di Giammarco Dadà
Come si stanno muovendo le Regioni e Province Autonome (PA) per il censimento dei boschi vetusti sul proprio territorio di competenza? Quali differenze e limiti si stanno riscontrando e quali i risultati fin ora ottenuti? Quali le opportunità e i nodi che necessitano di essere sciolti in vista della costituzione della Rete Nazionale dei Boschi Vetusti?
La 59a edizione del Corso di Cultura in Ecologia, organizzata dal Dipartimento TESAF dell’Università degli Studi di Padova grazie al patrocinio del National Biodiversity Future Center, torna sul tema, a distanza di due anni dal primo corso dedicato alla Rete Nazionale dei Boschi Vetusti (Rete), proprio per discutere di questi interrogativi con un evento intitolato “Foreste Vetuste: struttura e biodiversità 2.0”, svoltosi dal 26 al 29 agosto 2025 presso il Centro Studi per l’Ambiente Alpino a San Vito di Cadore.
L’evento è stato un momento di confronto fondamentale per presentare lo stato di avanzamento dei lavori di censimento e argomentare i diversi approcci degli Enti di ricerca incaricati dalle Regioni e PA di Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Toscana, Marche, Sardegna e Sicilia. Un confronto che potrebbe esser definito quasi “obbligatorio” dal momento che la libertà d’azione concessa necessariamente a livello normativo per l’identificazione dei boschi vetusti (Decreto Ministeriale n. 608943 del 18 novembre 2021) richiede una costante attività di networking e dialogo – come evidenziato chiaramente durante il corso dalla Dott.ssa Laura Canini (MASAF) - per la costituzione di una Rete fondata su visioni e metodologie armonizzate, condivise e funzionali. Il corso è stata l'occasione per affrontare alcuni temi di indeterminatezza relativi alla Rete e a cui dovrà essere fornita una risposta a livello ministeriale e regionale, congiuntamente con le figure che stanno operando sul territorio.
Questo contributo mira a far emergere 5 temi principali e a riportare le considerazioni scaturite durante i tre giorni di corso che ha coinvolto il MASAF, SISEF e gli Enti di ricerca convenzionati con le Regioni e PA già citate.
- Più opzioni di tutela. Durante il corso sono stati presentati alcuni casi complessi, la cui determinazione come bosco vetusto porrebbe alcune perplessità sul piano ecologico e gestionale. Si è sottolineato che in assenza dei criteri minimi richiesti per la candidatura è possibile la classificazione come Bosco Potenzialmente Vetusto mentre, se dovessero presentarsi alcune esigenze di gestione attiva non conciliabili con lo status di Bosco Vetusto, potrebbe essere attribuita la classificazione come Bosco Monumentale, qualora fossero presenti i caratteri di monumentalità richiesti dalla normativa vigente. La scelta dovrà basarsi sull’attenta valutazione delle necessità gestionali ed ecologiche del popolamento in questione, per stabilire il livello di tutela più consono.
- Identificazione e gestione. L’assenza di soglie quali-quantitative di censimento e di linee guida specifiche per la gestione dei boschi vetusti rappresenta una necessità operativa, e non tanto una mancanza della Rete, per rispondere all’elevata diversità di condizioni storiche e socio-ambientali intrinseca dei vari contesti regionali. La maggior parte delle Regioni ha scelto di adottare un approccio di censimento inclusivo, finalizzato a comprendere quanti più tipi forestali possibili nelle proprie aree biogeografiche. Ciò appare coerente anche in relazione al fatto che attualmente le superfici censite come Bosco Vetusto sono minime, corrispondenti a percentuali sotto l’1% rispetto alla superfice forestale regionale.
In merito alla gestione, è condiviso che essa coinciderà con un livello di protezione stretta mentre nei boschi definiti, almeno in una prima fase, come potenzialmente vetusti rimane un interrogativo sull’ammissibilità o meno di interventi mirati per raggiungere i criteri minimi di vetustà. Sono numerosi, infatti, i casi in cui si è registrata scarsa rinnovazione a causa del brucamento di ungulati, volumi ridotti di legno morto o non sufficiente diversificazione strutturale.
