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La fotografia entra nel bosco

La fotografia entra nel bosco

Piante, mestieri e maestranze nel Goriziano (1900-1939), la presentazione del volume a cura di uno degli autori con una galleria di bellissime immagini commentate.

di Diego Masiello

In occasione della nomina transfrontaliera di Gorizia e di Nova Gorica a Capitale europea della Cultura 2025, il Corpo forestale della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia ha voluto riproporre e commentare, in una semplice pubblicazione curata a più mani, una ventina di immagini sui boschi goriziani risalenti ai primi decenni del '900.

Dopo che a Parigi nel 1839 fu svelato il processo del dagherrotipo, il primo procedimento per lo sviluppo delle immagini, la fotografia si affermò rapidamente come un nuovo modo di apprendere e di rappresentare le cose. Il primo atelier fotografico nella Gorizia austro-ungarica venne aperto nel 1864 e da allora la fotografia goriziana, nella sua continua innovazione, si allargò a tutte le attività del territorio, espandendosi nei vari villaggi rurali sparsi dell'allora vasta contea.

Nei boschi furono spesso gli stessi funzionari forestali a scattare delle fotografie per documentare il territorio, il loro operato, i lavori in corso e le maestranze occupate nelle varie attività. Le immagini spaziano dalle piantagioni sulle coste di Grado, iniziate nel 1898 e fotografate su lastre dal commissario forestale goriziano Corrado Rubbia, a quelle dei rimboschimenti artificiali sul Carso iniziati nel 1883 e fotografati nel 1900 dall'atelier goriziano del fotografo Anton Jerkič.  

Nei boschi furono spesso gli stessi funzionari forestali a scattare delle fotografie per documentare il territorio, il loro operato, i lavori in corso e le maestranze occupate nelle varie attività.

Fu questo atelier a realizzare un album di grande formato, composto da 14 immagini dei rimboschimenti della contea con didascalie in lingua francese, commissionato dalla Commissione d'Imboschimento per essere inviato all'Esposizione mondiale di Parigi dove i Servizi forestali imperiali ricevettero il grand prix.

A Gorizia l'amministrazione forestale austriaca aveva, oltre ai suoi uffici provinciali, anche l'importante Direzione delle foreste demaniali del Litorale (Gorizia, Trieste e Istria) e della Dalmazia prima dipendenti dagli uffici di Klagenfurt assieme a quelle della Carinzia e della Carniola. Le immagini di questi grandi possessi demaniali, come quelli di Dol, Loqua (Lokve) e Idria (Idrija) posti alle spalle della città, sono stati fotografati dagli amministratori forestali italiani subito dopo la fine della Grande Guerra e il conseguente passaggio del Goriziano alla nuova provincia giuliana del regno. Dobbiamo principalmente al forestale pisano Dino Crivellari una serie di spettacolari immagini dei boschi demaniali di Tarnova (Trnovo) degli anni '20, in parte da lui utilizzate sulla rivista "L'Alpe" che ai boschi della Venezia Giulia dedicò svariati articoli. Guardando questi scatti ritornano idealmente al loro posto di lavoro alcuni dei protagonisti di quei palcoscenici naturali e silvani: boscaioli, vivaiste, forestali, carbonai, carrettieri, trasportatori, piantatrici, abili artigiani del legno, cestai e segantini.  

Altre immagini similari, trovate negli archivi forestali udinesi e triestini, sono state scattate da autori non identificati e riguardano le foreste demaniali tarvisiane, goriziane e istriane. Molto probabilmente si tratta di un'unica documentazione fotografica voluta dal triestino Amerigo Hofmann che nel 1920 iniziò a reggere a Gorizia il Real Servizio Assestamento delle Foreste Demaniali e, dal gennaio 1928 all'agosto 1932, fu direttore generale dell'Azienda Foreste Demaniali a Roma.

Guardando questi scatti ritroviamo, sul loro posto di lavoro, i protagonisti di quei palcoscenici naturali e silvani: boscaioli, vivaiste, forestali, carbonai, carrettieri, trasportatori, piantatrici, abili artigiani del legno, cestai e segantini.

Un occhio forestale esperto potrà riconoscere nelle varie immagini proposte - recuperate anche in altri archivi come quello dello stesso Hofmann, quello del forestale bellunese Francesco Caldart o quello del capocantiere carsolino Carlo Semolic - l'aumento razionale delle produzioni legnose, dei tagli boschivi, il potenziamento della sorveglianza contro furti e contrabbandi e l'oramai prossimo arrivo nelle foreste della meccanizzazione. Nel giro di pochi anni da quegli scatti quella lunghissima secolare tradizione di tecniche manuali ereditata nel tempo, sarebbe stata rapidamente sostituita dalle nuove tecnologie che, come riporta Pietro Piussi nelle sue puntuali ricerche, portarono alla trasformazione di gran parte delle lavorazioni forestali condannando all'oblio gli attrezzi, il significato dei loro nomi e anche il sapere del loro utilizzo.

