Crediti di carbonio: dalle critiche al REDD+ a riflessioni sul nuovo Registro Nazionale
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di Luigi Torreggiani
“Milioni di crediti di carbonio sono generati da sovrastime sulla protezione delle foreste”: con questo titolo eloquente l’Università di Cambridge ha presentato uno studio, coordinato da propri ricercatori, che sta facendo molto discutere in tutto il Mondo.
La ricerca, pubblicata su Science e realizzata da scienziati ed economisti di un team internazionale, ha analizzato i principali progetti di compensazione del carbonio relativi al sistema REDD+, arrivando alla conclusione che, su un potenziale di 89 milioni di crediti, solo 5,4 milioni (il 6% circa) sarebbero collegati a reali riduzioni di emissioni di CO2 attraverso la conservazione di alberi ed ecosistemi forestali realmente preservati dalle utilizzazioni. In pratica, il 94% dei crediti di carbonio derivanti da questi progetti non rappresenterebbe una reale mitigazione delle emissioni climalteranti.
REDD+, è bene ricordarlo, significa “Reduction of Emissions from Deforestation and Forest Degradation” ed è un programma internazionale sviluppato dalla Convenzione dell’ONU sul clima che crea incentivi per ridurre le emissioni di CO2 causate dalla distruzione delle foreste nei Paesi in via di sviluppo. Inoltre, è utile sottolineare che, con l’approvazione del pacchetto “Warsaw Framework for REDD+”, tra le attività previste da questi progetti rientra anche la gestione forestale sostenibile e l’incremento del sequestro di carbonio. L’idea di fondo è preservare e gestire in modo sostenibile le foreste attingendo a fonti pubbliche e private, nonché al mercato dei crediti di carbonio. Al momento i programmi di REDD+ sono condotti in oltre 60 Paesi in via di sviluppo e comprendono il supporto per il monitoraggio delle foreste, la rendicontazione, ovviamente l’attuazione delle misure e la presentazione dei risultati raggiunti. Il numero di progetti al momento attivi è di 155, che interessano 50 milioni di ettari di superficie.
“I mercati dei crediti di carbonio sono esplosi negli ultimi anni”, spiegano gli autori dello studio pubblicato su Science, “nel 2021, oltre 150 milioni di crediti hanno avuto origine proprio da progetti volontari REDD+, per un valore di 1,3 miliardi di dollari. Il problema è che alcune aziende utilizzano la compensazione delle emissioni di carbonio per rivendicare i progressi verso l’azzeramento delle proprie emissioni, mentre fanno poco per ridurre i gas serra”. In pratica, il rischio sottolineato dagli scienziati, ma già noto e discusso tra molti osservatori negli scorsi anni, è di prestare il fianco al cosiddetto “greenwashing”.
Nonostante il meccanismo del programma REDD+ sia molto complesso, in realtà l’approccio che sta alla base di tutto il sistema è estremamente semplice da comprendere. Lo spiega in poche parole (e in modo pungente) il Prof. Andreas Kontoleon, autore senior dello studio, del Dipartimento di Economia del territorio di Cambridge: “Questi crediti di carbonio consistono essenzialmente nel prevedere se qualcuno abbatterà un albero e nel vendere tale previsione”.
Il problema evidenziato dallo studio sta proprio qui: nella sopravvalutazione del rischio di deforestazione derivato da calcoli semplicistici. In pratica, secondo i ricercatori, verrebbero considerate come foreste a rischio deforestazione aree boscate che in realtà non corrono realmente questo pericolo. Kontoleon sottolinea che la sopravvalutazione del rischio ha fatto sì che il numero di crediti di carbonio sul mercato continuasse ad aumentare, meccanismo che, a sua volta, ha abbassato i prezzi. I potenziali acquirenti (spesso grandi aziende fortemente emettitrici) beneficerebbero così di prezzi costantemente bassi creati dall’ondata di “finti crediti”, condizione che li spingerebbe a “premere l’acceleratore del greenwashing”, dato che, acquistando molti crediti a basso costo, possono dimostrare di stare raggiungendo in breve tempo l’ambizioso obiettivo della neutralità climatica. “Se esageri o sbagli i calcoli, intenzionalmente o meno”, ha commentato in modo caustico Kontoleon, “stai vendendo aria fritta”.
