Castanicoltura da legno: stato dell’arte e criticità
Questa è l'introduzione del DOSSIER pubblicato sul numero 266 di Sherwood | Foreste e Alberi oggi, la versione integrale è disponibile solo per gli abbonati nella versione cartacea, nella APP e sul sito, come sfogliabile, mentre attendete che la vostra copia arrivi a casa. Abbonandoti non solo avrai accesso a questo e ad altri contenuti riservati ma contribuirai a sostenere tutto il lavoro della Redazione di Sherwood. Visita la sezione dedicata agli abbonamenti cliccando qui.
di Silvia Bruschini - Redazione di Sherwood
I boschi di castagno in Italia ricoprono una superficie complessiva di 778.475 ha (INFC 2015) di cui circa 1/5 definiti come “Castagneti da frutto, selve castanili” e 4/5 (592.348 ha) come “Castagneti da legno”, proporzione tra queste due categorie che oggi risulta ribaltata rispetto all’ultimo dopoguerra a causa sia dei cambiamenti socioeconomici sia delle problematiche fitosanitarie sempre più impellenti.
Benché la definizione inventariale “castagneti da legno” faccia esplicito riferimento alla funzione produttiva e quindi sottintenda una gestione attiva, oggi una parte significativa di questi soprassuoli sono in pieno abbandono colturale. Si tratta per lo più di cedui lasciati ad evoluzione post-colturale o di cedui derivanti dal taglio dei castagneti da frutto caratterizzati da una bassa densità di ceppaie e/o individui. Considerata la forte connotazione di artificialità che caratterizza i cedui di castagno, l’abbandono colturale (intendendo periodi di oltre 50 anni dall’ultima ceduazione senza alcun intervento) porta inevitabilmente questi soprassuoli ad una fase di disequilibrio e di instabilità meccanica, favorendo l’innesco di fenomeni franosi, l’ingresso di specie mesofile e la riduzione del numero di ceppaie di castagno.
Le potenzialità e le caratteristiche peculiari di questa specie, quali la capacità pollonifera praticamente illimitata, gli accrescimenti sostenuti soprattutto in fase giovanile e la produzione, a seguito di un’idonea gestione, di legname di buona qualità e apprezzato dal mercato, impongono di considerare, ove opportuno, il recupero dei soprassuoli abbandonati e, comunque, la valorizzazione dei cedui gestiti.
La ricerca, che già dagli anni ’70 si è posta il problema di trovare soluzioni selvicolturali alternative al ceduo a turno breve si è concentrata dagli anni ‘90 nella definizione di modelli di trattamento finalizzati alla produzione legnosa di qualità con l’obiettivo di affrontare il tema in tutta la sua complessità, analizzando le connessioni tra biologia, selvicoltura, tecnologia ed economia della filiera legno.
Grazie a sperimentazioni ultratrentennali oggi abbiamo le conoscenze per capire se e quando è il caso di recuperare un ceduo oltre il turno (cioè, che ha oltrepassato l’età del turno consuetudinario ed è lasciato ad evoluzione naturale) e come farlo.
Il Dossier che proponiamo in questo numero di Sherwood raccoglie infatti i principali risultati di queste ricerche ed è stato proposto e realizzato da un consolidato gruppo di ricercatori “esperti del castagno” principalmente provenienti dal CREA, centro di ricerca Foreste e Legno, dal TESAF dell’Università degli Studi di Padova e dal WSL, Istituto di ricerca svizzero, che ringraziamo per il notevole lavoro svolto. L’obiettivo di questo Dossier è quello di mostrare il percorso da intraprendere nella valutazione di castagneti da legno potenzialmente produttivi e nella scelta del modello selvicolturale da applicare per ottenere una produzione legnosa da destinare ai vari assortimenti di paleria, a segagione o a produzione di piallacci.
Ma le indicazioni derivanti dai risultati della ricerca sono sempre ed ovunque applicabili?
Purtroppo, questa è una domanda retorica e la risposta è “NO!”
Ciò che l’evidenza scientifica indica come percorso selvicolturale da seguire potrebbe infatti essere ostacolato dalle norme regionali che, in Italia, spesso non considerano la complessità, le peculiarità (ed anche le opportunità) della castanicoltura da legno. A tal proposito nel Dossier si trova anche un contributo con alcune esperienze estere, in linea con gli indirizzi colturali innovativi proposti, ma applicati senza restrizioni normative.
Obiettivo del Dossier è quindi anche quello di evidenziare alcune criticità (segnalate anche graficamente nella trattazione e sintetizzate al termine di ogni contributo in un’apposita finestra) così da sensibilizzare il mondo tecnico e quello istituzionale sulla necessità di un aggiornamento utile a determinare quelle modifiche normative e gestionali indispensabili per rendere applicabili ed efficaci le indicazioni tecniche oggi disponibili.
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