Boschi vetusti: più ombre che luci!
di Paolo Mori
Il 22 gennaio sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le linee guida per l'identificazione delle aree definibili come boschi vetusti. Il decreto attuativo, che deriva da un impegno definito nell’articolo 7 del Testo Unico in materia di Foreste e Filiere forestali (D.lgs. 34/2018, conosciuto come TUFF).
Di seguito prenderò in esame alcuni punti chiave del Decreto sui boschi vetusti, ma invito a leggerlo integralmente. La lettura richiede di investire meno di 20 minuti.
Innanzitutto va detto che questo Decreto dirada la nebbia che circondava la sola definizione di “bosco vetusto” contenuta nell’articolo 7 del TUFF. Nella nebbia adesso si comincia ad intravedere il contorno di un modus operandi, ma il risultato concreto delle indicazioni minime che si trovano nel documento in oggetto dipenderà in gran parte da come le Regioni e le Province Autonome (PPAA) le faranno proprie.
La struttura del Decreto è semplice: un unico Articolo e un Allegato con le linee guida.
L’Articolo 1 elenca le finalità del Decreto che si possono sintetizzare in:
- offrire le regole minime su come identificare le “aree definibili come boschi vetusti”;
- fornire “le indicazioni per la loro gestione e tutela, anche al fine della creazione della Rete nazionale dei boschi vetusti”.
Fatta questa breve premessa, provo a mettere in evidenza gli aspetti di questo Decreto che possono essere considerati luci, ombre o elementi di prospettiva.
Le luci del Decreto
L’istituzione di un bosco vetusto deve essere accompagnata da “un Piano di gestione e monitoraggio, […] che dettaglia gli interventi ammessi e quelli esclusi […] così come quelli che possono essere mirati ad aumentare la tutela e la stabilità del popolamento e la dinamica naturale in atto”. Il Piano deve anche tenere conto “della presenza di eventuali siti Natura 2000”, rispettando habitat e/o specie in coerenza con gli obiettivi e le misure di conservazione dei siti stessi”. I Piani di gestione potranno anche prevedere misure volte “a mantenere la sicurezza dei percorsi […] che consentano visite a scopo scientifico, didattico, socioculturale e di educazione ambientale. Il Piano quindi non solo deve integrarsi con altre forme di tutela presenti, ma deve anche stabilire come rendere fruibile l’area per finalità di conoscenza scientifica e per la didattica.
Il Piano deve integrarsi con altre forme di tutela presenti e deve rendere fruibile l’area per finalità di conoscenza scientifica e per la didattica.
Durante la fase istruttoria, che dovrebbe durare 180 giorni, “le regioni possono adottare la sospensione cautelativa, nelle superfici interessate, di ogni attività che possa alterare le caratteristiche biologiche ed ecologiche del bosco vetusto […]”. Un’attenzione sicuramente necessaria per evitare che le caratteristiche del luogo possano impunemente essere modificate per impedire l’istituzione di un bosco vetusto.
Le ombre da fugare
Dal Decreto pare che le Regioni e le Province Autonome saranno libere di muoversi senza un piano comune. Ognuna potrà fare scelte come meglio crede, in funzione del proprio territorio e delle sensibilità (o priorità) di politici, funzionari e società civile. Insomma il messaggio per il momento sembra essere: per adesso ogni Regione e PA istituisca i propri boschi vetusti, poi li metteremo insieme e avremo una rete nazionale. Quindi per il momento non si definisce una strategia chiara su quali boschi vetusti servano effettivamente, sia ai fini della conservazione che a fini di studio. Intanto istituiamoli e poi si vedrà. Il Decreto previsto su come costituire la Rete potrebbe smentire questa visione ed auspico che sia proprio così.
Per adesso ogni Regione e Provincia Autonoma istituisca i propri boschi vetusti, poi li metteremo insieme e avremo una Rete Nazionale.
