PFIT: una nuova stagione della pianificazione
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di Silvia Bruschini - Redazione di Sherwood
Il TUFF (Decreto legislativo 34/2018) ha individuato nella pianificazione forestale, articolata su quattro livelli, lo strumento principale per realizzare le proprie finalità.
In particolare, i Piani Forestali di Indirizzo Territoriale (PFIT), che riguardano aree omogenee per caratteristiche “ambientali, paesaggistiche, economico-produttive o amministrative” e sono finalizzati “all’individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva”, possono costituire una grande opportunità per le Regioni e le Province Autonome che sceglieranno di adottarli. I PFIT, infatti, possono avere un ruolo strategico nella promozione della gestione attiva delle risorse silvo-pastorali, per la quale fissano gli obiettivi e indicano mezzi ed azioni per raggiungerli nel medio lungo periodo. I PFIT, inoltre, dovrebbero offrire una concreta occasione di promozione dei territori e delle filiere forestali, facilitando anche il coordinamento tra i diversi ambiti e livelli di programmazione e di pianificazione territoriale.
Da una recente indagine, svolta da Compagnia delle foreste, risulta che 16 Amministrazioni su 21 hanno dichiarato di voler predisporre piani d’indirizzo ai sensi dell’art. 6 del TUFF. A sostegno di tali scelte ci sono le risorse finanziarie dello Stato; il Masaf, infatti, per il periodo tra 2022 e 2032, ha previsto un finanziamento complessivo di 420 milioni per l’attuazione della Strategia Forestale Nazionale, tra i cui obiettivi c’è la realizzazione dei PFIT.
Sembra quindi che siamo ai blocchi di partenza di una nuova stagione di pianificazione e per questo abbiamo voluto mettere in risalto, con il presente Dossier, le principali esperienze di pianificazione di secondo livello già presenti in Italia per far conoscere i percorsi fatti, le difficoltà incontrate e i successi raggiunti, nella speranza di offrire informazioni strategiche per la replicabilità in altri contesti.
Negli ultimi 20 anni in Italia sono stati redatti diversi piani di area vasta ma per lo più si è trattato di esperienze occasionali e a valenza sperimentale. Solo in Lombardia e Piemonte si è prodotta una pianificazione forestale a scala territoriale, in modo organico e con metodologie che si sono andate via via consolidando ed è per questo che abbiamo pensato di farle conoscere un po’ meglio.
Oltre alle esperienze più consolidate, il Dossier fornisce spunti sugli strumenti innovativi utili al pianificatore. Il telerilevamento e l’ampia gamma di prodotti derivati per indagini territoriali, così come la disponibilità di sistemi informativi e strumenti di supporto alle decisioni sono oggi una realtà che era impensabile solo pochi anni fa. Ma se possiamo dare abbastanza per scontato che la gran parte dei professionisti conoscano, ed alcuni anche padroneggino, le tecnologiche disponibili, non possiamo fare altrettanto per quanto riguarda le tecniche e gli approcci della “partecipazione” professionale richiesta nei PFIT. Troppo spesso, infatti, i percorsi partecipati sono stati sottovalutati o delegati ad azioni marginali a causa di preconcetti che è necessario e doveroso superare. Individuare strategie gestionali in grado di incidere su un territorio, oggi, significa operare scelte politiche che non possono prescindere dal coinvolgimento di tutti i portatori d’interesse.
Nel contesto forestale i PFIT possono essere l’occasione per questo cambiamento, visto anche il loro ruolo di connessione tra la pianificazione di settore e altre tematiche con le quali talvolta l’attività forestale confligge, come ad esempio la pianificazione urbanistica, ambientale o paesaggistica. Soltanto definendo una visione condivisa del territorio i PFIT potranno trovare applicazione e non diventare, per quanto ben fatti e ricchi d’informazioni, l’ennesimo documento che rimane in un cassetto.
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