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Gestione forestale

Paesaggio e foreste: una “leggina provocazione” per smuovere le acque

Paesaggio e foreste: una “leggina provocazione” per smuovere le acque

di Paolo Mori

Tra chi in Toscana si occupa di foreste, gli ultimi giorni del 2021 sono stati vissuti in un clima particolarmente agitato: il 28 dicembre, con la pubblicazione delle “Disposizioni in materia di tagli colturali” (l.r. 52/2021), se tecnici e ditte boschive hanno (forse) tirato un sospiro di sollievo, parte del mondo ambientalista, al contrario, ha iniziato a preoccuparsi.  

Il motivo è semplice: la Regione Toscana, con la maggioranza assoluta della Giunta, ha votato una modifica alla Legge Forestale (l.r. 39/2000) che semplifica l’iter autorizzativo per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 136 del D.lgs. 42/2004 (le famose aree a “doppio vincolo” su cui si dibatte ormai da anni). In sostanza si tratta di un solo comma in cui si sostiene che, in caso di taglio colturale (quindi nelle normali pratiche selvicoltuali), se il motivo per cui è stato apposto il vincolo richiamando l’art. 136 NON è il bosco, basta l’autorizzazione ai sensi della normativa forestale e non più anche l’autorizzazione paesaggistica.

Qualche semplice esempio può far comprendere al meglio questo punto fondamentale.
La “Zona del monte Amiata sita nell'ambito dei comuni di Seggiano, Castel del Piano, Arcidosso e Santa Fiora”, un’area molto ampia tutelata ai sensi dell’art. 136 per l’insieme di forme, borghi, scorci, campi, prati e anche boschi, non necessiterà più di autorizzazione paesaggistica per realizzare un normale intervento selvicolturale. In pratica si torna e ciò che avveniva fino a pochi anni fa e questo è abbastanza logico, dato che quel paesaggio tutelato comprende agricoltura, selvicoltura e vita rurale in genere, che sono parte integrante della sua “costruzione”.
La “Pineta del Tombolo” invece, tutelata proprio per il suo essere un particolare bosco, necessiterà ancora di autorizzazione paesaggistica anche per realizzare i normali interventi selvicolturali, che dovranno mantenere quelle caratteristiche che senza una particolare attenzione andrebbero perse.

Sembra una di quelle rare situazioni in cui si è riusciti a semplificare un iter autorizzativo. Uno di quei casi che ognuno di noi vorrebbe vedere attuati anche in altre situazioni, magari quando fa il rinnovo della patente di guida, oppure quando chiede un’autorizzazione edilizia.
Non la pensano così alcune associazioni ambientaliste come WWF e Italia Nostra, che hanno immediatamente gridato allo scandalo utilizzando termini a dir poco impropri, come “legge tagliaboschi”, che sinceramente non fanno onore alla credibilità di queste compagini. Occorre sottolineare invece che Legambiente ha dato sostanzialmente il suo beneplacito alla norma toscana, circoscrivendo la questione alle ricadute nulle per la conservazione del paesaggio e aprendo un interessante dibattito interno anche al mondo ambientalista.

WWF e Italia nostra hanno gridato allo scandalo, definendo impropriamente la norma "legge tagliaboschi"

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Nella sostanza è però corretto porsi due domande: la Regione Toscana ha operato nel pieno delle proprie competenze? la semplificazione crea condizioni di minore tutela del paesaggio?

Alla prima domanda si può rispondere utilizzando le parole di Vincenzo Ceccarelli, capogruppo PD e primo firmatario della l.r. 52/2021 apparse su Casentinopiù e Arezzonotizie: “Sappiamo che con questa legge ci stiamo muovendo su un sentiero stretto tra le competenze regionali e quelle dello stato […] ma ci siamo espressi chiaramente con una legge che vuole togliere un inutile aggravio burocratico senza intaccare la difesa dell’ambiente e con questo passo, sicuramente, sproniamo anche il Parlamento ed il Governo a fare quello che finora non hanno fatto”.

In sostanza la Regione Toscana ha legiferato sapendo che sarà facile che la norma venga impugnata (il WWF lo ha già fatto), ma con lo scopo di spingere i Ministeri competenti e il Parlamento a trovare una soluzione efficace. In realtà la Regione Toscana aveva già sollecitato formalmente i Ministeri nel giugno 2021, ma senza avere alcuna risposta. Che questa sia la strada giusta per portare il Ministero della Cultura (MiC) e quello delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) a risolvere la questione?

