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Fuori foresta

Crisi climatica: perché NON pianteremo 100 miliardi di alberi in breve tempo

piantare alberi contro la crisi climatica
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di Paolo Mori

La realizzazione di piantagioni arboree climaticamente efficienti non consente di prendere scorciatoie operative. Prima di poter affermare che piantare alberi per mitigare il clima è facile e non presenta alcuna difficoltà tecnica è necessario valutare tutte le variabili più influenti.

Su un articolo di La Repubblica del 28 marzo 2024 Stefano Mancuso, ricercatore dell’Università degli Studi di Firenze e direttore dell’Istituto di Neurobiologia Vegetale, ha proposto un obiettivo per contrastare la crisi climatica: piantare 100 miliardi di alberi nelle aree periurbane del Mondo.

Non c’è dubbio che Mancuso sia un divulgatore efficace. Ha scritto libri di successo, partecipa a trasmissioni televisive main stream, pubblica su stampa di livello nazionale e partecipa a conferenze e incontri pubblici molto affollati di spettatori ammirati.

Tutto questo fa di Stefano Mancuso la star dei divulgatori sui temi degli alberi. Un influencer multimediale con grande seguito. Una persona di grande creatività, con un prestigioso ruolo istituzionale, spiccate capacità di percepire cosa dire per ottenere un determinato risultato e con l’abilità di dirlo alle persone giuste nel momento più adatto.

Chi si trova nelle condizioni di Mancuso ha un grande potere nel condizionare le scelte dei decisori politici e delle persone. A ciò, sul piano etico, corrisponde una grande responsabilità rispetto alle conclusioni a cui si porta il pubblico.

A un grande potere nella comunicazione corrisponde, sul piano etico, una grande responsabilità rispetto alle conclusioni a cui si porta il pubblico.

Certo, per divulgare efficacemente è necessario essere brevi ed è indispensabile semplificare il messaggio. L’attenzione dei non addetti ai lavori è breve. Questo è chiaro a ogni divulgatore. Tuttavia è necessario che ogni messaggio, per quanto semplificato, abbia una solida base scientifica e che ogni conclusione a cui si giunge prenda in considerazione tutte le variabili che possono influenzare in maniera significativa il risultato. Questa è una regola aurea per divulgare non solo efficacemente, ma anche in maniera corretta.

Consideriamo adesso l’articolo del 28 marzo 2024 su La Repubblica. Mancuso giunge alla conclusione che è possibile piantare 100 miliardi di alberi nelle aree periurbane del nostro Pianeta e afferma letteralmente che “ridurre le emissioni di gas clima alteranti ha profondi impatti sull’economia delle nazioni e richiederà un tempo ancora lungo oltre ad un impegno globale per ora difficile da prevedere, prima che si riescano ad ottenere risultati apprezzabili. […] riassorbire una buona percentuale della CO2 presente nell’atmosfera, al contrario, non presenta alcuna difficoltà tecnica né minaccia per le economie del pianeta. Tutt’altro: il sistema ad oggi di gran lunga più efficiente per riassorbire CO2 dall’atmosfera è, infatti, l’utilizzo degli alberi.”

Tale affermazione ha, certamente, degli elementi di solidità scientifica. Non tiene però conto di alcune importanti variabili che possono influire negativamente, e gravemente, sul successo di quanto viene proposto.

 

Piantare alberi contro la crisi climatica: le basi solide da cui partire

Gli elementi di solidità sono essenzialmente 3:

  • gli alberi sono in grado di sottrarre CO2 dall’atmosfera e immagazzinarne il carbonio nel legno;
  • al momento non esistono sistemi, alternativi agli alberi, che abbiano pari efficacia e costi di gestione altrettanto bassi;
  • ci sono nuovi dati, prodotti da una ricerca coordinata dalla “Fondazione per il futuro delle città” di cui Stefano Mancuso è direttore scientifico, pubblicati il 27 Marzo 2024 su Nature Cities. L’articolo che descrive la ricerca mostra 3 scenari distinti secondo i quali, in un raggio di 10 km dai grandi centri urbani del Mondo, si è verificata la presenza di superfici di terreno, potenzialmente impiegabili per la piantagione di alberi, pari rispettivamente a 322, 200 o 141 M ha.