Quindi, intano istituiamoli, ma come? Seguendo le indicazioni dell’Allegato, in cui inizialmente si spiega che per essere classificati come vetusti serve la contemporanea presenza di tre caratteristiche:
- la presenza di specie autoctone spontanee coerenti con il contesto biogeografico;
- una biodiversità caratteristica conseguente all'assenza di disturbi da almeno sessanta anni;
- la presenza di stadi seriali legati alla rigenerazione e alla senescenza spontanee.
SE una di queste caratteristiche manca il bosco non può essere considerato vetusto.
Subito dopo però si spiega che possono esserci delle eccezioni. Ad esempio:
- Se le caratteristiche presenti sono soltanto due su tre, tali boschi potranno essere trattati “come aree la cui evoluzione andrà seguita con particolare attenzione […]. Una volta raggiunte le caratteristiche indicate dalla norma, le aree potranno essere candidate per […] entrare nella «Rete nazionale dei boschi vetusti»”. Ciò significa che pure i boschi che non hanno le tre caratteristiche per essere classificati come vetusti potranno essere trattati in modo che lo diventino?
- Per ciò che concerne «l'assenza di disturbi da almeno sessanta anni», si indica che occorre escludere gli incendi “in quanto considerati fattori intrinsecamente connessi alle dinamiche naturali”. Giusto ma… in che misura il passaggio di un incendio, di origini antropiche (visto che la quasi totalità ha questa origine!), può essere considerato un disturbo naturale? Le Regioni e le PPAA dovranno stabilirlo ed è auspicabile che lo facciano non con singoli ricercatori ma con commissioni interdisciplinari condivise tra loro e composte da rappresentanti di istituzioni scientifiche.
È auspicabile che le Regioni e le PPAA non si appoggino a singoli ricercatori ma a commissioni interdisciplinari condivise tra loro e composte da rappresentanti di istituzioni scientifiche.
Nel paragrafo 5 delle linee guida si tratta della superficie minima e si afferma che “Un «bosco vetusto», per essere riconosciuto tale, deve coprire un'area non inferiore ai 10 ettari. Tuttavia, per casi particolari, espressamente motivati da specifiche caratteristiche, la superficie minima può scendere fino a 2 ettari […]”. Dal momento che non sono elencate nelle linee guida le motivazioni, ogni Regione potrà definire le sue motivazioni per andare in deroga? Ogni Regione e PPAA per proprio conto?
La questione della superficie minima “non inferiore a 10 ettari” è indebolita anche dalla possibilità per le Regioni di “approvare disposizioni per l'individuazione e la tutela di formazioni vegetali coerenti con le caratteristiche di vetustà […], ma che non raggiungano le superfici sopraindicate, designandole quali isole di senescenza destinate ad accrescere la complessità strutturale e la biodiversità dei sistemi forestali.
Se ne ricava che la superficie che può essere sottoposta a vincolo per motivi di vetustà/senescenza può essere molto variabile per via di deroghe motivate e isole di senescenza (che non hanno una superficie minima indicata).
Nel paragrafo 6 si spiega che l’istituzione spetta alla Regioni (e Province Autonome) che possono agire d’iniziativa o “a seguito di specifiche proposte provenienti da enti parco, comuni, altri enti pubblici e privati, associazioni, singoli cittadini”. Su questo aspetto si auspica che a breve vengano prodotte linee guida tecnico scientifiche che consentano a tutti di comprendere come rilevare correttamente i dati necessari alla segnalazione, poiché il Decreto su questo non si pronuncia.
Si auspica che a breve vengano prodotte linee guida tecnico scientifiche che consentano a tutti di comprendere come rilevare correttamente i dati necessari alla segnalazione.
Successivamente al recepimento della segnalazione “Le regioni stabiliscono, in relazione al proprio assetto amministrativo, l'iter di riconoscimento dei «boschi vetusti» e l'organo a tal fine deputato, prevedendo eventualmente l'istituzione di apposite commissioni tecnico-scientifiche composte da soggetti di comprovata esperienza.” Questo “eventualmente” significa che, in generale, una sola persona potrebbe decretare il riconoscimento di bosco vetusto? Non è rischioso che un dirigente o un funzionario zelante o, al contrario, negligente possa decretare o non decretare se un bosco può essere considerato vetusto?