“Se esageri o sbagli i calcoli, intenzionalmente o meno, stai vendendo aria fritta”
Lo studio
Lo studio è stato condotto su 18 progetti REDD+ distribuiti in 26 siti ubicati in 3 diversi continenti. Le nazioni coinvolte sono infatti Tanzania, Congo, Perù, Colombia e Cambogia.
Thales West, principale autore dello studio, membro del Center for Environment, Energy and Natural Resource Governance di Cambridge, ha spiegato che il team di ricerca ha utilizzato “siti di confronto” in condizioni simili per mostrare come sarebbero realmente oggi le aree coinvolte dai progetti analizzati. Le stime REDD+, infatti, molto spesso si basano su dati storici, ma ignorano un’ampia gamma di fattori fondamentali: dai cambiamenti politici alle dinamiche di mercato.
Dei 18 progetti REDD+ analizzati, solo uno ha sottostimato i tassi di deforestazione e un altro ha previsto livelli di deforestazione simili a quelli del sito di controllo. Tutti gli altri 16 progetti avrebbero invece affermato che la deforestazione sarebbe stata molto maggiore di quella reale.
Secondo lo studio, infatti, degli 89 milioni di crediti di carbonio che si è stimato avrebbero dovuto essere generati dai progetti analizzati, circa il 68% di essi - oltre 60 milioni di crediti - deriverebbero da progetti che in realtà non hanno ridotto per nulla la deforestazione, dato che semplicemente in quelle aree il rischio non sussiste. Anche il restante 32% dei crediti di carbonio, sempre secondo lo studio, non ha conservato le foreste ai livelli dichiarati dagli sviluppatori del progetto. Il team di ricerca è arrivato così a stimare che solo 5,4 milioni di crediti di carbonio sarebbero collegati a reali riduzioni delle emissioni: il 6% del totale.
A novembre 2021, almeno 14,6 milioni di crediti di carbonio derivati dai 18 progetti REDD+ analizzati sono già stati venduti in tutto il Mondo per compensare le emissioni di gas serra di diverse aziende: una quantità di carbonio che, secondo i ricercatori, sarebbe di quasi tre volte superiore a quella effettivamente mitigata attraverso la reale conservazione delle foreste.
I problemi di stima
I ricercatori hanno evidenziato 4 possibili temi di fondo, tra loro interconnessi, che porterebbero all’enorme sovrastima evidenziata dallo studio:
- l’uso dei trend storici per quanto riguarda le dinamiche di deforestazione, che porta a risultati altamente imprecisi;
- l’ubicazione dei progetti, che vengono spesso realizzati dove la probabilità di un successo della conservazione sarebbe più alta a prescindere;
- le norme di certificazione, che attualmente richiedono periodi fissi per le proiezioni, rendendo difficile per i progetti l’adattarsi ai veri cambiamenti nei tassi di deforestazione;
- il rischio altissimo che i metodi di previsione della deforestazione possano essere gonfiati ad arte per massimizzare i ricavi derivanti dalle vendite dei crediti.
I ricercatori, in conclusione della loro analisi, hanno sottolineato che, per diventare un mercato affidabile, quello dei crediti derivanti da progetti REDD+ dovrebbe sviluppare metodi molto più sofisticati e trasparenti per quantificare la reale quantità di foreste concretamente preservate.
Il Prof. Andreas Kontoleon aggiunge infine un ulteriore problema: "Si stanno creando agenzie di vigilanza, ma molti di coloro che vi partecipano sono anche legati alle agenzie di certificazione dei crediti di carbonio, quindi c'è il rischio che si trovino a valutare il loro stesso lavoro".
“Il mercato dei crediti derivanti da progetti REDD+ dovrebbe sviluppare metodi molto più sofisticati e trasparenti”
Una riflessione critica
Quello presentato non è certo il primo caso di uno studio che, analizzando progetti REDD+, punta il dito contro la sovrastima dei crediti di carbonio. Molto clamore mediatico ha riscosso a gennaio 2023 un’inchiesta giornalistica del Guardian, basata su un report della testata tedesca Die Zeit, che accusava pesantemente il sistema dei crediti generati da progetti REDD+ certificati secondo lo standard internazionale VERRA.
