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Il legno tropicale è ancora di moda?

Il legno tropicale è ancora di moda?

di Andrea Barzagli

Circa ogni 30-40 anni la pavimentazione del camminamento pedonale del ponte di Brooklyn deve essere sostituita a causa dell’usura. Niente di particolare fino a qui, se non fosse che l’intera pavimentazione è costituita da assi di legno, tropicale per giunta, legno che un’inchiesta brasiliana di qualche anno fa ha dimostrato provenire da segherie che sfruttavano lavoratori in condizioni di schiavitù in Amazzonia. La competizione internazionale per designer chiamati a reimmaginare il ponte ha visto la vittoria del progetto “Brooklyn Bridge Forest” dell’architetto Scott Francisco che, scontrandosi con chi chiedeva a gran voce di bandire l’uso di legno tropicale nella città di New York, prevede il rinnovamento della pavimentazione del camminamento proprio con assi provenienti dalla giungla del Guatemala. Un controsenso?

No, una storia di gestione sostenibile e presidio del territorio che vede come protagonista la comunità di Uaxactun, nella Maya Biosphere Reserve, a cui è stato permesso di rimanere sul territorio gestendo porzioni della riserva per trarne legno e altri prodotti di sostentamento. Dopo 30 anni di attività e molti dubbi iniziali, queste concessioni si sono dimostrate un successo sotto molti punti di vista, dalla lotta alla deforestazione a quella contro il narcotraffico, con gli abitanti che, consapevoli di quanto delicato sia l’equilibrio da cui dipendono, si sono trasformati in veri e propri custodi della foresta. Le foreste gestite da queste comunità hanno un tasso di deforestazione medio più basso delle circostanti aree a protezione integrale, un’abbondanza di animali selvatici eguale e la totale assenza di incendi boschivi.

L’ennesimo esempio utile per orientarsi nel conflitto gestione/salvaguardia che caratterizza il dibattito anche in Italia. In un territorio come quello italiano, dove la gestione a tutto tondo del bosco potrebbe essere la chiave per riattivare economie locali e garantire il presidio di ampie aree altrimenti spopolate, possiamo permetterci di “abbandonare” il bosco in nome della sua salvaguardia?

Questa articolo è tratta dal numero 254 di Sherwood |Foreste e Alberi oggi: se vuoi ricevere a casa la tua copia cartacea e non perderti l’anteprima su questo e altri contenuti esclusivi, visita la sezione dedicata agli abbonamenti cliccando qui. Abbonandoti contribuirai a sostenere tutto il lavoro della redazione di Sherwood.

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