Al tecnico non far sapere... come funziona il cantiere!
- editoriale di Sherwood n. 178, novembre 2011 -
di Paolo Mori
Se si pensa di applicare le scienze forestali anche in bosco oltre che scriverne nei libri, si devono avere chiari i sistemi di lavoro e le macchine più adatte a realizzarli. Sembrerebbe evidente che tale conoscenza debba essere patrimonio di chi progetta e organizza gli interventi in boschi produttivi o con finalità di tutela: il tecnico forestale. Talvolta però l’evidenza non trova corrispondenza nella realtà.
Nei “corsi di Laurea Forestali” italiani la scelta dei mezzi e delle attrezzature più adatte, efficienti e/o meno impattanti per un determinato lavoro è spesso considerata una disciplina facoltativa e con il nuovo ordinamento potrebbe scomparire del tutto in molte sedi. Va un po’ meglio per l’organizzazione del cantiere di lavoro, cioè le “vecchie” utilizzazioni forestali. L’insegnamento dell’organizzazione del cantiere forestale è però sovente considerata una disciplina che vale pochi crediti, generalmente scollegata dalla selvicoltura e questo fa capire tre aspetti:
- la marginalità attribuita a questa conoscenza, indispensabile invece ad evitare danni al bosco;
- la difficoltà che potranno incontrare i nuovi tecnici laureati a organizzare un cantiere senza una buona conoscenza (teorica e pratica) delle caratteristiche, dei limiti e delle potenzialità delle macchine e delle attrezzature disponibili;
- la scarsa percezione dei vantaggi finanziari che possono derivare dalla corretta scelta di macchine e attrezzature da impiegare e dalla razionale predisposizione dei cantieri.
Non è facile capire attraverso quali meccanismi accademici sia maturata una scelta del genere, ma è evidente che esiste un problema di fondo: se il forestale non sa organizzare e condurre un cantiere in bosco perde un’importante competenza, determinante per assicurare la funzione di produzione. Capacità che sarebbe però preziosa non solo per ottenere legname, ma anche per gli interventi in boschi di protezione contro la caduta di massi, pietre o valanghe, per quelli a difesa di habitat o specie da rare, per la prevenzione e la lotta agli incendi boschivi, per interventi fitosanitari o per qualsiasi altro scopo in cui si verifichi la necessità di azioni in bosco che comportino abbattimento e/o asportazione di materiale vegetale.
Se si pensa di applicare le scienze forestali anche in bosco oltre che nei libri, si devono avere chiari i sistemi di lavoro e le macchine più adatte a realizzarli.
A ciò si aggiunge che, pur non dovendo necessariamente utilizzare in prima persona macchine a attrezzature, la conoscenza delle loro caratteristiche, delle potenzialità e del loro corretto impiego permette di comprenderne l’uso in sicurezza. Il tecnico forestale, per molte imprese, boschive e non, potrebbe svolgere il ruolo di direttore dei lavori di utilizzazione e responsabile della sicurezza. Potrebbe, ma non conoscendo le macchine e il loro corretto impiego ha due opzioni tra cui scegliere: stilare un piano della sicurezza a suo rischio e pericolo (e a rischio di chi si fida di lui) o rinunciare ad una possibile opportunità di lavoro.
In periodi di “vacche magrissime”, come quelli di oggi (novembre 2011), organizzare in maniera efficiente un cantiere boschivo e risparmiare risorse finanziarie, può fare la differenza tra effettuare o non effettuare interventi colturali, sia a carattere produttivo che protettivo in senso lato. Inoltre dare ai tecnici forestali un’opportunità in più, potrebbe avere anche un valore etico per chi definisce i programmi dei corsi di laurea pensando al futuro di chi li frequenta e, perché no, un vantaggio competitivo per far scegliere il proprio corso di laurea da chi percepisce che il lavoro in bosco è fatto anche di conoscenze pratiche e operative.
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