I responsabili di VERRA hanno prontamente risposto alle critiche, generando un interessante dibattito metodologico tra gli addetti ai lavori. Anche nel caso dello studio oggetto di questo articolo VERRA ha dato una risposta, al momento molto scarna, sottolineando che, anche a seguito delle critiche rivolte alla metodologia, il sistema di calcolo e verifica dei crediti viene costantemente migliorato.
Il tema vero infatti - a parte l’ipotesi di una truffa deliberata e pianificata, che tuttavia al momento è da escludere - sta tutto proprio nella metodologia, ovvero nei protocolli scelti per calcolare i crediti.
Su questo, un interessante articolo di Rete Clima, uscito dopo lo “scandalo VERRA”, può aiutarci molto per contestualizzare e capire i differenti approcci. Secondo Rete Clima: “Ogni metodologia tecnica ha propri punti di forza e debolezza, la sfida è quella di lavorare continuamente al perfezionamento dei modelli di calcolo e delle assunzioni, con l’obiettivo di riuscire a rappresentare nel modo più attendibile i benefici generati dal progetto”.
Ad esempio, spiega sempre Rete Clima, prendendo come riferimento la metodologia REDD+ dello standard VERRA, sono numerose le proposte migliorative in corso di valutazione, come:
- la riduzione del periodo di monitoraggio e verifica da 10 anni a 6 anni, così da poter meglio rappresentare i cambiamenti di contesto legati agli scenari politici, sociali ed economici;
- il raggruppamento di tutti i progetti REDD+ sotto un'unica metodologia, che utilizzerà dati di riferimento assegnati a livello giurisdizionale per garantire la coerenza delle riduzioni delle emissioni all'interno di una determinata regione;
- la sperimentazione di nuovi modelli socio-naturali combinati, per esplorare e quantificare i potenziali rischi sui mezzi di sussistenza locali e sulla biodiversità.
Insomma, lo studio pubblicato su Science aggiunge nuovi elementi ad un problema noto, ma probabilmente il suggerimento migliore è quello di non “gettare il bambino con l’acqua sporca”: oltre alla legittima critica occorre lavorare ad un rapido miglioramento delle metodologie da applicare a questi progetti, che hanno il grande potenziale di indirizzare enormi fondi privati verso azione di tutela ambientale. E occorre fare attenzione a non utilizzare mediaticamente alcuni singoli casi per demonizzare l’intero e variegato sistema di compensazione delle emissioni attraverso progetti forestali e ambientali.
* Segnaliamo che, successivamente all'uscita di questo articolo, Rete Clima ha scritto un nuovo commento critico rispetto allo studio in esame, che si può leggere QUI
Una lezione anche per l’Italia?
Nel nostro Paese il tema della compravendita di crediti di carbonio (ovviamente fuori dal meccanismo REDD+, che coinvolge solo Paesi in via di sviluppo) è estremamente attuale, dato che, come abbiamo raccontato recentemente qui su Sherwood, il Governo ha deciso di istituire presso il CREA il primo “Registro Nazionale dei Crediti di Carbonio”.
Ricordiamo che i crediti collegati al Registro saranno utilizzabili nell'ambito di un mercato volontario nazionale, in coerenza con le disposizioni relative al Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali istituito nel 2008. Inoltre, ai fini dell'impiego su base volontaria, questi i crediti potranno essere generati esclusivamente per le pratiche aggiuntive di gestione sostenibile, quindi: “attività di imboschimento, rimboschimento e gestione sostenibile agricola e forestale aggiuntive a quelle previste dalla vigente normativa unionale e nazionale di settore”, secondo quanto previsto anche dalle linee guida sugli inventari nazionali delle emissioni di gas serra del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) (2006 IPCC Guidelines for National Greenhouse Gas Inventories).
Un Paese che sta per organizzarsi con un Registro Nazionale non può che riflettere sui problemi evidenziati dallo studio pubblicato su Science, ma anche sul dibattito generato da altri scandali che hanno recentemente coinvolto il meccanismo dei crediti di carbonio derivanti da progetti forestali.