I 3 differenti scenari rappresentano altrettanti livelli di “impegno” nel piantare alberi. Quello più prudenziale esclude 181 M ha, sia perché appartenenti ad aree in cui la potenziale copertura vegetale senza attività umane non è di tipo forestale, sia perché in futuro potrebbero diventare inadatti alle foreste a causa della crisi climatica. Rimangono così 141 M ha in cui potenzialmente potrebbero essere messe a dimora piante. Fino a qui si tratta di dati che aggiungono informazioni utili per fare considerazioni di carattere generale. Qui però ci si dovrebbe fermare.

 

Non si possono piantare alberi senza considerare la fase operativa

Da questo punto in avanti iniziano le importanti variabili che potrebbero influire negativamente e che Mancuso, nel suo articolo su La Repubblica non considera. Il passaggio da terreno potenzialmente utilizzabile per piantare alberi a terreno con gli alberi messi a dimora e in grado di crescere con vigore (e sottrarre CO2 dall’atmosfera con la rapidità auspicata), dipende infatti anche da altri importanti fattori che non consentono di arrivare alla conclusione che l’obiettivo proposto “non presenta alcuna difficoltà tecnica”. Piantare 100 miliardi di alberi è sicuramente più facile che piantarne 1.000 miliardi, come veniva auspicato, su input di Mancuso, a conclusione del G20 del 2021 in Italia, tuttavia non è così semplice e indolore come si scrive nell’articolo citato.

Siamo sicuri che sarà così facile e indolore, anche in paesi come la Cina, rinunciare a parte della produzione agricola o ai pascoli in favore degli alberi?

Ad esempio l’impatto “sull’economia delle nazioni” pare che sia solo conseguenza della riduzione delle emissioni. Eppure piantare 100 miliardi di alberi significherebbe non solo investire migliaia di miliardi di dollari, ma anche scegliere di rinunciare ad alcune decine di milioni di ettari di terreni agricoli attualmente in produzione. Significherebbe riconvertire l’attività lavorativa di centinaia di migliaia di persone che non potrebbero più trarre annualmente sostentamento dalla lavorazione del proprio terreno. Richiederebbe di fare questa scelta in un momento in cui la popolazione del Pianeta cresce al ritmo di oltre 70 milioni di persone all’anno, che hanno diritto di mangiare, vestirsi, lavorare e spostarsi, “consumando” terreno. Siamo sicuri che sarà così facile e indolore, anche in paesi come la Cina, rinunciare a parte della produzione agricola in favore degli alberi? E se anche volessimo risparmiare tutte le aree agricole, come potremo allevare animale bradi se faremo scomparire le aree a pascolo che rappresentano circa il 70% della restante parte potenzialmente utilizzabile? Faremo solo allevamento in stalla? Quanto costerà sul piano ambientale? Che soluzioni proporremo per la vita degli allevatori?

 

Mitigare il clima richiede tempo anche piantando alberi

Mancuso sostiene poi che la riduzione delle emissioni “richiederà un tempo ancora lungo oltre ad un impegno globale per ora difficile da prevedere, prima che si riescano ad ottenere risultati apprezzabili.” Anche in questo caso pare non tenere conto del fatto che produrre 100 miliardi di piantine, lavorare il terreno, metterle a dimora e somministrare le cure colturali fino al superamento dello stress da trapianto e della competizione con le alte erbe, non possa essere semplice e rapido. Inoltre tutte le attività di messa a dimora e tutte le cure colturali causano emissioni di CO2. Per 100 miliardi di alberi si tratterebbe di grandi quantità di emissioni, che gli alberi impiegherebbero diversi anni se non qualche decennio prima di giungere al punto di pareggio. Nel medio periodo ci sarebbe un vantaggio, su questo non c’è dubbio. Tuttavia anche il tempo per ottenere effettivamente i benefici climatici attesi potrebbe essere molto simile a quello necessario ad azzerare l’incremento delle emissioni (non le emissioni, l’incremento!).