Elementi di prospettiva
Il primo e più importante elemento di prospettiva del Decreto sui Boschi vetusti è che c’è la volontà di istituire una Rete nazionale delle foreste vetuste a cui sarà dedicato un apposito Decreto che ne definisca nel dettaglio le caratteristiche. L’attuazione e le scelte saranno quindi delle Regioni e delle PPAA, ma anche se con questo Decreto non è ancora così, è previsto ci possa essere un elemento di raccordo che consentirà di avere una visione nazionale. In questo nuovo documento si auspica possa esserci una pianificazione ben precisa, in termini di superfici e tipologie (o di fitocenosi) da includere nella Rete, così da non lasciare al caso ciò che è effettivamente necessario per la conservazione e per lo studio, integrando quanto già rientra in tale tipologia (Zone A dei Parchi nazionali e boschi vetusti già istituiti, purché coerenti con le tre caratteristiche definite da questo Decreto). Nel paragrafo 7 si stabilisce pure che “lo stato di conservazione e di implementazione della Rete dovrà essere monitorato con cadenza almeno quinquennale”.
Monitoraggio a cadenza quinquennale ma…. senza risorse dedicate.
Un limite di questo, come di altri decreti è che “Le attività saranno svolte con le risorse disponibili a legislazione vigente”. Ciò significa un maggior carico per Regioni e PPAA che dovranno trovare modo di ricavare personale e risorse finanziarie da ciò che già hanno. In prospettiva si può forse sperare nelle risorse della Strategia Forestale Nazionale, ma non è affatto scontato.
Considerazioni
Il Decreto, se visto come un passaggio verso un sistema organizzato, anche se con moderazione, può essere considerato un utile passo in avanti. Se invece dovesse essere l’atto definitivo sull’istituzione delle foreste vetuste, ha notevoli limiti. Tra questi vale la pena segnalare almeno che, sostanzialmente, a causa delle deroghe non c’è una vera e propria superficie minima per ogni bosco vetusto; si può derogare dalle 3 caratteristiche fondamentali in attesa che si verifichino; non viene individuata una procedura di riconoscimento partecipata; i proprietari, anche privati, possono vedersi annullati i propri diritti in attesa che un bosco possa essere considerato vetusto (in quanto manca di una delle tre caratteristiche), ma non partecipa alla fase istruttoria, può opporsi solo entro 60 giorni dall’istituzione; non c’è una chiara prospettiva di coordinamento tra le Regioni e le PPAA né per l’istituzione, né per la successiva valorizzazione dei boschi vetusti. Insomma, al momento il decreto pare una specie di “tana liberi tutti”: chi vuole istituire boschi vetusti lo faccia e si dia delle regole. Il rischio è che dove operano soggetti o associazioni zelanti alcuni “boschi del cuore” vengano candidati con forza, mentre in altre parti boschi con caratteristiche idonee e magari anche più rari nel panorama della futura Rete, vengano ignorati.
L’auspicio è che in futuro possano esserci le condizioni per fare un salto di qualità, magari istituendo una commissione scientifica unica a livello nazionale, che possa seguire criteri coerenti e omogenei per tutte le formazioni forestali italiane. Affinché ciò possa verificarsi servirà costruire una rete di competenze trasversale alle scienze Forestali e a quella Naturali, che possa fare da riferimento sia per Regioni e PPAA che per Mipaaf e MiTE. Parallelamente sarebbe utile venissero predisposti un coordinamento tra Regioni, PPAA e Ministeri e un piano pe trarre il massimo beneficio dalla Rete del boschi vetusti in termini di attività a scopo scientifico, didattico, socioculturale e di educazione ambientale.
In conclusione si può ritenere sia stato percorso un altro tratto dell’itinerario che ci porterà ad avere una Rete Nazionale dei boschi vetusti, ma che i passi da fare, la capacità di coordinamento e programmazione, la ricerca di risorse adeguate a cogliere le opportunità e il valore di istituire una Rete del genere siano ancora molti.
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