Per questo abbiamo chiesto un commento sulla vicenda a Saverio Maluccio, ricercatore del CREA Politiche e Bioeconomia, esperto di questo argomento nonché coordinatore del “Nucleo Monitoraggio Carbonio”.
Come commenta questo studio pubblicato su Science? C’è un dibattito aperto, a livello di ricerca, sul problema metodologico?
La metodologia utilizzata per stimare i crediti generabili dai progetti REDD+ è sicuramente da rivedere, mi sembra evidente che la baseline (assorbimento di carbonio che si sarebbe verificato in assenza dell'attività del progetto) è al momento affidata ai dati storici dell’area di progetto. Questo perché i progetti di solito vengono realizzati proprio in aree in cui in passato la superficie deforestata è stata molto ampia: per questo i crediti generati vengono sovrastimati.
Se consideriamo che le regole di contabilizzazione per i progetti REDD+ sono state fissate alla COP19 di Varsavia nel 2013 (Warsaw Framework for REDD +) è evidente che lo scenario storico e normativo è cambiato, perciò queste regole vanno aggiornate. Ad esempio, con l’accordo di Parigi anche i Paesi in via di sviluppo hanno degli obbiettivi di riduzione (Nationally determined contribution), perciò, in teoria, i crediti generati in questi Paesi e venduti ad altri Paesi o ad organizzazioni private estere, dovrebbero essere decurtati dal bilancio delle emisssioni assorbimenti nazionali, come prevede il sistema “Corresponding adjustment” dell’articolo 6.2 dell’accordo di Parigi.
Il Registro Nazionale sui Crediti di Carbonio volontari prevederà ciò che auspicano, in generale, gli autori dello studio, ovvero “metodi sofisticati e trasparenti di calcolo”? Sarà previsto un sistema di controllo?
Il registro nazionale dei crediti di carbonio volontari sarà basato su una contabilizzazione del carbonio robusta, solida e trasparente, in particolare i crediti saranno certificati da un ente terzo, accreditato da una Autorità nazionale di accreditamento, e abilitato ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio.
Inoltre, il sistema di monitoraggio prevederà:
- degli audit, nel corso dei primi due anni di progetto, per verificare la correttezza del rispetto delle linee guida e della realizzazione delle attività previste nel Documento di Progetto;
- un audit ogni 10 anni, come previsto dal REG (UE) 2021/2139 del 4 giugno 2021, fino alla scadenza finale del progetto forestale;
- un buffer di crediti non vendibili stabilito secondo l’analisi del rischio che terrà conto delle varie problematiche di che possono portare alla perdita di crediti: eventi estremi, rischi legali e finanziari, incertezza statistica ecc.
In Italia, per fortuna, non viviamo il problema della deforestazione come i Paesi coinvolti nei progetti REDD+: quali auspica come principali azioni per generare i crediti contabilizzati all’interno del Registro Nazionale? Su alcune di esse potrebbero esserci serie problematiche di stima? Come fare per mitigare questo rischio?
Le tipologie di progetti che generano i crediti in Italia sono l’imboschimento e la gestione forestale sostenibile.
Per l’imboschimento le metodologie di calcolo del sequestro di carbonio sono collaudate; quindi, il rischio di errore è molto basso.
Per la gestione forestale sostenibile la stima della baseline di progetto può invece presentare delle criticità. Queste criticità si basano sul fatto che non sempre la stima dei crediti generabili sarà fatta utilizzando dati rilevati nell’area di progetto, ad esempio perché non sono disponibili o è troppo costoso fare dei rilievi di campo; in questo caso saranno utilizzati dati di aree con le stesse caratteristiche vegetazionali, climatiche e pedologiche dell’area di progetto, perciò si determinerà un margine di errore che tuttavia sarà ampiamente compensato dal buffer calcolato con il processo di “analisi del rischio”. Quindi mi sento di dire siamo molto lontani dal margine di errore riscontrato nell’ultimo studio pubblicato su Science per i progetti REDD+.
Foto di copertina: Corey Spruit; Foto interne: Archivio Compagnia delle Foreste
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