Addio al “doppio vincolo” paesaggistico sugli interventi selvicolturali
Approvato l'emendamento che toglie il doppio vincolo ai boschi che ricadono in aree di interesse...
Di Claudio Ciardi, Dottore Forestale
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Dopo l’editoriale “Paesaggio e gestione forestale: qualcosa può cambiare” del Direttore Paolo Mori apparso sul numero 262 della Rivista “Sherwood – Foreste ed alberi Oggi” ed il commento di Luigi Torregiani “Paesaggio e Foreste: la Corte costituzionale boccia la ‘leggina’ toscana” apparso il 30 Novembre u.s., mi sento in dovere di esprimere un mio commento in merito. Anzitutto inizio questo mio scritto ricordando quanto ho già scritto sull’argomento nel mio commento “La gestione delle pinete litoranee”, comparso nel n. 252 di Sherwood nel mese di Maggio/Giugno 2021. Non ho cambiato idea per le pinete di Pino domestico della costa toscana. A forza di proteggere l’esistente ci ritroveremo come con il fortunale del 2015 in Versilia, con tutti i pini a terra e più niente da proteggere, al netto di morti o infortuni gravi, in tal caso saranno le Procure della Repubblica a muoversi per contestare il reato penale. La foto in copertina del n. 262 di Sherwood mi ricorda molto da vicino le foto fatte nel 2015 dal mio carissimo amico e collega Francesco Lunardini di Lucca, Agronomo Paesaggista scomparso prematuramente due anni fa.
Ritengo invece essere il caso del “taglio colturale” per i boschi, soprattutto cedui, in tutti quei terreni vincolati ex art. 136 del Codice del Paesaggio.
Anche il Presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Firenze, Dr. For. Alessandro Trivisonno, aveva provato a “smuovere le acque” con una nota agli Enti territoriali in data 29/09/2022, ma i risultati sono stati scarsi. Non per mancanza di volontà, ma perché per i funzionari della Pubblica Amministrazione, il rispetto della legge è un obbligo ed il c.d. “codice del paesaggio” è una legge dello Stato vincolante, non è possibile ignorarla.
Con Sentenza n. 239 del 29/11/2022 la Corte costituzionale ha messo di fatto una pietra tombale sull’argomento, dichiarando incostituzionale la Legge regionale n. 52/2021, che superava la richiesta di Autorizzazione Paesaggistica anche per i boschi ricadenti nel sopra riportato art. 136 del Codice del Paesaggio, che, ricordiamo, è un vincolo specifico messo con apposito Decreto Ministeriale su un determinato bene immobile.
È bene ricordare che la riforma del Titolo V della Costituzione, oggetto di referendum confermativo, ha suddiviso la legislazione in materie di competenza esclusiva dello Stato, in materie di competenza esclusiva delle Regioni e Province Autonome e in materie oggetto di legislazione concorrente. La tutela del paesaggio è, costituzionalmente, materia di competenza esclusiva dello Stato e non è, né può essere oggetto di legislazione concorrente. La sentenza della Suprema Corte era da ritenersi scontata.
Ma scontata non vuol dire assolutamente ovvia. Dal momento che è l’uomo che ha bisogno del bosco e non viceversa vediamo di mettere un po’ d’ordine fra normativa e tecnica selvicolturale.
È indubbio che il taglio raso per superfici massime consentite dalle varie leggi regionali è perfettamente legittimo ed è una tecnica selvicolturale consolidata, così come il taglio del ceduo con rilascio o meno di matricine lo è. Il punto è che tali pratiche selvicolturali appaiono, ad occhi profani o a occhi particolarmente sensibili, altamente impattanti e che, quindi, siano oggetto di critiche feroci.
D’altronde nell’arco della mia esperienza professionale, mi è capitato di imbattermi durante una Commissione Comunale per il paesaggio della quale facevo parte come componente, in una pratica di richiesta espianto e reimpianto di un vigneto DOCG, da vagliare su richiesta della competente Sovrintendenza in una zona vincolata ex art. 136. Appare intuitivo che l’espianto ed il reimpianto di un vigneto sono molto meno impattanti sull’aspetto paesaggistico di un taglio raso o di ceduo matricinato, in quanto l’aspetto originario del paesaggio si ripristina in tre/quattro anni e non in venti almeno come nel caso di un taglio di un bosco ceduo. Non possiamo non tener conto di questo fatto, che a noi tecnici forestali piaccia o meno.
Ricordo come nel recente numero 261 di Sherwood si inquadri la superficie dei boschi cedui in Italia. Il Professor Carlo Urbinati sostiene che i cedui occupano il 42,3% della superficie forestale (19% semplici, 69% matricinati, 12% composti).