Le immagini conclusive, scattate dallo studio artistico fotografico goriziano del veronese Giovanni Battista Mazucco illustrano la moderna segheria, realizzata nello storico fondo dell'amministrazione forestale goriziana, che fu inaugurata nel 1939 e che lavorava esclusivamente i legni provenienti dalle foreste demaniali. Dopo la drammatica conclusione della Seconda guerra mondiale e il passaggio nel 1947 di gran parte del territorio goriziano alla Jugoslavia, con la perdita di tutte quelle foreste demaniali e con la creazione di un nuovo rigido confine, la segheria perse la sua importanza e fu definitivamente chiusa negli anni '80 dell'altro secolo.

Le frontiere e il tempo con il susseguirsi delle generazioni hanno dunque mutato i rapporti, i legami e anche i ricordi di questa vecchia filiera forestale goriziana, oramai quasi dimenticata. Nel ricordarla, l'invito è quello di visitare oggi questi boschi fotografati circa un secolo fa: preziose, versatili e insostituibili risorse rinnovabili, risultato di quelle tecniche culturali del passato e patrimonio globale e culturale del nostro futuro.

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In attesa delle seghe a motore e della meccanizzazione nelle foreste demaniali goriziane degli anni Venti si adoperavano le accette e i segoni per abbattere tradizionalmente le piante scelte (ph. D.Crivellari).

Prima di effettuare il rimboschimento con le piccole piantine bisognava fissare le sabbie delle dune di Grado. Nel 1898 Corrado Rubbia ideò e sperimento un sistema che prevedeva il rivestimento delle dune con dei cordoni paralleli di alghe e la seminagione di alcune specie di piante erbacee spontanee. In otto anni furono consolidate, bonificate e rimboschite a Grado circa 80 ettari di aree sabbiose (ph. C.Rubbia).

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Sulla scia delle piantagioni triestine iniziate già a metà secolo, nel 1883 iniziò anche nel Carso Monfalconese il rimboschimento a pino nero a cura della Commissione per l'imboschimento del Carso per la Principesca Contea di Gorizia e Gradisca. Per spietrare, delimitare il terreno e difendere le giovani colture da pascoli o incendi furono eretti attorno alle piantagioni dei muretti a secco che nel 1900 raggiunsero i 40 chilometri (ph. A. Jerkič).

Per le esigenze dei lavori nella foresta demaniale di Tarnova fu aperto a Loqua (Lokve) un piccolo vivaio/semenzaio forestale. A delle giovani donne locali era stata affidata la particolare cura del semenzaio che consisteva, prima della semina, nella preparazione dei solchetti e dei diserbi delle varie aiuole.  Con 30 grammi di semi di abete rosso si potevano produrre circa 1.600-1800 piantine da piantare poi in foresta (ph. D. Crivellari).

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La neve influiva sensibilmente sulla percorribilità delle strade delle foreste demaniali goriziane raggiungendo anche i tre metri di altezza. Con vento e ghiaccio a Loqua (Lokve) i trasporti non erano possibili neanche con le slitte e ciò obbligava l’Amministrazione forestale ad una spesa ingente per sgomberare le ostruzioni con l’utilizzo di picconatori, spalatori e di lame trainate da una coppia di buoi (ph. D.Crivellari).

Tra le molteplici piccole attività artigianali legate ai boschi del Tarnovano molto fiorente era quella della costruzione dei mastelli. Le dogherelle necessarie per la costruzione venivano ricavate dall’abete rosso, accatastate ben distanziate all’aria aperta per essere essiccate e poi piallate su di un apposito banchetto, costruito artigianalmente dal mastelliere, utilizzando una comune lama curva a due mani (ph. D. Crivellari).

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Abili maestranze allestivano le carbonaie nei boschi goriziani e ne controllavano per giorni la combustione e la relativa carbonizzazione. A cottura completata il carbone di faggio veniva recuperato, lasciato raffreddare, selezionato, mantenuto umido e poi insaccato. I sacchi, di circa 60 kg, venivano poi trasportati e caricati a bordo di autotreni per essere consegnati ai centri di raccolta e smercio della città (ph. archivio Ispettorato forestale Udine).

La segheria demaniale di Gorizia lavorava tondame di resinose e di latifoglie. Tecnici e operai specializzati seguivano tutte le fasi del lavoro nella segheria, dall’arrivo dei tronchi ai tagli, all’essicazione e all’accatastamento delle varie pezzature segate. Particolare cura veniva prestata all’affilatura delle lame, ricreando, saldando e limando eventuali denti rotti nell’apposita funzionale officina (ph. studio G.B. Mazucco).

   

Maggiori info: www.regione.fvg.it, e-mail: .

Autori:

Diego Masiello, Sociologo del territorio, Ispettore del Corpo forestale regionale della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Coordinatore del Centro didattico naturalistico di Basovizza.

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