- La Rete come strumento per la Closer-to-nature forestry. Grazie all’intervento di Thomas A. Nagel dell’Università di Lubiana (Department of Forestry and Renewable Forest Resources) è stato discusso l’approccio di gestione forestale su larga scala basato sul modello Triad Forestry il quale prevede che una parte delle foreste debba essere conservata come riserva integrale, un’altra debba essere formata da piantagioni specializzate per la produzione di legno, ma che la parte maggioritaria delle stesse possa essere gestita secondo i principi “Closer-to-nature”, integrando, e conciliando, quindi produzione e conservazione. In questa ottica, la Rete svolgerebbe un ruolo importante nel fornire indicazioni per una selvicoltura Closer-to-nature su modalità di replicazione selvicolturale delle dinamiche di disturbo naturali, sui parametri quali-quantitativi minimi delle legacies per la biodiversità da rilasciare post-intervento (necromassa, isole di senescenza, gruppi di alberi, ecc.) e sulle dinamiche ecologiche degli ecosistemi forestali. Temi che rappresenteranno il fulcro delle attività di studio e ricerca nell’ambito della Rete.
- Rete di monitoraggio di lungo periodo. Tra le più importanti opportunità, a fronte anche dell’attuale cambiamento climatico, vi è quella di realizzare una rete di monitoraggio degli ecosistemi forestali di lungo periodo a cui la Rete risponderebbe in modo diretto. Attraverso un disegno nazionale e tecniche di rilievo armonizzate tra i vari Enti di ricerca, le foreste italiane si doterebbero di un sistema di monitoraggio di lungo periodo utile a tracciare e approfondire le dinamiche evolutive degli ecosistemi forestali. In questo caso, sarà indispensabile fornire linee guida per realizzare un monitoraggio uniforme e a cadenza costante, da integrare con piattaforme informatiche dedicate e dando continuità alle iniziative di networking.
- Comunicazione. Un importante aspetto è emerso al momento dell’intervento di Michele Da Pozzo, Dottore Forestale e Direttore del Parco Dolomiti d’Ampezzo, che ha posto l’attenzione sul duplice effetto della valorizzazione dei singoli boschi vetusti a livello comunicativo. Se da un lato si tratta di un’attività auspicabile per diffondere conoscenza e consapevolezza di queste aree di pregio naturalistico, dall’altro si potrebbero verificare casi di over-tourism in aree già ad elevata vocazione turistica, rappresentando un potenziale boomerang in un’ottica di mantenimento di condizioni di massima naturalità del bosco. Per queste situazioni, saranno i singoli Enti gestori, Regioni e PA a dover valutare caso per caso eventuali divieti, limitazioni spazio-temporali di accesso al bosco e/o campagne mirate di sensibilizzazione.
Nonostante manchi all’appello il lavoro di censimento di alcune Regioni, si stanno progressivamente ponendo le basi affinché la Rete Nazionale dei Boschi Vetusti, che si propone obiettivi specifici in linea con la Strategia Europea per la Biodiversità al 2030 e la Strategia Forestale Nazionale, possa costituire un ottimo strumento trasversale sia a fini conservazionistici che gestionali per le foreste italiane. Tra i vantaggi già ottenuti in questa prima fase di lavoro vi è una produzione consistente di dati, ricerche e anche qualche nuova scoperta che ne confermano l’utilità scientifica e fanno emergere l’opportunità di effettuare anche ricerche di carattere interregionale, mirate su medesimi tipi forestali. Un altro aspetto importante è l'attività di network che sta avvenendo tra i vari gruppi di ricerca con momenti di formazione e condivisione tra diverse Regioni e PA, uno scambio che non sempre si verifica per iniziative su scala nazionale.
Nonostante ci si trovi ancora ai primi passi di questo lungo percorso, con il tema dell’eventuale estensione della Rete alla proprietà privata ancora da affrontare nel merito, la giusta direzione sembra ormai intrapresa. L’attuale prerogativa è quella di attivare e tenere aggiornati anche i gruppi di ricerca e le relative amministrazioni regionali che non hanno ancora avviato le attività di censimento, anche solo a partire dalla partecipazione dei prossimi appuntamenti previsti per fine settembre e ottobre. Ovviamente, a fare la differenza nel medio-lungo periodo, non saranno solo le figure coinvolte sul campo ma anche la disponibilità di piani di finanziamento adeguati che dovranno essere prontamente stanziati a livello ministeriale ma sui quali, ancora, permane l’interrogativo forse più importante.
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