Il taglio del ceduo è, diciamolo francamente, una forma molto semplificata di selvicoltura, il cui unico scopo è ritrarre legna da ardere o paleria, gli altri assortimenti legnosi sono assolutamente minoritari con l’utilizzazione a ceduo. A differenza di altri tipi di utilizzazione e con la sola esclusione del ceduo composto, il taglio a ceduo è in tutto e per tutto paragonabile ad un taglio raso con rilascio di riserve, che nel caso del ceduo sono le matricine.
Piaccia o non piaccia a noi tecnici, tale tipo di taglio è impattante, molto impattante sulla percezione del paesaggio che ha un “profano” di selvicoltura. Ecco perché poi spesso le associazioni ambientaliste gridano alla deforestazione. Ecco perché il Regolamento Forestale della Toscana ha cercato comunque di limitare e delimitare la superficie massima da sottoporre a tale tipo di taglio.
La “forzatura del Consiglio regionale toscano” della L.R. n. 52/2021 (così come definisce la cosa Luigi Torregiani nel suo citato articolo) è stata una scelta del potere politico. Si può discutere o meno, ma tale è. Dal punto di vista tecnico però si può affermare che la cosa è andata non troppo bene, visti i risultati. Mi viene in mente quanto diceva Charles Darwin nella sua opera “L’origine della specie” e cioè: “Natura non fecit saltum”, la natura non ha fatto salto.
Pertanto io invece vorrei provare a percorrere un’altra strada rispetto a quella dello scontro immediato. Al netto che, dal momento che le Sovrintendenze hanno, per legge e sentenza, competenza esclusiva in materia, occorrerebbe al momento della presentazione della pratica per ottenere l’autorizzazione paesaggistica, indicare chiaramente i tempi previsti dalla normativa vigente per la risposta (mi riferisco alla Legge 241/90) e l’eventuale volontà dell’accesso agli atti amministrativi al quale nessuna Pubblica Amministrazione può sottrarsi, chiedendo da subito il nominativo del Funzionario incaricato dell’istruttoria. Questo per ricordare che scaduti i 60 giorni, scatta il c.d. “silenzio – assenso”.
Altro passo sarebbe, con l’aiuto e l’ausilio degli Ordini professionali competenti (Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali provinciale, Federazione Regionale degli Ordini degli Agronomi e CONAF, consiglio nazionale agronomi e forestali) che all’interno della Sovrintendenza fosse presente in organico figura professionale competente o che la Sovrintendenza medesima stipulasse apposite convenzioni con tali Ordini per l’istruttoria delle pratiche di taglio boschivo per avere il parere di figura tecnica competente per legge, come avviene per le Commissioni Comunali per il Paesaggio. Ricordo la Legge 7 Gennaio 1976, n. 3 all’articolo 2, commi c), q), r) e, soprattutto z) “il recupero paesaggistico e naturalistico; la conservazione di territori rurali, agricoli e forestali; il recupero di cave e discariche nonché di ambienti naturali;
Il discorso annoso che “non ci sono i fondi” non vale e non può valere. L’Ente pubblico che ha la competenza deve avere anche il personale competente. O lo ha in organico o lo ha per Convenzione. Ricordo per inciso che gli Ordini professionali sono, per legge, equiparati ad Enti pubblici.
Ma io vorrei spingermi ancora un passo oltre. Entrare nel merito dell’Autorizzazione Paesaggistica, proprio perché mi sono ritrovato a presentarle nella mia attività professionale. Ne esistono di due tipi: Autorizzazione Paesaggistica Ordinaria ed Autorizzazione Paesaggistica Semplificata. (art. 146 e 149 del D. Lgs 42/2004).
L’autorizzazione Paesaggistica Ordinaria, a mio giudizio, per i tagli boschivi, compreso i cedui, è uno strumento che mal si adatta, perché è una vera e propria “tortura cinese della goccia” come documenti da produrre. Appare studiata e congegnata per immobili di pregio nonché parchi e giardini storici vincolati ex Art. 136 del Codice del Paesaggio: si può pensare al Giardino di Boboli a Firenze o al Viale dei Cipressi di Bolgheri, quello citato dal Carducci nella poesia “Davanti San Guido”. Tali beni paesaggistici appaiono anzitutto beni storici e culturali e, come tali, il vincolo su di essi è sacrosanto. Sulle Pinete litoranee mi sono invece già espresso e, francamente, esprimo seri dubbi.