Crisi climatica e alberi

Nell’articolo si sostiene che “riassorbire una buona percentuale della CO2 presente nell’atmosfera, al contrario (della riduzione delle emissioni n.d.a.), non presenta alcuna difficoltà tecnica”. Qui pare che il divulgatore Mancuso non tenga conto della grande difficoltà che le nostre città metropolitane hanno dimostrato in anni recentissimi. Si sarebbero infatti dovuti piantare non miliardi, ma “solo” 6,6 milioni di piantine con i soldi del PNRR e, meno di un anno fa, le città metropolitane hanno dovuto ridurre del 30% il loro obiettivo poiché, nonostante risorse faraoniche, non riuscivano a trovare terreni disponibili. Cosa fa pensare a Mancuso che adesso invece sarà tutto semplice? Come pensiamo che i terreni nelle aree periurbane, spesso in mano di proprietari che non aspettano altro che il piano regolatore li renda edificabili, possano essere “ceduti” per trasformarli in “boschi periurbani” vincolati per decenni se non per un tempo illimitato a rimanere bosco?

Meno di un anno fa, le città metropolitane hanno ridotto del 30% il loro obiettivo PNRR da 6,6 milioni di alberi, per mancanza di terreni disponibili. Cosa fa pensare a Mancuso che adesso invece sarà semplice piantare qualche miliardo di alberi in Italia nelle aree periurbane?

Insomma tra quanto dichiara Mancuso e la realtà c’è una distanza enorme da colmare. Non basta sapere che c’è la potenzialità del terreno su cui piantare. Devono esserci anche tutte le altre condizioni favorevoli, altrimenti si spacciano utopie per possibilità già alla portata di tutti, distraendo attenzione e risorse da obiettivi forse più modesti, ma urgenti da avviare e realmente raggiungibili. Le conclusioni a cui arriva non hanno fondamenta complete, ma solo parziali. In altre parole, è come se, avendo la carrozzeria e le ruote, ma non il motore, il volante, l’impianto elettrico, il serbatorio del carburante e i sedili, affermassimo:  “Abbiamo l’auto! Adesso possiamo fare il giro del mondo che tanto desideriamo”.

 

Perché due schieramenti sulle idee proposte da Mancuso

Dopo queste considerazioni è necessario porsi una domanda: come mai molti politici, imprenditori e cittadini sensibili ai temi della crisi climatica seguono ammirati gli articoli, gli eventi e le trasmissioni televisive in cui c’è Mancuso e sono disposti a investire ingenti risorse sulle sue proposte, mentre molti addetti al settore, soprattutto suoi colleghi docenti universitari, ricercatori e tecnici di campo, lo criticano aspramente?

Tutti cercano una strategia per mitigare la crisi climatica e Mancuso ne offre una “facile facile”

La risposa alla prima parte della domanda è che i politici, gli imprenditori, i NON addetti al settore non hanno la percezione della parzialità delle basi conoscitive su cui si basa la proposta mancusiana. Inoltre tutti cercano una strategia per mitigare la crisi climatica e Mancuso ne offre una “facile facile” e, per giunta, anche autorevole, poiché proviene da un soggetto che ha un ruolo istituzionale nella ricerca. Perché non fidarsi?

La risposta alla seconda parte della domanda dipende, all’opposto, dal fatto che molti altri docenti, ricercatori e tecnici, pubblici e privati, hanno ben presenti le variabili non considerate da Mancuso e ne conoscono o ne percepiscono la complessità operativa e l’importanza determinante all’atto pratico di trasformare le idee in fatti. Insomma non considerano sbagliata la proposta in generale, ma la collegano alle loro esperienze e ritengono che senza basi conoscitive non basta dichiarare che ora “non c’è che iniziare a piantare gli alberi”, come è scritto nell’articolo su La Repubblica.

 

