Paesaggio e foreste: la Corte Costituzionale boccia la “leggina” toscana

di Luigi Torreggiani
Circa un anno fa, il 28 dicembre 2021, il Consiglio regionale della Toscana, guidato in particolare dall’allora capogruppo PD Vincenzo Ceccarelli, ha scelto consapevolmente di forzare la mano sulle autorizzazioni paesaggistiche per interventi forestali nelle aree a “doppio vincolo”, tema sul quale si dibatte ormai da anni a livello nazionale. Con la legge “Disposizioni in materia di tagli colturali” (l.r. 52/2021) la Toscana ha infatti tentato di semplificare l’iter autorizzativo per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 136 del D.lgs. 42/2004, togliendo di fatto la necessità di autorizzazione, da parte delle Sovrintendenze, per quelle aree in cui il motivo del vincolo non fosse espressamente legato al bosco.
Si trattava, come descritto da Paolo Mori in un articolo su Sherwood, di una “leggina” formata da un solo articolo, nata non solo e non tanto per risolvere un problema, ma più che altro per smuovere le acque di una discussione tecnico-politico-amministrativa decisamente stagnante. Una situazione complessa, balzata alle cronache a partire dal famoso “caso Marganai” in Sardegna, che ha creato in tutta Italia lungaggini burocratiche e rallentato molti progetti selvicolturali i quali, nella pratica, nulla hanno a che fare con la modifica permanente di paesaggi tutelati. Dato che poco o nulla si muoveva a livello nazionale su questo tema, e constatato che quello imposto dalla norma nazionale fosse “un inutile aggravio burocratico che non incide su una migliore tutela dell’ambiente”, come ha sottolineato Ceccarelli, il Consiglio regionale toscano ha scelto di percorrere la strada di una propria legge.
Una legge nata non solo e non tanto per risolvere un problema, ma per smuovere le acque di una discussione tecnico-politico-amministrativa decisamente stagnante.
Ebbene, questa norma, subito impugnata dal Governo, dopo un lungo esame e come ampiamente previsto dagli addetti ai lavori, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte, con sentenza n. 239 depositata il 29/11/2022. Sono invece cadute altre pesanti accuse contenute nel ricorso presentato contro la Regione Toscana, tra cui addirittura quella di violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
A gioire della decisione sull'incostituzionalità della legge sono stati immediatamente i gruppi ambientalisti (tra cui il WWF Toscana, che aveva presentato l'esposto al Consiglio dei Ministri) che da anni sbandierano una presunta “distruzione” dei boschi regionali e che, in modo decisamente sproporzionato, avevano definito la norma come “Legge tagliaboschi”. Insieme agli ambientalisti esultano anche i consiglieri regionali di opposizione del Movimento 5 Stelle, come Silvia Noferi, che ha commentato così la decisione della Corte Costituzionale: “Era evidente che escludendo l’autorizzazione paesaggistica per i tagli colturali nelle aree vincolate si sarebbe abbassato il livello di tutela dei beni paesaggistici tutelato dal Codice del Paesaggio, ma il Partito Democratico ha voluto forzare la mano, non contento delle autorizzazioni che vengono inspiegabilmente concesse sempre alle stesse aziende da anni per tagli boschivi che stanno trasformando il paesaggio toscano. Chilometri e chilometri di boschi trattati a ceduo riducono le nostre montagne a paesaggi spettrali e pietosi dove rimangono solo piccoli alberi isolati, deturpando il paesaggio e causando danni irreparabili alla fauna che abita i boschi. Questo è il risultato di una politica poco attenta all’ambiente e agli effetti che i tagli boschivi sconsiderati hanno sul cambiamento climatico e sul dissesto idrogeologico”.
Dichiarazioni che, per chi ha un minimo conoscenza della storia e dell’attuale situazione complessiva dei boschi toscani, non hanno alcun senso, ma che tuttavia sono oggi rilanciate con enfasi da siti web e giornali.
Circa un anno fa, col il già citato articolo di Paolo Mori, ci chiedevamo se questa norma, un’evidente “forzatura legislativa” regionale rispetto alla legge nazionale, sarebbe almeno servita come “leva politica” per spingere i Ministeri competenti e il Parlamento a trovare una soluzione efficace ad una situazione evidentemente critica, la quale blocca la gestione forestale in nome di un paesaggio da tutelare che, da sempre, comprende la gestione forestale stessa. Un evidente paradosso, insomma, che andrebbe affrontato urgentemente nelle sedi opportune tra le Regioni, le Province Autonome e i Ministeri competenti.
Purtroppo, a distanza di un anno, dobbiamo sostenere che, almeno per il momento, la risposta è nettamente negativa. Nulla è cambiato a livello nazionale e questa sentenza della Corte Costituzionale oggi rischia, tra l’altro, di scoraggiare altre azioni normative su questo tema, creando di fatto un precedente.
Non solo. La sentenza di incostituzionalità della “leggina” toscana rischia anche di trasformarsi in un “boomerang mediatico”: a poche ore dalla sentenza le associazioni ambientaliste già rilanciano la loro “vittoria” sui social network, con centinaia di like e condivisioni, mentre la stampa generalista locale racconta l’accaduto come una sconfitta per chi voleva “tagliare boschi tutelati”. Come dimostrano le parole dalla Consigliera Noferi, tutto nella narrazione di questa vicenda viene mescolato ad arte e ciò che rimane, per le persone non addette ai lavori ma sensibili all’ambiente, è che la “Legge tagliaboschi” della Toscana è incostituzionale. Quindi, semplificando al massimo - ma come accade normalmente in un flusso mediatico giostrato con malafede - “utilizzare i boschi è un reato” o comunque qualcosa di molto negativo a priori, addirittura ai limiti dell’incostituzionalità: questa sarà la percezione di molte persone da oggi in poi.
Ciò che rimane, per le persone non addette ai lavori ma sensibili all’ambiente, è che la “Legge tagliaboschi” della Toscana è incostituzionale.
La forzatura del Consiglio regionale toscano, insomma, seppur condivisibile e di buon senso nei contenuti, rischia un anno dopo di ritorcersi contro lo stesso settore che voleva aiutare attraverso la semplificazione normativa.
Forse non era questa la strada giusta per tentate di modificare una norma nazionale che genera evidenti problemi sui territori, anche per l’incapacità delle Soprintendenze di stare al passo con le autorizzazioni e per l’assenza, all’interno dell’organico delle stesse, delle competenze necessarie capaci di proporre eventuali prescrizioni praticabili e sostenibili.
Occorrerebbe invece che un gruppo compatto di Regioni e Province Autonome, in Conferenza Stato-Regioni prima e in Parlamento poi, portasse avanti con forza una modifica alla normativa nazionale, come proposto da UNCEM, provando il difficile compito di scavalcare gli inutili steccati ideologici che sono stati creati attorno a questo tema per andare al cuore della questione: con o senza autorizzazione ai sensi dell’articolo 136, la normale gestione forestale sostenibile è pienamente compatibile con la tutela del paesaggio, di cui è parte integrante da sempre. Se il paesaggio rurale toscano è così come lo percepiamo è proprio grazie a secoli di selvicoltura e agricoltura!
L’idea giuridica di scavalcare lo Stato con una legge regionale si è dimostrata evidentemente sbagliata. Il tentativo di farlo come provocazione non ha portato a nulla. E chi urla da sempre contro la gestione forestale ha oggi una potente freccia mediatica in più per il proprio arco.
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