La Regione Toscana è consapevole di muoversi su un sentiero stretto, ma crede che questa sia la strada giusta per portare il Ministero della Cultura (MiC) e quello delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) a risolvere un problema annoso

Ma di quale questione si tratta? Si tratta essenzialmente di semplificare un passaggio che, nel caso dei tagli colturali, non determina un cambio permanente nel paesaggio. Nei fatti la Norma forestale toscana e il suo Regolamento non prevedono il cambio d’uso del suolo. Pertanto, dove c’è bosco deve rimanere bosco. Non solo, se c’è una fustaia, non si può trasformarla in un ceduo composto, se c’è un ceduo composto non si può trasformare in un ceduo matricinato.

La norma non determina alcun cambio permanente del paesaggio: dove c’è bosco, rimarrà il bosco

Pertanto, dal punto di vista paesaggistico, rispettando la sola norma forestale toscana non cambierebbe nulla. Non sarebbe possibile praticare modifiche permanenti del paesaggio percepito. Ci sarebbero le normali variazioni temporanee dovute alla gestione del territorio. Così come avviene per le coltivazioni agrarie che in un anno passano dal terreno nudo al verde e poi al giallo del grano per tornare poi a terreno nudo, così nelle aree forestali si alternano circa 15-25 anni di copertura piena con 3- 5 anni di copertura parziale a seconda del tipo di bosco, di governo e di trattamento praticati.

A questo va aggiunto un dato di fatto, che ogni tecnico forestale toscano ha toccato con mano negli ultimi mesi: le Soprintendenze NON hanno personale competente in ambito forestale e di conseguenza NON sono in grado di proporre prescrizioni realmente praticabili e sostenibili sul piano ambientale, economico e sociale.

Le Soprintendenze non sono in grado di proporre prescrizioni praticabili e sostenibili

Di conseguenza la “leggina provocazione” delle Regione Toscana, definiamola così, all’atto pratico non andrà ad impattare negativamente sul paesaggio, poiché lo status quo dei boschi rimane tutelato dalla norma forestale, così come non crea problemi alle Soprintendenze, alle quali semplificherà non poco le attività e la già onerosa organizzazione.

Sembrerebbe una soluzione vincente per tutti, almeno sul piano paesaggistico, tuttavia è probabile che il Ministero della Cultura non la consideri tale, ma la classifichi come “un’invasione di campo”, poiché va a limitare la portata di una legge nazionale sulla tutela del paesaggio e sottrae di fatto un briciolo di competenza alle sue Soprintendenze.

È probabile che il Ministero della Cultura consideri la legge toscana come "un’invasione di campo"

I punti di vista quindi possono essere molteplici. Apparentemente la Regione Toscana ha creato i presupposti per una semplificazione e per l’eliminazione di un passaggio autorizzativo di fatto inutile ai fini della conservazione del paesaggio e oggetto di probabili e numerosi contenziosi legati alla mancanza di personale competente nelle Soprintendenze.

Nella sostanza però la legge nazionale sulla protezione del Paesaggio e il suo Articolo 136 restano in vigore, quindi c’è da domandarsi: quanti correranno il rischio di incorrere in un verbale con conseguenze penali facendosi forza della sola “leggina provocazione” della Regione Toscana?

La situazione è molto incerta, quindi l’auspicio è che la provocazione abbia effetto e che, quanto prima, il MiC e il Mipaaf producano una posizione congiunta che chiarisca una volta per tutte e a scala nazionale come ci si deve comportare in caso di boschi NON soggetti a vincolo diretto, ma situati in aree vincolate ai sensi dell’articolo 136 del D.lgs. 42/2004.

È necessario che questo impasse venga superato in modo condiviso, aprendo un dibattito serio e non basato su ideologie contrapposte. Ma per fare questo bisogna prima essere d’accordo su un punto fondamentale: la selvicoltura, come l’agricoltura, fa parte dei processi antropici che creano e modellano da sempre i paesaggi, compresi quelli belli e tutelati.

Altrimenti, rimanendo in Toscana, la Val d’Orcia o le Foreste Casentinesi non sarebbero da considerarsi paesaggi degni di tutela. 

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