Incentivare la Gestione Forestale per mitigare la crisi climatica

Dal lato di chi si occupa a tutti i livelli di piantagione e gestione degli alberi ci sono però anche altre motivazioni. Questi concordano sul fatto che la piantagione di alberi sia uno dei modi più efficaci per sottrarre CO2 dall’atmosfera, ma non pensano sia l’unico. Ritengono però che la mitigazione della crisi climatica attraverso gli alberi possa portare a risultati altrettanto efficaci con una gestione “climaticamente intelligente” dei 3.000 miliardi di alberi che sono già presenti su questo Pianeta. La potente comunicazione di Mancuso, proprio perché non ha tutte le basi conoscitive per trasformare l’idea in fatti, è come se prendesse delle “scorciatoie non conosciute per arrivare primo al traguardo” e far orientare le risorse finanziarie solo sulla piantagione di alberi. Una maggior disponibilità politica e finanziaria sulla protezione delle foreste dagli incendi boschivi di grandi dimensioni, ad esempio, farebbe evitare ogni anno l’inutile emissione in atmosfera di miliardi di tonnellate di CO2 e la perdita di qualche miliardo di alberi, già adulti e capaci di fissare carbonio nel loro legno. Lo stesso vale per la protezione dei boschi da gravi infestazioni di patogeni, come ad esempio quella di bostrico che in questi anni colpisce l’abete rosso in tutta Europa. Un investimento sulla selvicoltura mirata a produrre legname di pregio permetterebbe di applicare l’approccio a cascata meglio di quanto sia possibile oggi e consentirebbe di stoccare carbonio in manufatti di lunga durata, dando lavoro e servizi, come farebbe la produzione e la piantagione di alberi. Le differenze sono molte, ma una prevale sulle altre: le foreste le abbiamo già, mentre le piantagioni dobbiamo ancora realizzarle, con tutte le incertezze conoscitive di cui sopra. Chiaramente c’è competizione per le risorse finanziarie e per l’attenzione della politica, come in ogni settore della ricerca e dell’imprenditoria.  Una parte consistente del mondo scientifico e tecnico è irritata poiché la strategia di Mancuso, “dimenticando” alcuni fattori determinati per il successo della sua proposta, sembra puntare a vincere la competizione attraverso “scorciatoie” che non rientrano nella leale competizione per le risorse.

Le differenze sono molte, ma una prevale sulle altre: le foreste le abbiamo già, mentre le piantagioni dobbiamo ancora realizzarle, con tutte le incertezze conoscitive di cui sopra.

Mancuso non è l’unico a predicare la piantagione di miliardi di alberi, sia chiaro. Un articolo di Bastin et al. (2019)[1] sulla disponibilità di aree libere per la piantagione di alberi, molto criticato dal mondo scientifico internazionale, ha scatenato una corsa alla messa a dimora delle piante. L’Unione Europea e molti grandi stati hanno importanti programmi di piantagione di alberi. Basti pensare ai 3 miliardi che sono obiettivo del Green Deal europeo. In questa “corsa” a piantare alberi non dobbiamo però dimenticarci il risultato molto inferiore alle attese del progetto di mettere a dimora non miliardi, ma 6,6 milioni di piante nelle città metropolitane italiane di cui si è detto poco sopra. La riduzione del 30% dell’obiettivo iniziale per “mancanza di terreni disponibili” e la forte mortalità registrata in molte piantagioni a causa delle alte temperature e delle scarse piogge estive (in alcuni casi si è arrivati oltre al 70% di mortalità), dovrebbe insegnarci che non è né così facile, né così rapido, né così a basso costo come si immagina non avendo esperienze di campo.
Infine non dimentichiamo che studi riportati anche dall’IPCC, mostrano che anche piantando in maniera estesa dove possibile l’effetto di sottrazione di CO2 dall’atmosfera si collocherebbe tra il 3 e l’8% del totale[2]. E’ chiaro che piantare è utile anche per tanti altri servizi ecosistemici che possiamo avere, ma non è l’unico modo o, forse, il più efficace per ottenere il beneficio della mitigazione del clima attraverso alberi e foreste.

 

Le scorciatoie possono far perdere la strada

Pianteremo alberi nei prossimi anni, su questo non c’è dubbio. Avremo dei benefici nel medio periodo da tale attività, anche questo è certo ed è quindi utile organizzarsi per farlo al meglio. Tuttavia non ne pianteremo né 1.000, né 100 miliardi, ma molti molti meno. La popolazione umana sta crescendo ancora a ritmi alti e avrà bisogno più di oggi di terreno per produrre cibo, per abitare, per lavorare, per spostarsi. Abbiamo però 3.000 miliardi di alberi che potremmo gestire meglio, in modo da renderli climaticamente più efficaci. Non possiamo dimenticarcene orientando lo sguardo solo verso le nuove piantagioni, soprattutto se ci mancano informazioni operative importanti. La realtà è complessa e richiede soluzioni complesse. Le scorciatoie se non si conosce bene il territorio spesso non conducono alla meta, ma possono farci perdere la strada.

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