Ma torniamo all’ Autorizzazione Paesaggistica Ordinaria e ai documenti occorrenti. In una pratica seguita per il mio datore di lavoro ho potuto constatare che la documentazione è corposa e complessa, i documenti da presentare alla Sovrintendenza sono:
Come si può vedere dalla quantità e qualità della documentazione richiesta, l’Autorizzazione Ordinaria è adatta, ripeto, per beni immobili vincolati di valore storico – paesaggistico, quali ville, palazzi storici, altri immobili vincolati. Potrebbe essere richiesta per beni “paesaggistici forestali” quali la Pineta del Tombolo di Cecina, certamente è inadatta per un taglio colturale ordinario, sia esso ceduo matricinato o taglio di diradamento e/o utilizzazione in fustaia.
Invece l’Autorizzazione Paesaggistica semplificata per Impianto agro-forestali, agricoli, zootecnici e di acquacoltura con esclusione degli interventi di cui all'art. 149, comma 1, lettera c) del Codice richiede:
Pur ammettendo che non si tratta di uno scherzo, è comunque un procedimento amministrativo più “snello” rispetto all’Autorizzazione Paesaggistica Ordinaria.
Quindi il primo passo da fare nella direzione della semplificazione amministrativa auspicata dal Direttore di Sherwood, Paolo Mori, è senz’altro quello di “esigere” che al momento attuale per i boschi e terreni forestali ricadenti nel vincolo dell’articolo 136 del Codice del Paesaggio, la richiesta di Autorizzazione Paesaggistica sia quella semplificata. Senza se e senza ma.
Contemporaneamente l’altro aspetto è che le Sovrintendenze per le pratiche di utilizzazioni forestali, siano obbligatoriamente tenute ad avere un esperto Dottore Agronomo e/o Forestale analogamente alle Commissioni Comunali per il Paesaggio (almeno come consulente a gettone come tali Commissioni), il cui parere scritto deve essere vincolante. Per le variazioni delle norme, la strada da percorrere la vedo un po’ più lunga e tortuosa, ma facendo come sopra esposto, almeno si va nella direzione di alleggerimento dell’iter burocratico.
Infine, per esperienza vissuta in questo caso, mi vengono alla mente le lezioni, sia in aula che sul campo, tenute magistralmente dal maggiore Architetto Paesaggista italiano vivente, Paolo Pejrone, allievo del famoso “Landscape architect”, cioè paesaggista inglese Russel Page, che ho avuto la fortuna di avere come insegnante presso l’Università di Torino, al corso di Perfezionamento in Parchi, Giardini ed Aree Verdi tenuto allora dalla Professoressa Elena Accati.
Nel farci vedere una sua realizzazione nella ristrutturazione e manutenzione di un giardino storico in Provincia di Asti, Pejrone sosteneva di quanto siano fortunati Agronomi e Forestali perché conoscono bene le piante ed i terreni, purtroppo non sanno comporre il più delle volte, cosa in cui eccellono gli architetti senza peraltro conoscere le piante, perché il paesaggio ed i giardini sono una combinazione di colori, odori, epoca delle fioriture e delle fruttificazioni che raramente si riesce a combinare se non si è particolarmente esperti. In quella sua sistemazione “astigiana” aveva “rispettato” le disposizioni della Sovrintendenza non alterando la disposizione dei vialetti storici, ma li aveva semplicemente “affiancati” al terreno inerbito, lasciando la manutenzione del prato al pascolo ruotante di due pecore, una capra ed un asino. Aveva completato l’opera con una siepe di rosmarino mirabilmente sana e vegetante a quelle latitudini, semplicemente “appoggiandola” al muro ovest del castello.
Pertanto, a mio giudizio, è assolutamente necessario “remare” nella direzione di fornire alle Sovrintendenze una richiesta di Autorizzazione Paesaggistica semplificata per ogni taglio colturale, sia esso taglio ceduo matricinato, sia esso taglio raso su superfici consentite in fustaia, sia esso diradamento o sfollo ( anche se in quest’ultimo caso sarebbe bene insistere sulla semplice dichiarazione prevista dalla legge regionale da presentare anche per conoscenza alla Sovrintendenza competente). Ogni e qualsiasi richiesta di presentazione di Autorizzazione Paesaggistica Ordinaria andrebbe respinta al mittente in quanto richiesta amministrativa non pertinente.
Ovviamente tutto questo deve valere in caso di “gentlemen agreement”, ossia in caso di tagli eseguiti “a regola d’arte”, perché in caso di tagli di utilizzazione difformi dall’autorizzazione ai sensi della legge forestale o della dichiarazione di taglio eseguita secondo i canoni della “corretta pratica selvicolturale”, allora lì non ci sarebbero discorsi da fare, ma solo ed esclusivamente l’intervento sanzionatorio dei Carabinieri forestali, con l’aggravante del danno paesaggistico.
Io francamente altre soluzioni non ne vedo, se non uno scontro perenne.
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