Innovazione nei trattamenti selvicolturali: siamo pronti ad applicarla?
Questa è l'introduzione del DOSSIER pubblicato sul numero 267 di Sherwood | Foreste e Alberi oggi, la versione integrale è disponibile solo per gli abbonati nella versione cartacea, nella APP e sul sito, come sfogliabile. Abbonandoti non solo avrai accesso a questo e ad altri contenuti riservati ma contribuirai a sostenere tutto il lavoro della Redazione di Sherwood. Visita la sezione dedicata agli abbonamenti cliccando qui.
di Paolo Mori - Redazione di Sherwood
Negli ultimi 18 anni gli Inventari Nazionali delle Foreste e dei Crediti di carbonio (INFC 2005 e 2015) ci hanno informato sull’espansione delle superfici occupate da foreste e sul fatto che, mediamente, il volume di legno presente nei boschi italiani è aumentato. Sappiamo che tali incrementi, leggibili come un miglioramento complessivo delle potenzialità forestali, non sono gli effetti della pianificazione e della selvicoltura che abbiamo praticato, ma del progressivo, e non ancora esaurito, abbandono delle aree montane e collinari. Gli INFC ci forniscono inoltre dati sulle centinaia di migliaia di ettari a prevalenza di faggio, picea, castagno, querce e molte altre specie di cui disponiamo. Si tratta di informazioni potenzialmente preziose, se utilizzate per stabilire come ottenere, con la selvicoltura o con la scelta consapevole di non praticarla, i benefici materiali e immateriali che chiede il nostro committente: la collettività dei non addetti nel suo insieme.
In pratica però non sappiamo rispondere compiutamente al nostro committente su quasi nessuna delle categorie di boschi di cui disponiamo. Ad esempio, non esiste un documento nazionale che ci informi sulla strategia gestionale che abbiamo per i nostri 2,2 milioni di ettari di querce caducifoglie. Cosa vogliamo farne? Come vogliamo interagirci per ottenere ciò di cui abbiamo bisogno? In quali tipi di foreste a prevalenza di querce caducifoglie si può scegliere un determinato tipo di governo e di trattamento? Ci sono nuove tecniche e nuovi approcci selvicolturali per ridurre l’impatto o per ottenere nuovi beni o servizi? Dove e come possiamo applicarli? E per il faggio? Per l’abete rosso, che oggi è in così grande difficoltà per il bostrico nel nord-est, cosa vogliamo o possiamo fare attraverso la selvicoltura per prevenire problemi simili nelle altre aree in cui si trova questa specie? Ogni Regione farà a modo suo o varrà la pena cercare sinergie e coordinarsi?
Sulle scelte da fare e sulle innovazioni da apportare per rispondere al contesto in continua evoluzione ognuno può avere una propria risposta o un proprio punto di vista, ma per i tecnici pubblici e privati, per i proprietari e le imprese serve una “tattica” selvicolturale di riferimento che può attingere soluzioni anche dall’innovazione proposta dalla ricerca.
Le innovazioni in tema di gestione di foreste in questi ultimi decenni sono state frequenti ed hanno influenzato migliorandole significativamente sia la pianificazione che la meccanizzazione forestale. Sono stati proposti e mostrati anche nuovi modi fare selvicoltura, ma le innovazioni sulle modalità di trattamento del bosco e sulla scelta degli approcci selvicolturali non hanno avuto una grande diffusione, nonostante che dal dopoguerra ad oggi, i cambiamenti socio-economici prima e quelli climatici adesso, abbiano determinato una notevole crescita della complessità del sistema, mettendo in crisi le tradizionali forme di gestione. Le proposte di nuove tecniche e approcci selvicolturali, benché spesso supportati da attività dimostrative, formative e divulgative, raramente hanno avuto una reale diffusione fuori dallo specifico ambito di applicazione... perché? Quali strategie possiamo adottare per superare questo grave limite?
In questo Dossier proponiamo 8 schede sintetiche, relative ad altrettante pratiche selvicolturali, che possono essere definite “innovative” e che sono state applicate in contesti forestali italiani. Le riproponiamo non solo per rinfrescare la memoria dei nostri lettori, ma anche per sviluppare una riflessione intorno a questo tema che è cruciale per il benessere nostro e dei nostri concittadini. Il Dossier termina con un articolo in cui, con il supporto di osservazioni e considerazioni di esperti del settore della ricerca, delle istituzioni e della libera professione, si evidenziano i limiti per i quali la selvicoltura ”innovativa” in Italia incontra più spesso difficoltà che applicazione. Su quei limiti, che in una forma o nell’altra ci coinvolgono tutti, possiamo lavorare per superarli insieme.
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