente gli standard di sicurezza del lavoro forestale, così come sta avvenendo da oltre 10 anni in Piemonte.
A ciò si affianca la scelta di abbassare la soglia oltre la quale è obbligatorio che il proprietario faccia ricorso a un’impresa boschiva qualificata (iscritta all’albo), portandola da 1 ettaro a 3.000 m². Si tratta di un adeguamento che elimina la situazione di “limbo” che in precedenza consentiva a chiunque di poter intervenire in bosco tra i 1.000 e i 10.000 m², garantendo che anche gli interventi di dimensione intermedia siano così affidati a soggetti dotati di competenze conosciute. Inoltre dovrebbe abbassare notevolmente il numero di imprese non conosciute e non formate che intervengono in bosco.
Uno dei cambiamenti che ha destato una certa perplessità riguarda invece il taglio uso famiglia, che ha visto crescere il proprio limite da 1.000 a 3.000 m² annui. La prima impressione, se confrontato con l’imposizione di fare ricorso ad un’impresa iscritta all’albo anche per superfici inferiori a 1 ettaro, è che sia stata una scelta di compromesso. Non chiediamo a chi deve fare un taglio nel proprio bosco per uso interno di rivolgersi ad una ditta iscritta all’albo fino a 3000 metri quadrati, ma poi sopra tale soglia può intervenire solo un’impresa conosciuta e iscritta all’albo. Può essere una scelta ragionevole. Certo, dal punto di vista della conoscenza del prelievo effettivo, sarà un po’ più estesa la superficie di cui non si avrà traccia degli interventi effettuati, del tasso di prelievo e di quando siano stati fatti. Se questo è un elemento di debolezza, che in una prossima revisione della legge potrebbe essere superato introducendo l’obbligo di una comunicazione semplice via web attraverso un portale regionale accessibile ai cittadini (che per adesso non c’è) simile a quello della Lombardia, va anche detto che il limite di 3000 metri quadrati per i tagli senza comunicazione in Italia non è da considerare elevato.
L’incremento da 1000 a 3000 metri quadrati mantiene comunque il limite su un livello di prudenza, collocandolo in una fascia medio-bassa rispetto a diverse altre Regioni. Secondo l’“argomento commentato 4.7” del Rapporto sullo stato delle Foreste in Italia (RaF Italia 2017–2018), la Campania, ad esempio, consente interventi senza dichiarazione su superfici inferiori ai 2 ettari, la Liguria non prevede soglie minime, mentre nella Provincia Autonoma di Trento è possibile procedere senza dichiarazione anche in fustaia fino a un prelievo di 30 m³ o a una superficie di 3.000 m².
Sarebbe auspicabile, in futuro, tendere a una maggiore omogeneizzazione di questo parametro a scala nazionale o almeno a un avvicinamento dei valori massimi di superficie o di volume prelevabile. Tuttavia va anche considerata la forte variabilità delle caratteristiche dei boschi in termini di produttività, dell’ampiezza dei nuclei familiari, delle abitudini culturali e delle differenze climatiche tra Regioni. Quindi non pare affatto semplice giungere a un’uniformità effettiva, ma potrebbe esserci una forbice di valori minimo e massimo più stretta.
Un’altra novità significativa è l’introduzione nella normativa regionale della categoria dei boschi vetusti, che in precedenza non era presente. Questo elemento testimonia l’intenzione di valorizzare anche le foreste ad alto valore ecologico, integrando le esigenze di conservazione con quelle di gestione produttiva.
Nel complesso, la revisione sembra aver cercato un bilanciamento tra la necessità di conservazione e quella di produzione, tra la protezione del suolo e l’aggiornamento delle maestranze. Sono state fatte scelte che accontenteranno e scontenteranno parzialmente tutti e che proprio per è lo specchio della complessità del settore forestale toscano e dei tanti e differenti interessi che lo influenzano.
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